mercoledì 26 novembre 2008

LA DISTRUZIONE DI SODOMA E GOMORRA

LA DISTRUZIONE DI SODOMA E GOMORRA

GENESI: 18,16- 19, 29



Annunzio della distruzione di Sodoma
18-16Poi quegli uomini si alzarono. Prima di salutarli Abramo volle accompagnarli per un tratto di strada. Guardavano Sodoma di fronte a loro. 17Intanto il Signore si chiedeva: "Devo forse tenere nascosto ad Abramo quel che sto per fare? 18Proprio a lui che deve essere il capostipite di un popolo grande e forte e una sorgente di benedizione per tutti i popoli? 19Io infatti l'ho scelto perché insegni ai suoi figli, e ai suoi familiari dopo di lui, a seguire la via del Signore facendo ciò che è buono e giusto. E io, il Signore, manterrò per Abramo tutto quello che gli ho promesso".
20Così il Signore disse ad Abramo:
"Le accuse contro Sodoma e Gomorra sono tremende. Il peccato di quelle città è troppo grave. 21Voglio andare a vedere se queste accuse sono proprio vere. Voglio saperlo".
22Due di quegli uomini si avviarono verso Sodoma.

Intercessione di Abramo
Abramo stava di fronte al Signore. 23Gli si avvicinò e disse:
- Davvero tu vuoi distruggere insieme il colpevole e l'innocente? 24Forse in quella città vi sono cinquanta innocenti. Davvero tu li vuoi far morire? Perché invece non perdoni a quella città per amore di quei cinquanta? 25Allontana da te l'idea di far morire insieme il colpevole e l'innocente! Il giudice del mondo eserciterà forse la giustizia in modo ingiusto?
26 Se trovo cinquanta innocenti nella città di Sodoma, - gli rispose il Signore, - per amor loro perdonerò a tutta la città.
27Abramo riprese a dire:
- Ecco, io oso parlare al Signore anche se sono soltanto un povero mortale. 28Può darsi che invece di cinquanta innocenti ve ne siano cinque di meno! E tu, per cinque di meno, distruggeresti tutta la città?
- No! - gli rispose il Signore, - non la distruggerò se in essa vi sono quarantacinque innocenti!
29Abramo continuò:
- Può darsi che ve ne siano solamente quaranta!
- E io non la distruggerò per amore di quei quaranta! - rispose il Signore.
30 Non offenderti, mio Signore, - continuò Abramo, - non posso fare a meno di parlare ancora. Può darsi che ve ne siano soltanto trenta!
- Non distruggerò quel luogo se ne trovo trenta, - rispose il Signore.
31Abramo riprese:
- Insisto ancora, Signore! Forse ce ne saranno venti.
- Non la distruggerò anche se ce ne sono venti! - rispose il Signore.
32Non adirarti, Signore, - riprese Abramo, - parlerò per l'ultima volta. Forse ve ne saranno soltanto dieci.
- Per amor di quei dieci non la distruggerò, - rispose il Signore.
33Quando ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo tornò alla sua tenda.


Lot ospita due angeli

19-1Quando i due angeli giunsero a Sodoma, verso sera, Lot stava seduto alla porta di quella città. Appena li vide si alzò per andar loro incontro. Si inchinò faccia a terra, 2poi disse:
- Io sono qui per servirvi. Vi prego, venite a casa mia questa notte. Vi potrete lavare i piedi e dormire. Domani di buon mattino vi alzerete e proseguirete il vostro viaggio.
- Non è il caso, - essi risposero, - possiamo benissimo trascorrere la notte qui all'aperto.
3Lot però insisté tanto che essi si fermarono da lui ed entrarono in casa sua. Egli preparò la cena, fece cuocere dei pani non lievitati, ed essi mangiarono.
4Ma prima ancora che fossero andati a dormire, tutti gli abitanti della città di Sodoma, giovani e vecchi, giunti anche dai quartieri più lontani, circondarono la casa. 5Gridarono:
- Lot, dove sono quegli uomini che sono venuti da te questa notte? Falli uscire! - Dicevano così perché volevano violentarli.
6Allora Lot uscì loro incontro, sulla soglia. Si chiuse la porta alle spalle 7e disse:
- Fratelli miei, vi prego, non fate una simile malvagità. 8Datemi ascolto! Io ho due figlie ancora vergini. Ve le porterò fuori e potrete farne quel che vorrete, ma non toccate gli uomini: sono miei ospiti.
9 -Togliti dai piedi, - gli risposero. E aggiunsero:
- Questo individuo, venuto a stare qui come straniero ora ci vuole insegnare quel che dobbiamo fare! Ti tratteremo peggio di loro.
Si precipitarono contro Lot e si avventarono per sfondare l'uscio. 10Ma i due angeli allungarono le braccia, afferrarono Lot, lo trascinarono in casa e richiusero la porta. 11Poi colpirono tutta la gente che stava sulla soglia della casa, giovani e vecchi, con un bagliore accecante. Così si affannarono inutilmente a cercare l'entrata.

Distruzione di Sodoma
12- 13I due uomini dissero a Lot: "Il Signore ci ha mandato per distruggere questo luogo, perché tremenda è la protesta salita fino a lui contro i suoi abitanti. Perciò fa' uscire di qui i tuoi figli, le tue figlie, i tuoi futuri generi, tutti i tuoi che abitano in questa città e ogni altro parente, se ne hai ancora".
14Lot andò ad avvertire i suoi futuri generi:
"Alzatevi, - disse loro, - lasciate questo luogo, perché il Signore sta per distruggerlo". Ma essi pensavano che Lot stesse scherzando.
15 L'alba stava appena sorgendo quando quegli uomini fecero premura a Lot. "Sbrigati, - gli dicevano, - prendi tua moglie e le tue due figlie che sono con te e parti, altrimenti morirete nella punizione di questa malvagia città!
16Lot era ancora indeciso, ma poiché il Signore voleva risparmiarlo, quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le due figlie, li fecero uscire e li lasciarono fuori della città.
17Nel condurli fuori uno di essi diceva a Lot: - Scappa! Ne va della tua vita! Non voltarti indietro. Non fermarti nella pianura! Fuggi in montagna, così non verrai travolto dal disastro.
18Ma Lot rispose:
- No, mio Signore, ti prego! 19Certo tu sei stato favorevole a me che sono tuo servo. Hai avuto verso di me grande benignità conservandomi in vita. Ma io non ce la faccio a salvarmi in montagna, per sfuggire al disastro e non morire. 20Vedi quella piccola città? È abbastanza vicina perché io possa raggiungerla. Ti prego, permettimi di rifugiarmi là: è tanto piccola! Così io vivrò.
21 - Ecco, - gli rispose il Signore, - ti concedo anche questo. Non distruggerò la città che hai indicato. 22Presto, corri! Io non potrò agire finché tu non sarai arrivato laggiù.
Per questo la città è stata chiamata Zoar.
23 Il sole si era levato e Lot era giunto a Zoar 24quando il Signore fece piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco. 25Il Signore distrusse quelle città e tutti i loro abitanti, tutta la pianura e la vegetazione del territorio. 26Ma la moglie di Lot si voltò indietro a guardare e divenne una statua di sale.
27Abramo, alzatosi di buon mattino, andò al luogo dove si era fermato a parlare con il Signore. 28Volse lo sguardo su Sodoma e Gomorra e su tutta l'estensione della valle. Vide alzarsi da terra un fumo simile a quello di una fornace.
29Così, quando distrusse le città della valle dove Lot aveva abitato, Dio non si dimenticò di Abramo e salvò Lot da quel disastro.




http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Genesi&Capitolo=19

PALESTINA E ISRAELE

19/11/2008 12:46
PALESTINA -ISRAELE
Resta chiusa la frontiera di Gaza. A rischio anche gli aiuti umanitari
Dopo il parziale allentamento del blocco e l’ingresso di alcuni carichi di medicinali e generi alimentari, Israele torna a chiudere i valichi verso la Striscia. La comunità internazionale preme su Tel Aviv per evitare l’acuirsi della crisi umanitaria, ma continuano i lanci di razzi da parte di Hamas.


Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - “I varchi restano chiusi per il continuo lancio di razzi verso Israele” La dichiarazione rilasciata il 18 novembre dal portavoce del ministero della difesa di Tel Aviv, Peter Lerner, conferma il blocco della Striscia. Sancito nel giugno 2007, l’isolamento di Gaza è proseguito sino ad oggi con concessioni provvisorie che hanno permesso l’accesso ai territori a fini umanitari. Nei giorni scorsi Israele aveva concesso l’ingresso ai carichi di aiuti e di combustibile, ma il perdurare dei lanci di qassam hanno spinto il ministro della difesa Ehud Barak a chiudere di nuovo le frontiere complicando così l’invio di aiuti.

Nel frattempo Tel Aviv ha annunciato il 19 novembre di voler sostituire il responsabile dell’esercito per la Striscia Moshe Tamir con Eyal Eisenberg, che ha già diretto le operazioni nella zona per due anni.

Due giorni fa, Israele ha consentito l’accesso di 33 camion con generi di prima necessità e medicinali. Le agenzie umanitarie lamentano la fine delle scorte nella Striscia e l’invio degli aiuti è considerato molto inferiore rispetto alle necessità della popolazione.

Dal 4 novembre, giorno della ripresa degli scontri aperti tra l’esercito israeliano e le forze di Hamas, era stato interdetto l’ingresso nella Striscia ai mezzi delle agenzie umanitarie. Solo domenica 16 alcuni convogli con gli aiuti hanno ripreso a transitare, tra questi i mezzi dell’Unrwa, l’agenzia Onu che assiste circa 750mila rifugiati nell’area di Gaza.

La mancanza di elettricità nella Striscia è l’altro problema lamentato dagli abitanti e dalle organizzazioni umanitarie. La situazione non migliora nonostante Israele abbia aumentato i rifornimenti di carburante destinato alla principale centrale di Gaza che costringe a periodici blackout buona parte del milione e mezzo di palestinesi che vivono nei territori.

Il 18 novembre tank israeliani hanno oltrepassato il confine seguiti da jeep militari e bulldozer. L’incursione di 400 metri entro il territorio della striscia è stata accolta dal lancio di missili da parte delle forze di Hamas cui i mezzi israeliani non hanno risposto. I militari di Tel Aviv definiscono lo penetrazione sul limite orientale della città di Rafah, vicino al confine con l’Egitto, come “un’operazione di routine per scoprire dispositivi esplosivi”. Gli scontri tra le due parti sono riprese nelle ultime due settimane, dopo cinque mesi di relativa pace a seguito della tregua siglata con Hamas il 19 giugno. Stando alle dichiarazioni dell’esercito di Tel Aviv, dalla riapertura delle ostilità sono stati uccisi 17 militanti palestinesi mentre su Israele sono stati lanciati più di 140 razzi e colpi di mortaio contro gli insediamenti posti al confine con la Striscia.

La comunità internazionale disapprova la scelta di Tel Aviv. Il segretario dell’Onu ha chiamato il primo ministro israeliano Ehud Olmert per scongiurare l’inasprimento delle condizioni in cui vivono gli abitanti della Striscia. Come riportato da un comunicato del Palazzo di vetro, Ban Ki Moon “ha fortemente sollecitato il primo ministro a facilitare una maggiore libertà di movimento degli aiuti umanitari urgenti e l’ingresso del personale Onu a Gaza”.

Gli analisti leggono l’attuale situazione come il tentativo di entrambe le parti di preparare il terreno per la ridiscussione della tregua che scade il prossimo mese. Sia Hamas sia Israele intendono giungere al tavolo dei negoziati in posizioni di forza che gli permettano di ottenere migliori condizioni nel rinnovo della tregua.

Da parte di Hamas si registrano posizioni contrastanti sugli scontri in corso. Il portavoce del ministero degli interni di Hamas, Ihab al-Ghussein, accusa Israele di aver sovvertito la tregua che considera ormai rotta. Di tutt’altro avviso Mahmoud Zahar, altro leader del movimento palestinese, che vuole mantenere l’accordo a condizione che vengano riaperti i valichi per Gaza.

Anche in Israele il giudizio sulla situazione è controverso. Il Jerusalem post ha definito le dichiarazioni contrastanti dei leader politici come una “Babele”. Davanti alla nuova ondata di lanci di razzi Qassam, il quotidiano israeliano ha commentato le posizioni espresse scrivendo: “Non servono per confondere il nemico, sono piuttosto la triste indicazione del nostro grado di confusione. Niente è più scoraggiante per i cittadini d’Israele che vedere tale discordia quando il paese è sotto attacco”.

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=13796&size=A

PAOLO TESTIMONIA LA SUA FEDE IN GESU'

STUDIO BIBLICO

PAOLO TESTIMONIA LA SUA FEDE IN GESU'

ATTI DEGLI APOSTOLI: 22, 1-21


22:1 "Fratelli e padri, ascoltate ciò che ora vi dico a mia difesa".
22:2 Quand'ebbero udito che egli parlava loro in lingua ebraica, fecero ancor più silenzio. Poi disse:
22:3 "Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma allevato in questa città, educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri; sono stato zelante per la causa di Dio, come voi tutti siete oggi;
22:4 perseguitai a morte questa Via, legando e mettendo in prigione uomini e donne,
22:5 come me ne sono testimoni il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani; avute da loro delle lettere per i fratelli, mi recavo a Damasco per condurre legati a Gerusalemme anche quelli che erano là, perché fossero puniti.
22:6 Mentre ero per strada e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, improvvisamente dal cielo mi sfolgorò intorno una gran luce.
22:7 Caddi a terra e udii una voce che mi disse: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?"
22:8 Io risposi: "Chi sei, Signore?" Ed egli mi disse: "Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti".
22:9 Coloro che erano con me videro sì la luce, ma non intesero la voce di colui che mi parlava.
22:10 Allora dissi: "Signore, che devo fare?" E il Signore mi disse: "Àlzati, va' a Damasco, e là ti saranno dette tutte le cose che ti è ordinato di fare".
22:11 E siccome non ci vedevo più a causa del fulgore di quella luce, fui condotto per mano da quelli che erano con me; e, così, giunsi a Damasco.
22:12 Un certo Anania, uomo pio secondo la legge, al quale tutti i Giudei che abitavano là rendevano buona testimonianza,
22:13 venne da me, e, accostatosi, mi disse: "Fratello Saulo, ricupera la vista". E in quell'istante riebbi la vista e lo guardai.
22:14 Egli soggiunse: "Il Dio dei nostri padri ti ha destinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua bocca.
22:15 Perché tu gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai viste e udite.
22:16 E ora, perché indugi? Àlzati, sii battezzato e lavato dei tuoi peccati, invocando il suo nome".
22:17 Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio fui rapito in estasi,
22:18 e vidi Gesù che mi diceva: "Affrèttati, esci presto da Gerusalemme, perché essi non riceveranno la tua testimonianza su di me".
22:19 E io dissi: "Signore, essi sanno che io incarceravo e flagellavo nelle sinagoghe quelli che credevano in te;
22:20 quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di coloro che lo uccidevano".
22:21 Ma egli mi disse: "Va' perché io ti manderò lontano, tra i popoli"".



http://camcris.altervista.org/nt_atti.html

http://groups.google.com/group/studio-biblico?hl=it

GESU' PERSONAGGIO STORICO

DOCUMENTI SU GESÙ
Fonti pagane

Possediamo notizie su Gesù nelle opere di alcuni scrittori latini. Oltre a particolari propri, tutti ci attestano che egli è veramente esistito.

PLINIO IL GIOVANE (62-114 d.C.). Quando era governatore della Bitinia, in una lettera inviata all'imperatore Traiano nel 112, domanda come debba comportarsi nei confronti dei cristiani. Brevemente riferisce che alcune persone, una volta cristiane, ma poi allontanatesi dalla Chiesa perché l'imperatore aveva proibito le associazioni segrete, avevano fatto delle rivelazioni sui loro servizi religiosi. Al riguardo riferisce: "Adfirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere..."
"Affermavano inoltre che tutto il loro crimine o errore sarebbe consistito nel fatto che solevano riunirsi in un giorno determinato della settimana, prima del sorgere del sole, e cantare un inno a Cristo come a un Dio...".

Traiano risponde in modo tollerante: non ricercare i cristiani, ma se denunciati non con lettera anonima, bisogna punirli se non accettano di sacrificare agli Dei.
Un secolo più tardi Tertulliano rimprovererà all'imperatore la illogicità di questa strana sentenza affermando: se ritieni colpevoli i cristiani, perché non vai anche a cercarli? Se non li ritieni colpevoli perché condanni quelli che vengono denunciati?

PUBLIO CORNELIO TACITO (55-120 d.C.). Verso il 116 Tacito, grande storico romano, scrive la storia dell'impero tra gli anni 14 e 68 d.C. servendosi anche delle Storie di Plinio il Vecchio, testimone della caduta di Gerusalemme. Nei suoi Annali descrive tra l'altro l'incendio di Roma verificatosi nell'anno 64. Incendio che il popolo attribuì a Nerone il quale, per scagionarsi non trovò di meglio che accusare i cristiani: "Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia, quin iussum incendium crederetur ergo abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus chrestianos appellabat austor nominis eius Christus, Tiberio imperitante, per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfestus erat". "Ma l'oltraggiosa convinzione che l'incendio fosse stato ordinato non cessava né con mezzi umani, né con le elargizioni sovrane, né con i sacrifici espiatori, per cui Nerone, volendo mettere a tacere questa diceria, diede la colpa ad altri e punì con raffinati supplizi coloro che la gente chiamava "crestiani" e che, a causa delle loro scelleratezze, erano odiati da tutti. Questo nome ha avuto origine da Cristo, che fu condannato a morte sotto il regno di Tiberio dal procuratore Ponzio Pilato".

CAIO SVETONIO TRANQUILLO (75-150 d.C.). In qualità di segretario privato sotto l'imperatore Traiano e Adriano, aveva libero accesso agli archivi imperiali. Scrisse verso il 120 la Vita dei dodici Cesari nella quale a proposito di Claudio (41-54 d.C.) riferisce: "Judaeos, impulsore Chresto, adsidue tumultuantes Roma expulit". "espulse da Roma i Giudei i quali, istigati da un certo Crestos, provocavano spesso tumulti". È molto probabile che con l'espressione "impulsore Chresto " ci si riferisca a Cristo; ciò risulta dal fatto che era usuale accanto a "Christus" anche la scrittura "Chrestos". Anche Tacito parla di "Chrestiani" e dal contesto risulta cvidente che si riferisce ai seguaci di Cristo.

MARA BAR SERAPION. Un manoscritto siriaco del VII secolo contiene il testo di una lettera del siriano Mara Bar Serapion a suo fratello Serapione. La lettera è certamente successiva al 73 d.C.: "Che vantaggio trassero gli ateniesi dal condannare a morte Socrate?... gli uomini di Samo dal bruciare Pitagora?... i giudei dal giustiziare il loro sapiente Re? Fu proprio dopo tale [delitto] che il loro regno fu distrutto [evidentemente la distruzione di Gerusalemme]. Dio giustamente vendicò questi tre uomini saggi: gli ateniesi morirono di fame; gli uomini di Samo furono sopraffatti dal mare; i giudei, rovinati e cacciati dalla loro terra, vivono in completa diaspora. Ma Socrate non morì per i buoni; continuò a vivere nell'insegnamento di Platone. Pitagora non morì per i buoni; continuò a vivere nella statua di Hera. Né morì per i buoni il Re sapiente; continuò a vivere nell'insegnamento che aveva impartito" . A differenza dei precedenti documenti, qui il riferimento a Gesù è indiretto, tuttavia il testo che presenta Socrate e Pitagora quali personaggi storici, pone accanto a loro come figura storica anche il "saggio Re" dei Giudei. Questi non può essere che Gesù di Nazaret, il quale fu giustiziato (crocifisso) e con il suo messaggio dette "nuove leggi" all'umanità.

Fonti giudaiche

Le fonti giudaiche non riportano molte notizie su Gesù e in genere dimostrano un atteggiamento ostile.

TALMUD BABILONESE. È una raccolta di riflessioni e di tradizioni ebraiche. "Viene tramandato: Alla vigilia (del sabbat e) della pasqua si appese Jesu (il nazareno). Un banditore per quaranta giorni andò gridando nei suoi confronti: "Egli (Jesu il nazareno) esce per essere lapidato, perchè ha praticato la magia e ha sobillato e deviato Israele. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e l'arrechi per lui". Ma non trovarono per lui alcuna discolpa, e lo appesero alla vigilia (del sabbat e) della pasqua". Il Talmud riporta notizie su Gesù non conformi a verità, però è importante perché indica come data della morte di Cristo il 14 di Nisan, la stessa segnalata nel vangelo di Giovanni.

GIUSEPPE FLAVIO. Storico di rilievo della nazione giudaica. Nato a Gerusalemme nel 37 da famiglia di stirpe sacerdotale, abitò a lungo in questa città. Conobbe la prima comunità cristiana di cui si interessò con atteggiamento critico. Passato al servizio della dinastia dei Flavi, partecipò con i romani alla distruzione di Gerusalemme nell'anno 70. Nella sua opera Antichità giudaiche, pubblicata a Roma intorno al 93, si trovano due passi importanti.

1° testo: "A quell'epoca visse Gesù, un uomo sapiente (se uomo lo si può chiamare). Egli operò cose mirabili (ed era maestro di quegli uomini che accolgono con gioia la verità). Molti Giudei e pagani egli attrasse a sé. (Egli era il Messia). E quando su accusa dei nostri uomini più autorevoli Pilato lo ebbe condannato alla morte di croce, coloro che lo avevano amato, non desistettero. (Egli infatti apparve loro vivente il terzo giorno, come avevano annunziato di lui, fra mille altre cose mirabili, i Profeti inviati da Dio). E fino ad oggi non è più venuta a cessare la comunità di coloro che da lui traggono il nome di Cristiani". Questo testo, riportato in tutti i codici antichi, è importante per attestare la storicità di Gesù, ma contiene alcune espressioni che con molta probabilità furono interpolate da mano cristiana e sono quelle incluse tra parentesi. Sorprende infatti una testimonianza a favore della messianità di Gesù da parte di un giudeo ostile alla nuova religione.
A conferma del tenore originale del testo esiste una versione araba (pubblicata nel 1971). Essa è particolarmente degna di fede, in quanto è stata riportata da un ambiente cristiano che non aveva certo interesse a ridurre la figura di Gesù. "In questo tempo ci fu un uomo saggio che era chiamato Gesù. La sua condotta era buona ed era noto per essere virtuoso. E molti fra i giudei e fra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma quelli che erano diventati suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo; forse, perciò, era il Messia, del quale i profeti hanno raccontato meraviglie" .

2° testo: "Il Sommo Sacerdote Anna riuni il Sinedrio a giudizio e fece comparire davanti ad esso Giacomo, fratello di Gesù detto il Cristo, e con lui alcuni altri, e li condannarono a morte mediante lapidazione". Si tratta di Giacomo, capo della comunità di Gerusalemme, lapidato nella Pasqua del 62 e denominato anche da S. Paolo " fratello del Signore " (E' molto probabile che si tratti di un "vero fratello" di Gesù; và però ricordato che in aramaico sono chiamati fratelli anche i parenti prossimi).
Ci si può domandare perché le fonti non cristiane siano così esigue a proposito di Gesù. Benché le testimonianze che possediamo siano sufficienti a renderci certi della sua esistenza, è possibile rispondere a questo interrogativo citando quanto scrive Vittorio Messori: "Nessuno di quegli scrittori avrebbe potuto occuparsi di lui [Gesù] se non per inciso. Essi parlano di coloro che furono "re" nell'ordine della forza e della sapienza. Le tracce che Gesù ha lasciato non sono quelle su cui si basa la storia ufficiale: palazzi reali, templi, monete con il suo nome e il suo profilo, segni di guerre e di conquiste. Egli ha lasciato solo un elemento impalpabile, in apparenza insignificante: la sua parola, affidata a un gruppo di rozzi provinciali. Non è un caso, infatti, che le testimonianze antiche più che di lui parlino degli effetti "politici" della sua esistenza. Gli storici, cioè, non hanno colto il Cristo, confuso com'era nel torrente delle vicende orientali. Hanno notato invece il cristianesimo, che andava organizzandosi come vivace e inquietante "gruppuscolo" che era impossibile disperdere" .

Fonti cristiane

Se i documenti giudaici e pagani attestano l'esistenza storica di Gesù, è a quelli cristiani che dobbiamo rivolgerci per conoscere chi sia veramente Gesù, la sua vita, il suo messaggio. Le fonti cristiane, ossia i 27 libri del Nuovo Testamento, costituiscono la documentazione più antica ed autorevole.

I VANGELI

In quattro redazioni diverse ci mettono in contatto con la figura storica di Gesù e con il suo insegnamento, ossia con quello che Gesù ha detto e fatto nella sua vita pubblica, fino alla sua morte e risurrezione.

Scritti in greco nella seconda metà del I secolo, vennero attribuiti dalla antica tradizione a quattro autori diversi. Due apostoli: Matteo e Giovanni; due discepoli di apostoli: Marco e Luca.
Matteo e Luca iniziano dalla nascita di Gesù, Marco dalla predicazione del Battista, Giovanni dalla preesistenza di Gesù come Verbo presso Dio.

La più antica testimonianza è quella di Papia, vescovo di Gerapoli. Nella sua opera scritta verso il 120 (ampiamente citata da Eusebio) riferisce esplicitamente che Matteo, Marco e Giovanni scrissero un vangelo. L'importanza storica di tale attestazione è dovuta al fatto che Papia stesso dichiara di aver attinto le sue informazioni direttamente dai discepoli degli apostoli.

Ireneo, nato a Smirne verso il 130, fu discepolo del vescovo Policarpo (a sua volta discepolo diretto dell'apostolo Giovanni). Trasferitosi con la comunità cristiana a Lione, ne divenne vescovo. Fu dunque un testimone qualificato sia della Chiesa orientale che di quella occidentale. Scrive verso il 180: "Matteo, che stava tra gli Ebrei, pubblicò il vangelo in ebraico mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma, e vi fondarono la Chiesa. Dopo la partenza di questi, anche Marco, il discepolo e l'interprete di Pietro, trascrisse ciò che Pietro aveva insegnato, e Luca, compagno di Paolo, redasse il vangelo annunziato da quello. Di poi Giovanni, discepolo del Signore che riposò sul suo petto, pubblicò il suo vangelo dimorando a Efeso nell'Asia".

Sempre nel secolo II merita attenzione la testimonianza di Giustino, martire a Roma nel 165. Nella prima Apologia e nel Dialogo con Trifone parla delle "memorie degli apostoli" e precisa che si chiamano vangeli.
Il Canone Muratoriano, elenco dei libri sacri risalenti al II secolo (ritrovato da L. Muratori e attualmente alla Biblioteca Ambrosiana di Milano), mutilo nella parte riguardante Matteo e Marco, menziona espressamente Luca e Giovanni.

Altri scritti anche più antichi dei precedenti, come la Didaché, una specie di catechismo databile verso la fine del primo secolo, e la lettera di Clemente Romano, citano già i quattro vangeli come libri sacri, anche se non hanno occasione di parlare dei loro autori.

Inoltre il nome degli evangelisti risulta dalle opere di Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene, composte verso il 200.

Da ciò che si è detto qui in breve si rileva che a metà del II secolo la comunità cristiana primitiva conosceva i quattro vangeli e dava loro importanza storica come a libri provenienti dal tempo degli apostoli e come documenti che procedevano dalla trasmissione orale di essi.

ATTI DEGLI APOSTOLI

Con il terzo vangelo in principio costituirono una sola opera che noi oggi intitoleremmo "Storia delle origini cristiane". Negli Atti infatti, viene presentato lo sviluppo della Chiesa fondata da Gesù, nei suoi momenti essenziali sotto l'azione dello Spirito Santo.
L'arco di tempo considerato va dall'anno 30 al 63.
È riportato il primo annuncio su Gesù fatto da Pietro ai suoi contemporanei, quando ancora questo poteva essere controllato dai testimoni oculari dei fatti. La separazione dal testo del vangelo avvenne quando i cristiani desiderarono possedere i quattro vangeli in un solo codice. Ciò dovette avvenire molto presto, prima del 150.
L'autore degli Atti è identificato concordemente dalla tradizione della Chiesa con Luca. Lo dimostra la testimonianza del Canone Muratoriano, del Prologo antimarcionita, di Ireneo, degli scrittori alessandrini e di Tertulliano.

LETTERE DI S. PAOLO

L'apostolo delle genti ci è noto, più di qualsiasi altra personalità del N.T., dalle sue Lettere e dagli Atti degli Apostoli, due fonti indipendenti che si confermano e si completano vicendevolmente. Da accanito persecutore della giovane Chiesa cristiana, fu improvvisamente convertito sulla via di Damasco dall'apparizione di Gesù risorto che, manifestandogli la verità della fede cristiana, gli annunciò la sua speciale missione di apostolo dei pagani. Le sue lettere (redatte tra il 50 e il 67 circa) contengono tutte una stessa dottrina fondamentale incentrata intorno al Cristo morto e risorto, dottrina che si adatta, si sviluppa e si arricchisce secondo particolari esigenze pastorali. Lo stesso Paolo dichiara di aver confrontato la sua fede e averne ricevuta l'approvazione da Pietro e dagli altri Apostoli.

Fanno parte del N.T. anche le Lettere cattoliche e l'Apocalisse. Non ci informano direttamente sulla vita di Gesù, ma si interessano dei problemi riguardanti le prime comunità cristiane. Ne suppongono tuttavia l'esistenza come una realtà da tutti ammessa e conosciuta.

Vangeli apocrifi

Sono scritti posteriori ai vangeli. Benché redatti ad imitazione di essi, ne risultano profondamente diversi.
Infatti molto spesso oltre ad inesattezze storiche, cedono con eccessiva frequenza al bisogno del fantastico e del miracolistico e alla necessità di dare un fondamento a talune eresie.
Scritti da autori ignoti, per dar loro maggior credito sono stati a volte falsamente attribuiti a qualche apostolo (es. Protoevangelo di Giacomo, Vangelo di Pietro, di Tommaso, ecc.). Se da una parte manifestano il loro aperto carattere leggendario, dall'altra confermano l'esistenza storica di Gesù e l'interesse notevole suscitato dalla sua persona.
Non si può tuttavia escludere che contengano qualche ricordo autentico su Gesù.
La Chiesa non li ha mai accettati perché privi di autorità storica. Questo rifiuto rivela la preoccupazione di conservare e trasmettere inalterati i testi autentici dei quattro vangeli, dichiarati canonici, ossia normativi per la fede cristiana di tutti i tempi.


--------------------------------------------------------------------------------

LA CRONOLOGIA DELLA VITA DI GESÙ

Dai documenti citati risulta certa l'esistenza storica di Gesù. Anzi, basandoci sui vangeli è possibile fissare con approssimativa sicurezza alcune date riguardanti la sua vita. Al riguardo occorre premettere, come vedremo meglio in seguito, che gli evangelisti non si sono preoccupati di redigere una biografia accurata e ricca di dati cronologici, ma hanno voluto presentare "l'evento" Gesù e il suo messaggio. Quindi lo schema cronologico da essi usato è fondato nella storia anche se risulta molto semplificato perché adattato allo scopo catechetico che si erano prefissi.

Gesù nacque prima della morte di Erode il grande. "Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode" (Mt 2,1).

Secondo i computi del dotto monaco Dionigi il Piccolo (morto a Roma intorno al 550), che i Papi medievali fecero propri, Cristo sarebbe nato nell'anno 754 dopo la fondazione di Roma; egli designò pertanto quest'anno come l'anno I della nuova numerazione, rimasta in uso fino ad oggi: ma si è scoperto che il suo computo era sbagliato: Erode il Grande, che era ancora sul trono al tempo della nascita di Gesù, è morto nell'anno 750 della fondazione di Roma". Gesù nacque pertanto qualche anno prima, cioè circa il 6 a.C.

"In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio" (Lc 2,1-2). Il censimento indetto dall'imperatore Ottaviano Augusto è un altro riferimento per stabilire la data della nascita di Gesù. Secondo Luca questo censimento a scopo tributario ebbe luogo sotto l'imperatore Augusto (30 a.C.-14 d.C.) e il governatore Quirinio; questi ha amministrato la Siria due volte. Ci si può domandare se non avesse già iniziato il censimento alla fine del primo periodo di governo, ossia verso il 7 a.C.

I vangeli non dicono nulla circa il mese e il giorno della nascita di Gesù. La scelta del 25 dicembre risale alla fine del regno di Costantino (morto nel 337) in sostituzione della festa pagana dedicata al "natale del Sole invitto". La Chiesa trasformò così la solennità pagana del dio Sole nella festa dell'apparizione del vero " sole di giustizia" Cristo che "illumina ogni uomo". Nell'antico "cronografo" del 354 al 25 dicembre si legge questa nota: "Ottavo giorno delle Calende di gennaio: Cristo nasce a Betlemme di Giudea".

Inizio e durata della vita pubblica "Nell 'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Ciudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'lturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto" (Lc 3,1-2).

"Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni" (Lc 3,23).

Luca colloca l'anno quindicesimo di Tiberio come data di inizio del ministero di Giovanni il Battista. Poco dopo Gesù ricevette il battesimo e iniziò a sua volta la vita pubblica. Poiché l'imperatore Augusto è morto l'anno 14 della nostra epoca, l'anno quindicesimo di Tiberio è il 27-28 d.C.

Lo stesso dato trova conferma in un particolare conservato nel quarto vangelo: durante la prima pasqua di Gesù a Gerusalemme i Giudei gli obiettano: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni... '' (Gv 2,20). Ora poiché Erode intraprese la ricostruzione del Tempio attorno all'anno 19 a.C., l'inizio del ministero pubblico di Gesù, quarantasei anni dopo, può stare sugli anni 28-27.


Più complessa è la questione riguardante la durata del ministero pubblico di Gesù: un anno, due, tre? I Sinottici [Matteo, Marco, Luca] ... schematizzano il ministero pubblico in una narrazione che sembra stare nello spazio di un anno. Il quarto vangelo invece parla esplicitamente di tre pasque (2,13; 6,4; 11,55), per cui si impone un ministero pubblico della durata di due anni e alcuni mesi. Questo vangelo è oggi riconosciuto come il più esatto nella datazione.

Infine, è assolutamente certo che Gesù morì il giorno di Parasceve [preparazione del sabato], venerdì.
Stando ai sinottici quel venerdì era il giorno solenne di Pasqua, il 15 del mese di Nisan, per cui Gesù la sera precedente fece la Cena pasquale con i discepoli (non dimentichiamo che il giorno si computava, allora come oggi in Israele, da un tramonto all'altro).
Secondo Giovanni invece quel venerdì era la vigilia di un sabato solenne [la Pasqua], e soltanto a sera, al tramonto, i Giudei avrebbero immolato l'agnello e fatta la Cena pasquale.
Le due fonti sembrano contraddirsi, ed è necessario procedere alla ricerca di una soluzione.
Leggendo attentamente i sinottici riscontriamo dei dati che farebbero pensare che veramente quel venerdì non fosse il giorno di Pasqua, ma un giorno feriale. Infatti ci sono delle guardie armate (Mc 14,47), un uomo viene dal lavoro dei campi (15,21), un altro compera un lenzuolo (15,46); tutte azioni vietate nel grande giorno di Pasqua. Pertanto bisogna ancora una volta stare alla cronologia del quarto vangelo: quel venerdì era la vigilia di Pasqua, il 14 Nisan.
Ma allora come si spiega la Cena pasquale al giovedì anzichè al venerdì sera?... forse Gesù anticipò di un giorno al Cena perchè presagiva che il giorno seguente avrebbe celebrato la Pasqua immolato sulla croce.

Poiché il 14 Nisan corrisponde al 7 aprile dell'anno 30, questa è, a giudizio degli studiosi, la data più probabile della morte di Gesù.
Non deve stupire questa discordanza dal momento che, come si è già accennato, i vangeli non sono una cronaca. Tali divergenze segnalano semmai come gli evangelisti si attengano fedelmente alle loro fonti, senza cercare di accordarle forzatamente tra di loro.



http://gesustorico.altervista.org/gesupersonaggiostorico.htm

GERMANIA RICORDA LA NOTTE DEI CRISTALLI

2008-11-07 18:54
GERMANIA RICORDA LA NOTTE DEI CRISTALLI
(di Gaetano Stellacci)

BERLINO - L'antisemitismo in Germania pur 70 anni dopo i pogrom nazisti del 9 novembre 1938 non è cosa del passato, come ha potuto provare di persona in questi giorni il governatore della Bassa Sassonia, Christian Wulff (Cdu). Quest'anno la Germania riunificata dopo la caduta del muro di Berlino, anch'essa avvenuta un 9 novembre ma del 1989, ha deciso di attribuire maggiore importanza ai tre quarti di secolo trascorsi dagli avvenimenti considerati lo spartiacque nella Germania di Adolf Hitler tra la prima fase di aperta discriminazione degli ebrei tedeschi già in atto dal 1933 e la persecuzione violenta sistematica che tre anni dopo nel 1941 si trasformò nella Shoah.

Una cerimonia centrale di commemorazione si svolgerà domenica a Berlino, con la cancelliera Angela Merkel e la presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Charlotte Knobloch, sopravvissuta all'Olocausto. Il terrore portato avanti soprattutto dagli squadristi nazisti Ss e Sa, culminato nella cosiddetta Reichskristallnacht (la Notte dei Cristalli del Reich, una definizione coniata dai nazisti ma da anni rifiutata in Germania soprattutto dalla comunità ebraica secondo la quale abbellisce il nome di una operazione di terrore contro gli ebrei, costata la vita di alcune centinaia di persone e l'internamento di altre 30 mila in campi di concentramento) è ricordato con una mostra "Al Fuocos!" inaugurata ieri alla Nuova Sinagoga di Berlino con documenti, foto e racconti in viva voce di testimoni oculari. In Germania gli avvenimenti tra il 7 e il 13 novembre 1938 da anni sono noti piuttosto come i Novemberpogrom, i pogrom di novembre.

Pogrom è una parola yiddish proveniente dal russo per indicare gli attacchi contro comunità ebraiche nell'Europa centro-orientale. Una parola entrata nell'uso comune dei tedeschi, tanto che il governatore della Bassa Sassonia, Christian Wulff (Cdu), ieri l'ha usata per criticare gli attacchi dell'opinione pubblica contro gli alti stipendi dei manager tedeschi, attirandosi richieste di dimissioni dall'opposizione per la sua insensibilità al tema dell'antisemitismo. Wulff ha parlato di "atmosfera da pogrom" nel dibattito sulle paghe eccessive dei manager tedeschi, reso di grande attualità dal peggioramento della congiuntura economica e della crisi dei mutui internazionali. Wulff, un giovane politico senza simpatie per l'estrema destra, si è scusato pubblicamente. "Io avrei tanto desiderato che gli ebrei nel 1938 fossero stati trattati come i manager odierni in Germania" ha aggiunto poi a chiusura del dibattito il segretario generale del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Stephan Kramer.

Secondo i dati forniti dal governo tedesco il 4 novembre scorso, quando il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una mozione contro l'antisemitismo , tra gennaio e settembre 2008 in Germania ci sono stati 797 casi di antisemitismo (in aumento rispetto ai 716 dello stesso periodo del 2007), con attacchi antiebraici e 27 feriti. In quella occasione fu approvata una mozione presentata da Cdu, Spd, Fdp e Verdi, e separatamente, dalla Sinistra, in quanto la Cdu non aveva voluto una mozione comune con gli eredi politici dell'ex Germania comunista dove l'antisemitismo, a giudizio degli storici, era più diffuso anche per assenza di un dibattito in materia. La Linke ha presentato quindi una mozione identica a quella degli altri quattro gruppi, approvata a grande maggioranza.
(gaetano.stellacci@ansa.it).

http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/approfondimenti/visualizza_new.html_815875851.html

"I ragazzi di Villa Emma"

Trasmissione "I ragazzi di Villa Emma" (12 novembre 2008)
Nella serie “La Storia siamo noi” presenta “I ragazzi di Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga” di Aldo Zappala’ in onda su Rai Tre:

Mercoledì 12 novembre alle ore 08.05 e 00.40


La straordinaria storia di 73 ragazzi ebrei in fuga per mezza Europa sconvolta dalla guerra, ospitati e poi nascosti dalla gente di Nonantola (Modena) ai rastrellamenti delle SS e aiutati a fuggire in Svizzera. La storia di una fuga verso la salvezza raccontata da quei ragazzi ormai diventati uomini e donne che vivono in terra di Israele.
In un mondo impazzito dove si sta consumando il crimine più odioso, la morte per stenti e nei campi di sterminio di più di un milione e mezzo di bambini ebrei, l’incredibile storia di 73 ragazzi in fuga per mezza Europa sconvolta dalla guerra, ospitati e poi nascosti dalla gente di Nonantola (Modena) ai rastrellamenti delle SS e aiutati a fuggire in Svizzera verso la salvezza.

A La Storia Siamo Noi la vicenda avventurosa, raccontata proprio da quei ragazzini oggi diventati vecchi e che vivono tutti in Israele, avvenuta durante la seconda guerra mondiale. 73 bambini, per la maggior parte ebrei di origine tedesca, che con le SS alle calcagne vengono prima accolti in Jugoslavia, poi in Slovenia, infine in Italia, a Nonantola un paesino vicino Modena dove rimangono un anno. Ma con l’otto settembre 1943 a Modena arrivano le SS. I ragazzini saranno nascosti dagli abitanti del paese e aiutati a fuggire a piccoli gruppi in Svizzera.

La storia di Villa Emma e dei bambini ebrei sottratti alla persecuzione nazista non può spiegarsi senza la generosità e il coraggio degli abitanti di Nonantola che fecero di tutto per stendere un invisibile muro protettivo attorno ai piccoli ebrei.
Giugno 1942: 43 ragazzi ebrei in fuga scendono alla stazione di Nonantola. Ad attenderli Villa Emma, residenza di campagna dove troveranno rifugio, tra paure e sogni in attesa della terra promessa. I 40 bambini ebrei, che arrivarono il 17 giugno 1942 a Nonantola, erano in realtà in fuga verso la Palestina, quando l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia gli bloccò la strada nel 1941. Nell'aprile del 1943 si aggiunse un secondo gruppo di 33 piccoli ebrei arrivati da Spalato.
In tutto 73 ragazzi, di età dai 6 ai 21 anni, tutti orfani che avevano perso i genitori nei campi di concentramento. A Villa Emma i bambini e ragazzi vissero insieme ai loro accompagnatori e ai loro educatori, Josef Indig, Marco Schoky e il pianista Boris Jochverdson, in condizioni modeste. Eppure molti di loro ricorderanno quel periodo come uno dei più felici della loro vita.
Con l'occupazione tedesca dell'Italia dopo l'8 settembre 1943 e l'arrivo delle truppe tedesche a Nonantola, la situazione cambiò radicalmente. In meno di 48 ore Villa Emma fu abbandonato e le ragazze e i ragazzi trovarono rifugio presso il seminario dell'Abbazia e nelle case dei contadini, degli artigiani e negozianti dei dintorni.
Un grande coraggio in questa situazione fu dimostrato da Don Arrigo Beccari. Per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi venne organizzata la fuga attraverso la frontiera con la Svizzera, che avvenne tra il 28 settembre al 16 ottobre 1943. Nell'oscurità i bambini guadarono il fiume Tresa e arrivarono in Svizzera da dove la maggior parte di loro, dopo una fuga durata 5 anni, arrivò in Palestina nel maggio del 1945. Uno dei ragazzi, ammalatosi di tubercolosi e ricoverato in un sanatorio, non riuscì a fuggire. Il suo nome si ritrova nell'elenco di un convoglio per Auschwitz.
Don Arrigo Beccari e il medico Giuseppe Moreali sono stati in seguito onorati nello Yad Vashem per l'aiuto coraggioso e generoso da loro prestato, ed è stato loro dedicato un albero nel Viale dei Giusti.

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=352&Itemid=1

Le parole per non dirlo

Le parole per non dirlo

di Yonatan Mendel,

London Review of books, Gran Bretagna

da Internazionale 736, 21 marzo 2008

I palestinesi sequestrano, aggrediscono, uccidono. I militari di Tel Aviv arrestano, reagiscono, sgombrano. Un giornalista israeliano analizza come la stampa del suo paese parla del conflitto



Nel 2007 ho provato a farmi assumere dal quotidiano israeliano Maariv come corrispondente dai Territori occupati. Oltre a parlare arabo e ad aver insegnato nelle scuole palestinesi, avevo partecipato a molti progetti congiunti israelo-palestinesi. Durante il colloquio con il direttore mi ha chiesto come potevo pensare di essere obiettivo: avevo trascorso troppo tempo con i palestinesi, quindi sicuramente avevo un pregiudizio favorevole nei loro confronti. Così non ho avuto il posto.

Il colloquio successivo l'ho fatto con Walla, il sito web più frequentato di Israele. Quella volta mi è andata bene e sono diventato il corrispondente di Walla dal Medioriente. Non mi ci è voluto molto a capire cosa voleva dire Tamar Liebes, direttrice dello Smart Institute of Communication della

Hebrew University, quando affrmava: "I giornalisti e gli editori si comportano come degli attivisti del movimento sionista e non come osservatori esterni".

Con questo non voglio dire che i giornalisti israeliani manchino di professionalità. Giornali, tv e radio denunciano con una determinazione lodevole la corruzione, la decadenza sociale e la disonestà dilaganti. Il fatto che gli israeliani abbiano saputo quello che ha fatto l'ex presidente

Moshe Katsav con le sue segretarie dimostra che i mezzi d'informazione del paese fanno il loro dovere anche a rischio di suscitare scandali. Gli intrallazzi di Ehud Olmert per l'acquisto di un appartamento, le relazioni clandestine di Benyamin Netanyahu, il conto segreto aperto da Yitzhak

Rabin in una banca statunitense sono tutti argomenti che la stampa israeliana ha trattato con la massima libertà.

Altrettanta libertà non esiste invece sulle questioni che riguardano la sicurezza. In quel caso, ci siamo "noi" e "loro", le forze armate israeliane e il "nemico". Le valutazioni di ordine militare - le uniche consentite - sovrastano qualsiasi altro discorso. Il problema non è che i giornalisti israeliani obbediscono a degli ordini o si attengano ad un codice scritto: è solo che si fidano delle forze di sicurezza del paese.

Nella maggior parte degli articoli sul conflitto arabo-palestinese si contrappongono due schieramenti: da una parte le Forze di difesa israeliane (Idf) e dall'altra i palestinesi. Quando si parla di uno scontro violento, le Idf confermano oppure l'esercito dichiara, mentre i palestinesi

sostengono: "I palestinesi sostengono che negli scontri a fuoco con le Idf è stato gravemente ferito un neonato". Sono invenzioni? "I palestinesi sostengono di essere stati minacciati dai coloni israeliani".

Ma chi sono questi palestinesi? L'intero popolo palestinese, gli arabi israeliani, gli abitanti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, quelli che vivono nei campi profughi dei paesi confinanti, quelli della diaspora? Perché un articolo parla di una tesi sostenuta dai palestinesi?

Perché non si cita quasi mai un nome, un ufficio, un'organizzazione, insomma una qualsiasi fonte a cui attribuire le dichiarazioni? Forse perché questo le farebbe apparire più credibili?

Quando i palesinesi non sostengono nulla, il loro punto di vista rimane semplicemente inascoltato.

Il Centro per la difesa della democrazia in Israele (Keshev) ha analizzato il modo in cui le principali tv e i grandi giornali israeliani hanno parlato delle vittime palestinesi nel dicembre del 2005.

Risultato: in 48 articoli si dava notizia della morte di 22 palestinesi, ma solo in otto si riportava anche una dichiarazione dei palestinesi, oltre alla versione dell'esercito israeliano. Negli altri quaranta articoli la notizia era data solo dal punto di vista delle Idf.

Un altro esempio: secondo la stampa israeliana, nel giugno del 2006 - quattro giorni dopo il rapimento del soldato Gilad Shalit nel versante israeliano della barriera di sicurezza che circonda Gaza - Israele ha arrestato una sessantina di militari di Hamas, di cui trenta erano parlamentari e otto erano militari del governo palestinese.

Con un'operazione accuratamente pianificata Israele ha catturato e imprigionato il ministro palestinese per gli affari di Gerusalemme, i ministeri delle finanze, dell'istruzione, degli affari religiosi e di quelli strategici, dell'interno, dell'edilizia e degli istituti carcerari, nonchè i sindaci di Betlemme, di Jenin e di Qalqilya, più il presidente del parlamento palestinese e un quarto dei suoi deputati. Il fatto che questi alti funzionari siano stati prelevati dai loro letti in piena notte e trasferiti

in territorio israeliano non era un rapimento. Israele non rapisce: Israele arresta.

L'esercito israeliano non uccide quasi mai nessuno intenzionalmente, figurarsi se commette un assassinio. Anche quando sgancia una bomba da una tonnellata su una zona di Gaza densamente popolata, provocando la morte di un uomo armato e di 14 civili innocenti tra cui 9 bambini, non si

tratta di un'uccisione intenzionale o di un assassinio, ma di un omicidio mirato. Un giornalista israeliano può dire che i militari delle Idf hanno colpito dei palestinesi, o li hanno uccisi, o uccisi per errore, e che i palestinesi sono stati colpiti, o uccisi, o perfino che hanno trovato la morte

(come se l'avessero cercata), ma non scriverà mai che sono stati assassinati. Qualunque termine si voglia usare, resta il fatto che dall'inizio della seconda intifada sono morti per mano delle Idf 2087 palestinesi che non avevano niente a che fare con la lotta armata.

Per come le dipingono i mezzi di informazione israeliani, le Idf hanno anche un'altra strana caratteristica: non sono mai loro che cominciano, decidono o lanciano un'operazione. Le Idf si limitano a reagire. Reagiscono ai lanci di razzi, reagiscono agli attentati terroristici, reagiscono alle violenza dei palestinesi. Così tutto sembra molto più civile e ordinato: le forze armate israeliane sono costrette a ingaggiare dei combattimenti, a distruggere case, a sparare ai palestinesi

(uccidendone 4.485 in sette anni), ma i soldati non sono responsabili di nessuno di questi fatti. Si trovano davanti a un nemico insidioso e, com'è doveroso, reagiscono. Il fatto che le loro operazioni (il coprifuoco, gli arresti, le sparatorie, le uccisioni) siano la prima causa delle reazioni dei

palestinesi, alla stampa israeliana non interessa. Dato che ai palestinesi non è dato reagire, i giornalisti israeliani usano un altro vocabolario: vendicare, provocare, aggredire, incitare, lanciare pietre o sparare razzi Qassam.

Nel giugno del 2007, intervistando Abu Qusay, portavoce delle Brigate di Aqsa a Gaza, gli ho chiesto perché fossero stati lanciati dei razzi Qassam contro la cittadina israeliana di Sderot: "L'esercito potrebbe reagire", ho osservato senza rendermi conto che le mie parole contenevano già

un pregiudizio. "Ma la nostra è una reazione", ha obiettato Abu Qusay. "Noi non siamo terroristi, non abbiamo intenzione di uccidere. Resistiamo alle continue incursioni dell'esercito israeliano in Cisgiordania, alle sue aggressioni, all'assedio alle nostre risorse idriche, alla chiusura dei nostri

territori". Le parole di Abu Qusay sono state tradotte in ebraico, ma l'esercito israeliano ha continuato a penetrare in Cisgiordania ogni notte. In fin dei conti, era solo una reazione.

In un periodo in cui i raid israeliani contro Gaza erano frequenti, ho chiesto ad alcuni colleghi: "Se un palestinese armato varca il confine, entra in Israele, arriva a Tel Aviv e si mette a sparare alla gente per la strada, lui sarà il terrorista e noi le vittime, giusto? Ma se le forze armate israeliane varcano il confine, penetrano nella Striscia di Gaza per chilometri con i loro mezzi corazzati e cominciano a sparare ai palestinesi armati, chi sarà il terrorista e chi il difensore della sua terra?

Perché i palestinesi che abitano nei Territori occupati non hanno mai il diritto di praticare l'autodifesa, mentre l'esercito israeliano difende il paese?"

Uno dei grafici del giornale, il mio amico Shai, mi ha chiarito come stanno le cose: "Se tu vai a Gaza e ti metti a sparare a casaccio alle persone, sei un terrorista. Ma quando lo fa l'esercito, è un'operazione per la sicurezza di Israele: è l'attuazione di una decisione del governo!".

Dei tipi resistenti

Un'altra interessante distinzione tra loro e noi è emersa quando Hamas ha chiesto il rilascio di 450 militanti prigionieri in cambio del soldato Gilad Shalit. Israele ha annunciato che ne avrebbe liberato alcuni ma non quelli con le mani sporche di sangue. Sono sempre i palestinesi, mai gli

israeliani ad avere le mani sporche di sangue. Il che non significa che un ebreo non possa uccidere un arabo: ma anche se lo fa non avrà mai le mani sporche di sangue. E se viene arrestato sarà scarcerato dopo qualche anno. Per non parlare di quegli israeliani che si sono sporcati le mani di sangue e poi sono diventati primi ministri.

Noi israeliani non solo siamo più innocenti quando uccidiamo: siamo anche più sensibili quando ci fanno del male. Ecco come suona una tipica descrizione del missile Qassam che colpisce Sderot:

"Un Qassam è caduto nei pressi di un edificio abitato da civili. Tre israeliani sono rimasti lievemente feriti e altri dieci sono in stato di shock". Non bisogna sottovalutare queste conseguenze: un missile che colpisce una casa in piena notte può effettivamente provocare un forte shock. Ma lo

shock è solo per gli ebrei. I palestinesi, a quanto pare, sono molto resistenti.

Le Idf - invidia di tutti gli altri eserciti del mondo - uccidono solo le persone importanti. "Un altro esponente di Hamas", sulla stampa israeliana, è diventato quasi un ritornello. Gli esponenti minori di Hamas o non si trovano oppure non vengono mai uccisi. Shlomi Eldar, che fa il corrispondente da Gaza per conto di una rete televisiva israeliana, ha coraggiosamente affrontato il fenomeno nel suo libro del 2005 Eyeless in Gaza (A Gaza senza occhi). Nel 2003, quando è stato assassinato

Riyad Abu Zaid, la stampa israeliana ha riportato il comunicato stampa dell'esercito secondo cui il morto era capo dell'ala militare di Hamas nella Striscia di Gaza. Eldar, che è uno dei pochi giornalisti investigativi israeliani, ha poi scoperto che in realtà si trattava semplicemente del segretario dell'associazione dei prigionieri di Hamas. "E' una delle tante occasioni in cui Israele ha promosso sul campo un militante palestinese", ha commentato Eldar.

"Dopo ogni assassinio mirato, qualsiasi militante di base viene elevato al rango di capo". Questo fenomeno per cui i comunicati delle forze armate diventano direttamente notizie è frutto sia dello scarso accesso alle informazioni sia della scarsa volontà dei giornalisti di cogliere in fallo i militari o di denunciarli come criminali. "Le Idf sono in azione a Gaza" (o a Jenin o a Tulkarem o a Hebron) è la formula usata dall'esercito e ripetuta dalla stampa. Perché rattristare i lettori? Perché raccontargli quello che fanno i soldati, descrivere il terrore che seminano, il fatto che arrivano armati a bordo di veicoli pesanti e soffocano la vita di una città, suscitando ancora più odio, dolore e desiderio di vendetta?

A febbraio scorso, uno dei provvedimenti contro il lancio di razzi Qassam

verso Israele è stato di tagliare la corrente a Gaza per qualche ora al giorno. Anche se questo comporta, tra l'altro, la mancata erogazione di elettricità agli ospedali, è stato scritto che "il governo israeliano ha deciso di approvare questo provvedimento considerandolo un'arma non letale".

Un'altra operazione che i militari effettuano spesso è lo sgombero, in ebraico khisuf. Khisuf significa precisamente "mettere a nudo qualcosa di nascosto", ma nell'uso che ne fanno le forze armate assume il significato di ripulire una zona che potenzialmente può offrire riparo ai ribelli palestinesi.

Nel corso dell'ultima intifada, le ruspe israeliane hanno abbattuto migliaia di case palestinesi, sradicato migliaia di alberi, ridotto in macerie migliaia di serre. Meglio sapere che l'esercito ha sgomberto il posto, invece di guardare in faccia la realtà: le forze armate israeliane distruggono le proprietà, l'orgoglio e la speranza dei palestinesi.

Allo stesso modo, le zone di guerra sono i luoghi in cui i palestinesi possono restare uccisi anche se sono bambini ma non sanno di essere entrati in una zona di guerra. A proposito: tendenzialmente, i bambini palestinesi sono promossi ad adolescenti palestinesi, soprattutto quando vengono uccisi accidentalmente. Altri esempi? Gli avamposti israeliani in Cisgiordania sono definiti avamposti illegali, forse per distinguerli dagli insediamenti israeliani, che a quanto pare sono legali. E ancora: l'Olp viene sempre designato con la sigla ebraica, Ashaf, e mai con la sua denominazione completa.

La parola Palestina non si usa quasi mai: esiste un presidente palestinese, ma non un presidente della Palestina.

Negare la realtà

"Una società in crisi si reinventa un nuovo vocabolario", ha scritto David Grossman, "e pian piano sviluppa una nuova varietà di parole che non descrivono la realtà ma piuttosto cercano di nasconderla". La stampa israeliana ha adottato questa "nuova lingua" spontaneamente, ma chi fosse

in cerca di direttive ufficiali può trovarle nel rapporto Nakdi, scritto dall'Autorità israeliana per le trasmissioni radiotelevisive. Il documento, redatto nel 1972 e aggiornato per tre volte, doveva servire a "esporre chiaramente alcune delle norme deontologiche che governano la professione giornalistica". Tra queste c'era il divieto di usare l'espressione Gerusalemme est. Ma le restrizioni non si limitano alla geografia.

Il 20 maggio 2006 la rete tv più seguita di Israele, Canale 2, ha dato la notizia di "un altro omicidio mirato a Gaza, un omicidio che potrà forse fermare i lanci di razzi Qassam" (negli omicidi mirati sono morte almeno 376 persone, tra cui 150 civili che non erano i bersagli designati). In studio c'era il corrispondente israeliano ed esperto di questioni arabe, Ehud Ya'ari, che ha affermato: "L'ucciso è Muhammad Dahdouh, della Jihad islamica. Questo episodio fa parte dell'altra guerra in corso, una guerra che mira a sfoltire le fila di quelli che lanciano razzi Qassam". Né Ya'ari né il portavoce delle forze armate si sono dati la pena di riferire che nell'operazione erano rimasti uccisi anche quattro

civili palestinesi innocenti e altri tre erano stati gravemente feriti, tra cui una bambina di cinque anni, Maria, che è rimasta paralizzata.

Un altro aspetto interessante è che da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia di Gaza, uno dei nuovi termini dispregiativi usati dai mezzi d'informazione israeliani è Hamastan. E i movimenti come Hamas o il libanese Hezbollah sono definiti organizzazioni, e non movimenti o partiti politici.

Anche il termine arabo Intifada, rivolta, è usato senza mai spiegarne il significato.

A febbraio ho fatto un'esperienza curiosa: ho studiato le reazioni dei giornali all'assassinio, in Siria, di Imad Moughniyeh. In quell'occasione si è assistito a una specie di gara in cui ciascuno cercava di

indicare il morto con una definizione più efficace di quella scelta dagli altri: ultraterrorista, maestro dei terroristi, il più grande terrorista sulla Terra. Ci sono voluti molti giorni prima che la stampa israeliana smettesse di inneggiare agli assassini di Moughniyeh e cominciasse a fare quello che

avrebbe dovuto fare fin dal primo momento, cioè sollevare degli interrogativi sulle conseguenze di quell'uccisione.

Com'è ovvio, i corrispondenti israeliani che si occupano del mondo arabo devono parlare arabo e devono conoscere a fondo la storia e la politica del Medio Oriente. E poi, devono essere ebrei.

Stranamente però, i mezzi d'informazione israeliani preferiscono assumere giornalisti con una conoscenza mediocre dell'arabo, invece di reporter madrelingua, perché in questo caso si tratterebbe certamente di arabo-israeliani.

Se le parole occupazione, apartheid e razzismo (figuriamoci poi palestinesi con cittadinanza israeliana, bantustan, pulizia etnica e nakba) sono completamente assenti dai loro discorsi pubblici,

gli israeliani possono passare tutta la vita senza conoscere la realtà in cui vivono. Prendiamo per esempio il razzismo, in ebraico giz'anut. Se una legge del parlamento israeliano prescrive che il 13 per cento dei terreni del paese può essere venduto esclusivamente ad acquirenti ebrei, il parlamento

è razzista. Se in sessant'anni il paese ha avuto un unico ministro arabo, allora Israele ha avuto dei governi razzisti. Se in sessant'anni di manifestazioni i proiettili di gomma e le munizioni sono stati

usati solo contro i manifestanti arabi, vuol dire che Israele ha una polizia razzista. Se il 75 per cento degli israeliani ammette che non vorrebbe avere un arabo per vicino di casa, allora la società israeliana è razzista. Se non si riconosce apertamente che Israele è un paese dove le relazioni tra gli

ebrei e gli arabi sono segnate dal razzismo, sarà impossibile per gli ebrei israeliani affrontare la realtà. Lo stesso atteggiamento di negazione dell'evidenza si riscontra nella tendenza a evitare il termine apartheid. Per gli israeliani è molto difficile usarlo perché il termine si riferisce al Sudafrica

bianco. Questo non significa che oggi nei Territori occupati ci sia un regime identico a quello del Sudafrica razzista.

Ma per instaurare un regime di apartheid non occorre che ci siano delle panchine pubbliche riservate ai bianchi. In fin dei conti apartheid significa separazione, e se nei Territori occupati i coloni israeliani hanno una strada solo per loro, mentre i palestinesi sono costretti a usare strade

alternative o addirittura dei tunnel, significa che il sistema stradale è all'insegna dell'apartheid.

Se il muro di sperazione costruito sulle terre confiscate agli abitanti della Cisgiordania separa le persone, allora è un muro dell'apartheid.

Se nei Territori occupati esistono due sistemi giudiziari, uno per i coloni ebrei e l'altro per i palestinesi, allora siamo di fronte a una giustizia dell'apartheid.

Nei ranghi

Ma veniamo proprio ai Territori occupati. Sembra incredibile, ma in Israele non ci sono Territori occupati. Questo termine viene usato di tanto in tanto da qualche politico o commentatore di sinistra, ma non compare mai nelle pagine di politica. In passato si diceva Territori amministrati, per nascondere il fatto che si trattasse di un'occupazione. Poi si è passati a chiamarli Giudea o Sanmaria.

Oggi i mezzi di informazione israeliani li chiamano i Territori. Questo termine serve a confermare l'idea che gli ebrei sono le vittime, quelli che agiscono soltanto per autodifesa, la metà morale dell'equazione, mentre i palestinesi sono gli attaccanti, i cattivi, quelli che sparano senza ragione. A spiegare questo stato di cose basta un semplice esempio: "Un cittadino dei Territori è stato catturato mentre faceva entrare illegalmente delle armi". Per il cittadino di un territorio occupato, potrebbe forse avere un senso cercare di resistere all'occupante, ma per chi è solo cittadino dei

Territori la cosa è del tutto priva di senso.

I giornalisti israeliani non sono embedded e nessuno gli ha chiesto di convincere l'opinione pubblica che la politica militare di Israele sia buona. Quindi le loro restrizioni linguistiche sono una scelta volontaria, quasi inconsapevole, e per questo ancora più pericolosa. Eppure, la maggioranza degli israeliani giudica i mezzi d'informazione del paese troppo di sinistra e non abbastanza patriottici. E il giudizio sulla stampa straniera è anche peggiore. Durante l'ultima Intifada, Avraham Hirschson, che era ministro delle finanze, ha chiesto di sospendere le trasmissioni della Cnn da Israele,

accusandola di "programmi non equilibrati e tendenziosi: una campagna per istigare alla rivolta contro Israele".

Tutti i maschi israeliani devono fare ogni anno un mese di servizio militare come riservisti finché non compiono cinquant'anni. "I civili israeliani", ha affermato un ex capo di stato maggiore, "sono dei soldati con undici mesi di congedo all'anno". La stampa israeliana, invece, non si prende

neanche un giorno di congedo.

Le parole per non dirlo - Internazionale 736, 21 marzo 2008



http://isalab.files.wordpress.com/2008/04/parole-per-non-dirlo.pdf








torna alla pagina principale - home




























http://www.terrasantalibera.org:80/ParolePerNonDirlo.htm


torna alla pagina principale - home

IL VECCHIO E NUOVO TESTAMENTO CONDANNANO L'OMOSESSUALITA' COME PECCATO MORTALE

EBREI PER GESU'



IL VECCHIO E NUOVO TESTAMENTO CONDANNANO L'OMOSESSUALITA' COME PECCATO MORTALE
Analisi di Giuliano Lattes e Martino Gerber ebrei-cristiani e studiosi biblisti

*********************************************************************************
IL VECCHIO TESTAMENTO CONDANNA L'OMOSESSULITA'

Iddio Onnipotente mandò il castigo a Sodoma e Gomorra,
perché la popolazione si era abbandonata a vizi contro natura, e per questo vediamo in GENESI: 18, 2
una manifestazione epifanica di tre Angeli-uomini, scesi per andare a controllare la situazione,
per il castigo imminente che Iddio da tempo aveva progammato e ne aveva parlato ad
Abramo, GENESI: 18, 20-Disse allora il Signore: "Il grido contro Sodoma e Gomorra è troppo
grande.Voglio scendere a vedere se propio hanno fatto tutto il male
di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere". Poi Abramo ci mette la buona
parola,ma essendo a Sodoma e Gomorra tutti peccatori,dovevano essere distrutti,
infatti nemmeno 10 erano giusti, GENESI 18,32.
Il Vecchio Testmento condanna l'omosessualità;
GENESI: 18, 20-19, 29
DEUTERENOMIO: 29,19-28
ISAIA: 3,9
****************************************************************************

IL NUOVO TESTAMENTO CONDANNA L'OMOSESSUALITA'

2PIETRO: 2, 6-8
Iddio,condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra,
riducendoli in cenere,ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente.
Liberò invece il giusto Lot, angosciato dal comportamento immorale di quegli
scelerati.Quel giorno infatti,per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo
a loro,si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie.

GIUDA: 7
E anche Sodoma e Gomorra e le città vicine,dopo aver nella
stessa maniera dei suddetti commesso fornicazione in eccesso ed
essere andate dietro alla carne per uso non naturale, ci sono poste davanti
come esempio ammonitore, subendo la punizione giudiziaria del fuoco eterno.

Questi passi del Nuovo Testamento ci indicano chiaramente che per il vizio contro natura
di sodomia l'Altissimo ha punito Sodoma e Gomorra,
Vediamo che questi peccati gravissimi per la legge di Mosè meritano
la punizione mortale;
LEVITICO: 20,13
E qualora un uomo giaccia con un maschio come si giace
con una donna,entrambi hanno fatto una cosa detestabile.
Dovrebbero essere messi a morte senza fallo.Il loro propio sangue è su di essi.
Il peccato di zoofia è diverso e citato in LEVITICO: 20,15 e ESODO: 22,19, pure condannato a morte.
Altre condanne contro i rapporti omosessuali sono citati in; LEVITICO 18,22..
(tutti i passi iblici sono in versione CEI)

**********************************************************************
Vediamo che Gesù condanna l'omosessualità;
MATTEO: 10,11-15

11"Quando arrivate in una città o in un villaggio, informatevi se c'è qualcuno adatto a ospitarvi e restate da lui fino a quando partirete da quel luogo.
12Entrando in una casa dite: La pace sia con voi! 13Se quelli che vi abitano vi accolgono bene la pace che avete augurato
venga su di loro; se invece non vi accolgono bene, il vostro augurio di pace rimanga senza effetto.
14Se qualcuno non vi accoglie e non ascolta le vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete via la polvere dai vostri piedi.
15Io vi assicuro che nel giorno del giudizio gli abitanti di Sòdoma e Gomorra saranno trattati meno severamente degli abitanti di quelle città.
(versione TILC

LUCA: 10, 5-12

8"Quando andate in una città, se qualcuno vi accoglie, mangiate quel che vi offre.
9Guarite i malati che trovate e dite loro: il regno di Dio ora è vicino a voi!
10"Se invece entrate in una città e nessuno vi accoglie, allora uscite sulle piazze e dite:
11Contro di voi scuotiamo anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi. Sappiate però che il regno di Dio è vicino.
12"Vi assicuro che nel giorno del giudizio gli abitanti di Sòdoma saranno trattati meno severamente degli abitanti di quella città.
(versione Tilc
In questi passi Gesù insegna che nel giorno del giudizio saranno ancora condannati gli abitanti di Sodoma e Gomorra,
anche se meno duramente dei giudei che non accettano Gesù come Messia.
Gli abitanti di Sodoma e Gomorra sono colpevoli di sodomia, quindi Gesù condanna l'omosessualita'.

Gesù condanna la fornicazione, la porneia, termine con il quale venivano inclusi tutti i peccati impuri, compresa l'omosessualità;
MATTEO: 15, 19 e MARCO: 7,21

Comunque anche se Gesù è venuto a chiamare i peccatori, e perdona chi si
converte e pente, non è un superficiale, infatti condannerà pure i cristiani non in regola;
MATTEO: 7,21-23.
Per Gesù pure guardare una donna con malizia è adulterio; MATTEO:5,27-30.
Per Gesù le tentazioni interiori, i pensieri cattivi sono peccati; MATTEO:15,19-20.
Gesù ha insegnato che solo se chiamiamo pazzo nostro fratello, finiamo all'inferno; MATTEO: 5,22.
Gesù,vieta alterare le Sacre Scritture; MATTEO: 5,17-20.
Ora Gesù ha lasciato i suoi insegamenti ai discepoli, e vediamo che l'omosessualità
è un peccato mortale;

ROMANI: 1, 24-32

24Per questo, Dio li ha abbandonati ai loro desideri: si sono lasciati andare a impurità di ogni genere
fino al punto di comportarsi in modo vergognoso gli uni con gli altri; 25proprio loro che hanno messo idoli al posto del vero Dio,
e hanno adorato e servito quel che Dio ha creato, anziché il Creatore. A lui solo sia la lode per sempre. Amen.
26Dio li ha abbandonati lasciandoli travolgere da passioni vergognose: le loro donne hanno avuto rapporti sessuali contro natura,
invece di seguire quelli naturali. 27Anche gli uomini, invece di avere rapporti con le donne, si sono infiammati di passione gli uni per gli altri.
Uomini con uomini commettono azioni turpi, e ricevono così in loro stessi il giusto castigo per questo traviamento.
28E poiché si sono allontanati da Dio nei loro pensieri, Dio li ha abbandonati, li ha lasciati soli in balìa dei loro pensieri corrotti,
ed essi hanno compiuto cose orribili. 29Sono ormai giunti al colmo di ogni specie di ingiustizia e di vergognosi desideri.
Sono avidi, cattivi, invidiosi, assassini. Litigano e ingannano. Sono maligni, traditori, 30calunniatori, nemici di Dio,
violenti, superbi, presuntuosi, inventori di mali, ribelli ai genitori. 31Sono disonesti e non mantengono le promesse.
Sono senza pietà e incapaci di amare. 32Eppure sanno benissimo come Dio giudica quelli che commettono queste colpe:
sono degni di morte. Tuttavia, non solo continuano a commetterle, ma anche si rallegrano con tutti quelli che si comportano come loro.
(versione TILC)



1 CORINTI: 6, 8-10

8Invece ........... Sappiate però che non c'è posto per i malvagi nel nuovo mondo di Dio. Non illudetevi:
9nel regno di Dio non entreranno gli immorali, gli adoratori di idoli, gli adùlteri, i maniaci sessuali,
10i ladri, gli invidiosi, gli ubriaconi, i calunniatori, i delinquenti.
11E alcuni di voi erano così. Ma ora siete stati strappati al peccato, siete stati uniti a Cristo e accolti da Dio
nel nome del Signore Gesù Cristo, mediante lo Spirito del nostro Dio.
(versione TILC)

1 TIMOTEO: 1, 9-11.
9Ricordiamo che una legge non è fatta per quelli che agiscono bene, ma per quelli che agiscono male;
per i ribelli e i delinquenti, per i malvagi e i peccatori, per quelli che non rispettano Dio e quel che è santo,
per gli assassini e per quelli che uccidono il padre o la madre; 10per gli immorali, per i depravati (uomini che giacciono con uomini),
per i mercanti di schiavi, per i bugiardi e gli spergiuri: insomma per tutti quelli che vanno contro la sana dottrina.
11Questa dottrina è contenuta nel messaggio del Signore che è stato affidato a me; esso viene da Dio, glorioso e benedetto.

(versione TILC)


Ora da parecchi anni ebrei, protestanti ed anche certi cattolici cercano di seminare
zizzania,asserendo che le Sacre Scritture non condannano gli omosessuali.

QUESTI FALSI CRISTIANI SOSTITUISCONO I LORO FASULLI INSEGNAMENTI UMANI
ALLA LEGGE DIVINA. PER LORO E' RISERVATO IL GIUDIZIO E LA CONDANNA DIVINA.

http://groups.google.com/group/ebrei-per-gesu?hl=it

L’omosessualità nella religione ebraica

L’omosessualità nella religione ebraica

Il tema dell'omosessualità nella religione ebraica affonda le sue radici nel libro del Levitico, che fa parte dell'Antico Testamento e che descrive i rapporti sessuali tra uomini un «abominio», punibili come un crimine capitale, anche se oggi non esiste nessun tribunale rabbinico Halachah halakiha che possa infliggere la sentenza prevista.
La visione storica prevalente tra gli ebrei è stata di considerare i rapporti omosessuali immorali e peccaminosi, a sostegno della categorica proibizione riportata sulla Torah. Tuttavia l'argomento è stato origine di dispute tra i moderni movimenti ebraici e ha condotto a numerosi dibattiti e divisioni.
L'omosessualità nella Torah
La Torah (la Bibbia ebraica) è la fonte classica primaria per la visione degli ebrei circa l'omosessualità che dichiara:
«Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è to'eva.»
(Levitico, 18:22)

Il termine to'eva è tradotto come «abominio» ed è utilizzato all'interno del testo sacro in riferimento a diversi atti proibiti che includono l'incesto, l'idolatria, il cibarsi di animali impuri e l'ingiustizia economica. Nel contesto delle proibizioni sessuali il termine della Torah è anche interpretato come la contrazione delle parole to'eh ata vah, che significano «deviate da ciò che è naturale».
Ebraismo ortodosso
I rapporti sessuali tra due uomini sono vietati dalla Torah e sono ritenuti un crimine capitale:
«Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro»
(Levitico, 20:13)

Il lesbismo, pur non essendo esplicitamente menzionato dalla Torah, viene vietato dalla letteratura rabbinica in base al verso biblico:
«Non farete come si fa nel paese d'Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi.»
(Levitico, 18:3)

La legge orale (Sifra Aharei Mot 8:8-9) spiega il verso con le presunte abitudini egiziane di matrimoni tra donne, di matrimoni tra uomo, donna e figlia di lei e di matrimoni tra un uomo e due donne. Il Talmud, rifacendosi a questa interpretazione, vieta il lesbismo. Come tutte le proibizione rabbiniche, il contravventore è passibile di fustigazione. Il comportamento omosessuale femminile, non coinvolgendo una penetrazione penica, viene però considerato meno grave della condotta omosessuale maschile.
Le fonti classiche dell'ortodossia ebraica non menzionano specificamente che un' attrazione omosessuale sia intrinsecamente peccaminosa, anche se la considerano innaturale. Tuttavia colui che abbia rapporti sessuali omosessuali lascia che le sue attrazioni innaturali trovino il loro compimento, ed è quindi responsabile davanti a Dio per le sue azioni. Se egli fa teshuva (pentimento), ad esempio cessando le azioni immorali, pentendosi di quello che ha fatto, scusandosi con Dio e facendo voti di non ripetere mai più tali comportamenti, egli può essere perdonato da Dio (in modo simile a tutti gli altri crimini capitali, salvo l'omicidio).
Visione del moderno ebraismo ortodosso
Negli ultimi anni un piccolo numero di rabbini e credenti, principalmente aderenti al moderno ebraismo ortodosso, hanno iniziato a rivalutare il fenomeno dell'omosessualità e la risposta che la comunità ortodossa deve dare agli ebrei omosessuali. Fino a poco tempo fa veniva ipotizzato che tutti gli omosessuali realizzassero i loro comportamenti come disprezzo alla legge di Dio (le-hach'is), per perversione o a causa di malattie mentali. Una maggior dimestichezza con studi sociologici e biologici, così come contatti personali con omosessuali ebrei, ha condotto alcuni esponenti ortodossi ad una visione più comprensiva del problema. Il processo ebbe inizio probabilmente fin dagli anni '70. La vecchia interpretazione del problema omosessuale è descritta alla voce Homosexuality, curata dal rabbino Immanuel Jakobovits, nella versione originale (1972) dell' Encyclopaedia Judaica - un'importante opera in 26 volumi, in lingua inglese, che copre tutti gli aspetti del mondo e della civiltà ebraica). Nell'annuario 1974 dell' Encyclopedia, il rabbino Norman Lamm, dell'Università Yeshiva di New York ed esponente dell'ortodossia moderna, scrisse qualcosa di differente. Lamm era più informato delle ricerche scientifiche e psicologiche dei primi anni '70 sull'omosessualità.
Pur riconoscendo le parole della Torah che definiscono «abominio» l'omosessualità, sulla base delle sue conoscenze Lamm, fu incline a considerarla come prodotto di una condizione psicologica dell'adolescente nei rapporti con i suoi genitori. Vista in questa maniera, l'omosessualità poteva essere ridefinita come un atto effettuato irrazionalmente, e sarebbe stato sbagliato perseguitare o giudicare gli omosessuali per le loro azioni.
Meglio, sostenne Lamm, un approccio «sia di compassione che di sforzi tesi alla riabilitazione», in maniera simile a quello che già si faceva per il suicidio, vietato dalla Torah, «ma di fatto, nel corso del tempo, la tendenza è stata di rimuovere lo stigma a carico del suicida sulla base di un disturbo mentale». Il punto di vista del rabbino Lamm ha, negli anni, acquisito credito nella moderna ortodossia ebraica, mentre viene ampiamente rifiutato dall' ordotossia Haredi (conosciuta anche come ebraismo ultra-ortodosso). La comunità Haredi vede in queste recenti rivalutazioni una manipolazione della legge ebraica per scopi politici, e non mostra nessun segno di accettare l'omosessualità.
Ebraismo conservatore/Masorti
Nell'ebraismo conservatore, diffuso principalmente negli Stati Uniti a partire dagli inizi XX secolo, considera che l'omosessuale non adempia ad uno dei Mitzvah (comandamento). Ma esistono altri 612 Mitzvah nella legge di Mosè e per questo:
«Uno non può considerare l'omosessuale ebreo diversamente da come considererebbe un ebreo che non sia completamente osservante in qualsiasi altra maniera, come, ad esempio, un ebreo che guidi il giorno del Shabbat (sabato) verso un luogo che non sia la sinagoga, o colui che non segua le prescrizioni del kosher, ecc. Di conseguenza l'ebraismo conservatore afferma che gli uomini e le donne omosessuali possono condurre la preghiera, avere una aliyah per leggere dalla Torah, e possono anche prestare servizio come educatori della gioventù e come insegnanti nelle scuole ebraiche.»
( Robert Kaiser, Judaism and Homosexuality, 4 aprile 1999)

Nonostante questa visione più liberale, l'ebraismo conservatore vieta l'ordinazione rabbinica e matrimoni ed unioni civili tra omosessuali.
L'Assemblea Rabbinica ha emanato un documento che dichiara che l'immagine divina viene riflessa da ogni essere umano, di qualsiasi orientamento sessuale, e ammette che ci sono buone ragioni per essere preoccupati del fatto che gay e lesbiche ebraici hanno sperimentato , non solo le costanti minacce della violenza fisica e del rifiuto omofobico, ma anche le sofferenze dell'antisemitismo. Essi notano che gli omosessuali sono membri di tutte le congregazioni ebraiche, e che la crisi dell'AIDS ha esacerbato l'ansia e la sofferenza degli omosessuali ebraici. In conclusione, l'assemblea rabbinica dichiara:
Noi, l'Assemblea Rabbinica, mentre affermiamo la nostra tradizionale prescrizione per l'etero sessualità,
1. Appoggiamo la piena parità civile per gay e lesbiche nella nostra vita nazionale, e
2. Deploriamo la violenza contro gay e lesbiche nella nostra società, e
3. Reiteriamo che, in quanto tutti ebrei, gay e lesbiche sono benvenuti come membri nelle nostre congregazioni, e
4. Richiamiamo le nostre sinagoghe e i rami del nostro movimento ad aumentare la nostra consapevolezza, comprensione e preoccupazione per i nostri compagni ebrei che sono gay e lesbiche.
Le organizzazioni internazionali
Molte organizzazioni internazionali per i diritti umanitari, come Human Right Watch e Amnesty International, condannano le leggi che considerano i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti un crimine. Dal 1994 la commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha anche dichiarato che leggi di questo genere violano anche il diritto alla privacy garantito dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dal patto internazionale sui diritti civili e politici. Comunque, molte nazioni musulmane (ad eccezione della Turchia, che è stata governata da leggi laiche dal 1923 e che recentemente ha modernizzato le sue leggi per soddisfare i requisiti per entrare nellUnione Europea) insistono nel dire che queste leggi sono necessarie per preservare la virtù e la moralità islamiche. Delle nazioni in cui la maggioranza della popolazione è musulmana, solo il Libano sta compiendo uno sforzo interno per legalizzare l'omosessualità.
Maria de Falco Marotta

www.gazzettadisondrio.it – 20 VI 07 – n. 17/2007, anno IX°

http://www.gazzettadisondrio.it/10769-l_omosessualit_____opera_di_satana___1_.html

ISRAELE: TROVATO TESTO ANTICO

ISRAELE: TROVATO TESTO ANTICO

Degli archeologi israeliani hanno trovato il più antico testo scritto in ebraico.
Il ritrovamento è avvenuto presso la valle di Elan, vicino Gerusalemme.
Il testo è scritto con inchiostro nero su un frammento di ceramica di 3000 anni fa.
Si tratta di un epigrafe di 4 frasi, non ancora decifrato.
La valle di Elan è il luogo ritenuto dove avvenne il duello tra David e Golia,
il ritrovamento di questo testo fa sperare a far luce sulla storia di David.
Da Televideo 30 10 2008

EINSTEIN E IL PENSIERO RELIGIOSO

Einstein, Albert (1879 - 1955)
Thomas F. Torrance
Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 10.11.1979, Insegnamenti II,2 (1979), pp. 1115-1120.

I. Einstein e la religione ebraico-cristiana - II. Cosa significa "Dio" per Einstein - III. Le implicazioni del riferimento a Dio per la matematica e la fisica di Einstein.



I. Einstein e la religione ebraico-cristiana
Max Jammer, Rettore emerito all'Università di Bar Lan di Gerusalemme e già collega di Einstein a Princeton, afferma in un suo libro (cfr. Einstein and Religion , 1999) che la conoscenza della fisica di Einstein e la comprensione della sua religione sono profondamente collegati; per Einstein la natura sembra infatti mostrare le tracce di Dio, come una sorta di "teologia naturale". Anzi, è con l'aiuto delle scienze naturali che il pensiero di Dio può essere intercettato e afferrato. Egli parlerà di Dio così spesso, nelle sue opere, che Friederich Dürrenmatt poté dire una volta che vedeva Einstein quasi come un "teologo camuffato". Non credo che questi continui riferimenti a Dio possano essere congedati come una semplice façon de parler. Per Einstein, Dio ha un significato profondo, anche se difficile da afferrare, e non costituiva un tema senza importanza, né per la sua vita, né per la sua attività di scienziato. Si trattava di qualcosa profondamente radicato nella sua vita e nel suo pensiero: "Dio" non era una modalità teologica di pensiero ma piuttosto l'espressione di una "fede vissuta" ( eines gelebten Glaubens ) (cfr. Dürrenmatt, 1979).

Albert Einstein nacque a Ulm (Württemberg) nel 1879 da genitori ebrei non ortodossi. Essi vissero prima a Ulm e poi a Monaco, dove Einstein frequentò la scuola. In accordo con le leggi statali, fu istruito nella sua fede e gli fu insegnato l'ebraismo in virtù della sua appartenenza etnica. Già prima di aver raggiunto l'età di dodici anni, Einstein divenne profondamente religioso combinando una viva credenza in Dio con la passione per la musica di Mozart; compose perfino canzoni di lode a Dio che cantava da solo, mentre andava o tornava da scuola. Einstein leggeva regolarmente la Bibbia , sia l'Antico che il Nuovo Testamento (cosa che continuò a fare per tutta la vita). Gli vennero insegnati i rudimenti della lingua ebraica, ma non riuscì mai a padroneggiarla e non partecipò al corso per il tradizionale Bar-Mitzwa. Si esercitava ripetutamente nella matematica e nella musica, specialmente nel suonare il violino, ma rifiutava i rigidi riti ortodossi come quelli inerenti al cibo, le altre regole obbligatorie e i modi di pensare presenti nel Talmud , e cominciò a sviluppare una sfiducia verso tutte le autorità, comprese quella biblica e religiosa. Aveva un atteggiamento mentale stranamente indipendente, critico, ma non scettico, accentuato dal suo risentimento contro la disciplina autoritaria dei suoi insegnanti tedeschi. Ciò lo portò a abbandonare il suo fervore religioso al fine di liberarsi da quello che chiamava "l'unico personale", ma senza diventare per questo ateo o ostile alla religione. Non perse mai l'ammirazione per gli scopi e le aspirazioni fondamentali della tradizione religiosa giudaico-cristiana. Non aveva dubbi «circa il significato e la grandezza di quegli obbiettivi e di quei fini che trascendono la singola persona e che non necessitano né sono suscettibili di un fondamento razionale» (Pais, 1986, p. 343). Fu in questo uno spirito indipendente, un "tipico solitario", come diceva di se stesso, senza coinvolgimento religioso di carattere personale, ma con una profonda coscienza religiosa che coltivò e mantenne per tutta la vita, una meraviglia mai sopita per l'immensità, l'unità, l'armonia razionale e la bellezza matematica dell'universo.

In un discorso tenuto a Berlino, lo stesso Einstein diede di se stesso questa immagine: «Sebbene io sia un tipico solitario nella vita quotidiana la mia consapevolezza di appartenere alla comunità invisibile di coloro che lottano per la verità, la bellezza e la giustizia, mi ha impedito di sentirmi isolato. L'esperienza più bella e profonda che un uomo possa avere è il senso del mistero: è il principio sottostante alla religiosità così come a tutti i tentativi seri nell'arte e nella scienza. Chi non ha mai avuto questa esperienza mi sembra che sia, se non morto, allora almeno cieco. È sentire che dietro qualsiasi cosa che può essere sperimentata c'è qualcosa che la nostra mente non può cogliere del tutto e la cui bellezza e sublimità ci raggiunge solo indirettamente, come un debole riflesso. Questa è la religiosità, in questo senso sono religioso. A me basta la meraviglia di questi segreti e tentare umilmente di cogliere con la mia mente una semplice immagine della sublime struttura di tutto ciò che è lì presente» (Brian, 1995, p. 234).

Prima dei sedici anni, età in cui sarebbe stato obbligato a prestare servizio militare, Einstein decise di lasciare la scuola in Germania, rinunciando così alla cittadinanza tedesca, per unirsi ai suoi genitori che si erano nel frattempo trasferiti in Italia. Tuttavia, invece di continuare i suoi studi in Italia, egli scelse di frequentare una scuola di Arau in Svizzera dove godette di un sistema scolastico molto più libero e continuò a coltivare la sua passione per Mozart e per la fisica, e a meditare a suo modo sulle cose. Non essendo svizzero fu esentato dal servizio militare e ciò gli diede modo di dedicarsi a ricerche diverse dalle discipline istituzionali, ma anche ad escursioni di storia naturale con gli amici. Studiò da autodidatta calcolo numerico e continuò a riflettere sulla natura della luce «in modo particolare quale aspetto avrebbero le cose se qualcuno fosse a cavallo di un raggio di luce e mantenesse la sua stessa velocità viaggiando attraverso lo spazio» ( ibidem , p. 12). Fu all'età di diciassette anni che Einstein annunciò la sua uscita dalla comunità ebraica. Dopo Arau egli si recò a Zurigo, dove seguì corsi di ingegneria elettrica presso il famoso Politecnico e dove ebbe come insegnante Hermann Minkowski, che nel 1907 avrebbe proposto l'idea quadri-dimensionale dello spazio-tempo. Gli studi di Einstein a Zurigo gli procurarono il suo primo impiego in una scuola tecnica a Wintertur e poi all'Ufficio Brevetti di Berna, dove scrisse i suoi primi lavori scientifici che faranno epoca, pubblicati negli Annalen der Physik nel 1905.

Di particolare interesse per la nostra comprensione di ciò che Einstein pensava circa la religione fu il suo matrimonio con Mileva Maric, che aveva incontrato durante i corsi di fisica all'Università e che apparteneva ad una famiglia greco-ortodossa della Serbia. Anche se non erano le opinioni religiose personali, ma la fisica, ciò che li fece incontrare, non v'è dubbio che tale incontro lasciò un'impronta su quello che Einstein avrebbe poi detto o pensato su Dio, come risulta evidente dall'uso frequente che egli poi fece di termini come "trascendente" o "incarnato" al parlare dell'intelligenza cosmica che giace dietro l'universo spazio-temporale, cosa che sta ad indicare ciò che egli diceva o pensava di Dio era qualcosa di più che un semplice modo di dire. Ciò è chiaramente riflesso in una intervista che Einstein concesse qualche tempo più tardi, ad un giornale americano, il Saturday Evening Post , nel 1929. «Fino a che punto è influenzato dalla cristianità? - Da bambino ho ricevuto un'istruzione sia sul Talmud che sulla Bibbia. Sono un ebreo, ma sono affascinato dalla figura luminosa del Nazareno». «Ha mai letto il libro di Emil Ludwig su Gesù? - Il libro di Ludwig è superficiale. Gesù è una figura troppo imponente per la penna di un fraseggiatore, per quanto capace. Nessun uomo può disporre della cristianità con un bon mot ». «Accetta il Gesù storico? - Senza dubbio! Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita» (G. Viereck, What Life means to Einstein , "The Saturday Evening Post", 26.10.1929).

Considerando questa intervista è comprensibile perché venga riportata la frase di Einstein, secondo cui Gesù sarebbe il più grande di tutti gli ebrei. Comunque stiano le cose Einstein rimase in generale impegnato nella tradizione dell'ebraismo, un impegno che divenne sempre più risoluto in occasione degli attacchi nazisti contro la sua persona e contro si suoi amici scienziati ebrei a Berlino, dove fu nominato professore nel 1913. L'anno seguente, sua moglie Mileva si ricongiunse a lui, insieme con i suoi due figli, a Berlino, ma ritornò quasi immediatamente in Svizzera, perché non sopportava la Germania. Einstein ne soffrì e i due, sebbene a malincuore, divorziarono. Alcuni anni dopo sposò una sua cugina, Elsa Löwenthal, vedova a Berlino, che con sua figlia Margot lo accudì per tutta la vita. Einstein continuò la sua ricerca scientifica ed il suo insegnamento a Berlino nonostante la campagna nazista contro le Università e la denigrazione della sua teoria della relatività speciale e generale, specialmente dopo la pubblicazione nel 1916 negli Annalen der Phisik de I fondamenti della Teoria Generale della Relatività . La coraggiosa campagna di Einstein a favore della libertà accademica dovette condurlo alla fine all'estero, così come il suo collega ebreo a Berlino Michael Polanyi: Einstein andò a Princeton, mentre Polanyi andò a Manchester. Durante i suoi anni a Berlino aveva goduto dell'ammirazione e del sostegno di Max von Laue e di Max Planck, ma le obiezioni alla nomina per l'assegnazione del premio Nobel ad Einstein, poste anno dopo anno per ben sei volte, furono duramente guidate da eminenti fisici tedeschi e particolarmente dal Nobel antisemita Philiph Lenard. Alla fine Einstein ebbe il premio Nobel nel 1922, non per il suo lavoro sulla relatività, bensì per quello sull'effetto fotoelettrico. Einstein inviò il denaro del premio a Mileva.

La dura persecuzione attuata in Germania contro gli ebrei ebbe l'effetto di far entrare Einstein in più stretto rapporto anche con persone di fede cristiana, come in occasione della sua amicizia personale con Max e Heidi Born che erano diventati Quaccheri a Edimburgo, e con i Ross Stevenson e Blackwoods del Seminario Teologico di Princeton, contribuendo a fare in lui una certa chiarezza. Quando il Reverendo Andrew Blackwood gli passò il ritaglio di rivista con l'intervento pubblicato sul Saturday Evening Post del 1929 e gli domandò se lo scritto fosse esatto, Einstein lo lesse accuratamente e rispose: «Questo è ciò che io credo».

L'accanita e straziante carneficina degli ebrei in Germania, nonché gli attacchi rivoltigli dagli antisemiti, ebbero l'effetto di segnare in Einstein una più profonda risolutezza nell'aperta affermazione del suo essere ebreo, e gli fecero approfondire il vincolo con i giudei suoi simili, ma lo condussero anche ad apprezzare la Chiesa cristiana e la sua opposizione a Hitler e all'Olocausto. Quello che segue è il paragrafo di una lettera che Einstein inviò a un Vescovo Episcopaliano americano circa il comportamento della Chiesa durante l'Olocausto. «Essere un amante della libertà... Vidi gli universitari difenderla, conoscendo che loro già si vantavano della loro devozione alla causa della verità; ma no, gli universitari furono immediatamente fatti tacere. Vidi un importante editore di quotidiani, i cui infiammati editoriali, giorno dopo giorno, andavano proclamando il loro amore per la libertà, ma anche questi, come gli universitari furono ridotti al silenzio in poche settimane. Solo la Chiesa stava in piedi, ben ferma, per contrastare la campagna per la soppressione della verità promossa da Hitler. Prima di allora non avevo mai avuto un particolare interesse per la Chiesa , ma ora le riservo un grande affetto e ammirazione, perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di opporre resistenza in favore della verità intellettuale e della libertà morale. Mi vedo obbligato a confessare che ciò che una volta io disprezzavo ora elogio incondizionatamente» (cfr. The Evening News , Baltimore, 13.4.1979).

Permettetemi di raccontare qui ciò che un amico di Princeton mi disse circa un evento assai significativo accaduto un giorno durante la guerra, quando Einstein fu informato di un incontro di preghiera dove i cristiani si sarebbero riuniti per pregare in favore degli ebrei in Germania. Con sorpresa dei presenti, Einstein giunse all'incontro venendo da casa sua, 112 di Mercer Street, con il suo violino e domandò se poteva unirsi a loro. Essi lo accolsero molto cordialmente e lui "pregò" con il suo violino. Tuttavia, in relazione alle preghiere di supplica, Einstein reagiva di solito affermando che nelle preghiere l'uomo si appella all'Essere divino e lo supplica per il compimento dei propri desideri; questo modo di fare per lui implicava, come è noto, una idea antropomorfica di Dio, che lui riteneva egoista, e perciò rifiutava.

Associo il fatto accaduto a Princeton, dove egli si unì al gruppo di preghiera con il suo violino, con un altro evento accaduto nel 1929 a Berlino e raccontatomi da Max Jammer in una sua lettera. L'occasione fu quando Yudi Menhuin, il grande violinista ebreo, dette a Berlino un suo recital durante un concerto con musiche di Beethoven, Bach e Brahms, eseguite dall'orchestra filarmonica di Berlino diretta da Bruno Walter. Einstein, sopraffatto dalla bellezza della musica, attraversò in tutta fretta il palcoscenico e andò fino al camerino di Menhuin esclamando: «Adesso io so che c'è un Dio in cielo ( Jetzt weiss ich, dass es einen Gott im Himmel gibt )».

Cosa dice tutto ciò riguardo il rapporto fra lo scienziato Einstein e Dio? L'argomento indica la necessità di una maggiore considerazione rispetto a quanto gli si riserva abitualmente. È per questo che mi dirigerò adesso a sviluppare due domande: a) Cosa significava "Dio" per Einstein? e b) Che implicazioni aveva il riferimento a "Dio" per la sua matematica e la sua fisica? ( DIO, III ).


II. Cosa significa "Dio" per Einstein
All'inizio della sua vita Einstein si riferiva a Dio come ad una "intelligenza cosmica", non indicando con questa espressione un'attribuzione personale, ma qualcosa di "sovrapersonale", in quanto seguendo il pensiero di Spinoza riteneva che il termine persona, quando applicato all'essere umano, non poteva venire applicato, come tale, anche a Dio. Tuttavia egli ricorreva al modo giudeo-cristiano di parlare di Dio, secondo il quale Dio "rivelava" se stesso in una maniera ineffabile come quella verità che ha in sé la propria certezza. Spinoza affermava che la verità è la misura di se stessa. Il vero è il criterio di se stesso e del falso, così come la luce mostra se stessa e il buio; chi possiede un'idea vera, conosce simultaneamente sia di avere un'idea vera sia di non poter avere dubbi circa la verità della sua percezione (cfr. Ethica , XLIII). Una volta che una cosa è compresa, essa procede manifestando se stessa in forza della sua stessa verità, senza dover fornire prove ulteriori. Così, quando Dio rivela se stesso ai nostri pensieri, la nostra comprensione di lui è portata avanti dalla forza intrinseca della sua verità, perché egli stimola e spinge continuamente le nostre menti in modo sempre più compiuto.

Era in fondo in questo modo che Einstein pensava e si riferiva Dio che rivelava se stesso nella meravigliosa armonia e nella razionale bellezza dell'universo ( BELLEZZA, II.3); qualcosa che faceva appello, in modo intuitivo e non concettuale, ad una risposta data in umiltà, ad una meraviglia e riverenza che egli associava alla scienza e all'arte. Era in particolare in relazione alla scienza stessa che Einstein sentiva e coltivava quel senso di meraviglia e di timore reverenziale ( MISTERO, IV ). Una volta, quando il fotografo scozzese Alan Richards domandò ad Ernest Gordon, Decano della Cappella Universitaria di Princeton, come egli spiegava la combinazione della grandezza intellettuale di Einstein con la sua apparente semplicità, rispose: «Credo che dipenda dal suo senso di grande rispetto ( reverence )». Ciò era profondamente vero: l'istinto religioso e quello scientifico erano in Einstein una sola cosa, perché alla base di entrambi vi era la sua riverente intuizione di Dio, il suo immutato timore al pensiero di fronte ai pensieri del "Grande Vecchio" (the Old One). Sebbene Einstein non fosse un fedele e praticante ebreo, egli sarebbe certamente stato in accordo con l'invito del rabbino Shmuel Boteach di porre Dio stesso, e non le prescrizioni legali ( halacha) , al centro del giudaismo. «La scienza può essere creata soltanto da chi sia completamente vocato alla libertà e alla comprensione. Questa fonte emotiva, tuttavia, scaturisce dalla sfera della religione. Ad essa appartiene anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali, cioè comprensibili per la ragione. Non riesco a concepire uno scienziato genuino che difetta di tale fede profonda. Possiamo esprimere la situazione con una immagine: la scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca» ( Pensieri, idee, opinioni , p. 29). Questa nota affermazione proviene dal suo discorso al seminario teologico di Princeton, ma lontano dall'essere isolata, essa viene ripresa praticamente in tutte le sue riflessioni circa la scienza, la religione e Dio.

Quando Count Kessler un giorno gli disse: «Professore sento dire che lei è profondamente religioso», con calma e con grande dignità Einstein gli rispose: «Sì, Lei può dirlo. Cerchi e penetri con i limiti della nostra mente i segreti della natura e scoprirà che, dietro tutte le discernibili concatenazioni, rimane sempre qualcosa di sottile, di intangibile e inesplicabile. La venerazione per questa forza, al di là di ogni altra cosa che noi possiamo comprendere, è la mia religione. A questo titolo io sono religioso» (Brian, 1996, p. 161). Einstein non era certo un positivista.

Ma vi sono anche altre pagine di Einstein a conferma di ciò: «Attraverso la conoscenza [lo scienziato] consegue un'emancipazione di vasta portata dai ceppi delle speranze e dei desideri personali, e con ciò perviene a quell'atteggiamento di umiltà mentale verso la grandezza della ragione incarnata nell'esistenza e che, nei suoi più abissali recessi, è inaccessibile all'uomo. Consideravo tale atteggiamento, tuttavia, religioso nel senso più alto del termine. E così ho l'impressione che la scienza non solo purifichi l'impulso religioso dalle scorie del suo antropomorfismo, ma contribuisca altresì ad una spiritualizzazione religiosa della nostra comprensione della vita» ( Pensieri, idee, opinioni , pp. 31-32). «La mia religione consiste in una umile ammirazione dell'illimitato e superiore Spirito che rivela se stesso negli esili dettagli che noi siamo capaci di percepire con il nostro fragile e flebile pensiero. La profonda emotiva convinzione di una Ragione superiore ( a superior reasoning Power ), come si rivela in un universo incomprensibile, questo forma la mia idea di Dio» (L. Barnett, The Universe and Einstein , New York, 1963, p. 109). E ancora : «È certo che alla base di ogni lavoro scientifico un po' delicato si trova la convinzione, analoga al sentimento religioso, che il mondo è fondato sulla ragione e può essere compreso. Questa convinzione legata al sentimento profondo dell'esistenza di una mente superiore che si manifesta nel mondo dell'esperienza, costituisce per me l'idea di Dio; in linguaggio corrente si può chiamarla "panteismo" (Spinoza)» ( Come io vedo il mondo , p. 32).

Quale significato intendeva Einstein quando si riferiva a Dio come «intelligenza cosmica» e «magnificenza della ragione incarnata nell'esistenza» o, riferendosi ad un'espressione del Talmud, the Old man ? Egli non fu sempre coerente e quindi non è facile afferrare precisamente cosa intendesse dire. Ma sembra chiaro che egli concepiva Dio come il definitivo fondamento spirituale di tutto l'ordine razionale che trascende ciò con cui lo scienziato ha a che fare mediante le leggi naturali - un punto sul quale ritorneremo successivamente - ma, diversamente dalla religione ebraico-cristiana, egli non lo pensava in modo "personale" o "antropomorfico", cioè come un Dio ad immagine dell'uomo, ma in modo "sovrapersonale" (ausserpersönlichen) liberato dalle catene del "solo personale" ( Nur-Persönlichen ), cui lo legherebbe il desiderio della gente di soddisfare i propri bisogni. «Ritengo che quello che conti - egli disse una volta - sia la forza di questo contenuto sovrapersonale e la profondità della convinzione circa la sua schiacciante preminenza, senza riguardo al fatto che si faccia o meno alcun tentativo di rapportare tale contenuto ad un Essere divino, perché altrimenti non si potrebbero considerare personalità religiose nemmeno il Budda e Spinoza. Di conseguenza, una persona religiosa è devota nel senso che non ha dubbi sul significato e sulla nobiltà di quegli obbiettivi e di quelle mete sovrapersonali che non richiedono, né potrebbero presentare alcun fondamento razionale» ( Pensieri, idee, opinioni , p. 28).

Ad Einstein veniva spesso chiesto: «Lei crede in Dio?», domanda alla quale a volte replicava: «Io credo nel Dio di Spinoza che rivela se stesso nell'armonia di tutto l'essere». All'inizio della sua Etica, Spinoza si riferisce a Dio intendendolo come un essere assolutamente infinito, come una sostanza consistente di attributi infiniti, dei quali ognuno esprime una eterna e infinita essenzialità. Nella proposizione XV della parte I dell' Etica afferma: «Tutto ciò che è, è in Dio, e nulla può essere né essere concepito senza Dio». Einstein certamente sosteneva, come mostra il suo costante riferimento a Dio, che senza Dio niente può essere conosciuto; ma cosa intendeva egli realmente con il suo appello a Spinoza? Una volta in risposta alla domanda: «Lei crede nel Dio di Spinoza?», Einstein rispose così: «Non posso rispondere con un semplice si o no. Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni. Mi affascina il panteismo di Spinoza, ma ammiro ben di più il suo contributo al pensiero moderno, perché egli è il primo filosofo che tratta il corpo e l'anima come un'unità e non come due cose separate» (Brian, 1996, p. 127). Quando un giorno a Princeton Martin Buber, ebreo anch'egli e conoscente di Einstein da quarant'anni, insistette perché egli rivelasse il suo credo religioso, il padre della Relatività rispose: «Lo sforzo che noi [fisici] possiamo fare è solo tirare le sue linee dietro di lui. Più a fondo uno penetra nei segreti della natura, maggiore diventa il rispetto che si prova per Dio».

Einstein riteneva che la principale sorgente dell'attuale conflitto fra la sfera della religione e quella della fede giacesse nel "concetto di Dio personale", che ci fa pensare Dio in maniera antropomorfa, proiettando in lui le immagini e le nozioni psicologiche della personalità, cosa che dà origine, almeno così egli pensava, alle pratiche religiose di adorazione e alla nozione di provvidenza forgiata secondo quanto l'uomo desidera per sé. Ciò non significa che Einstein concepisse Dio in termini meramente impersonali, ma piuttosto, come abbiamo già notato, egli pensava a Dio come una entità "sovrapersonale" , che si confessò incapace di afferrare ed esprimere, e di fronte alla quale rimaneva con un sentimento di illimitati timore e meraviglia. Per questo, rimase profondamente colpito nel conoscere che il cardinale di Boston O'Connell lo aveva definito come un ateo. Quando in California, una volta, un giornalista gli si fece incontro con questa domanda: «Dottore esiste un Dio?» Einstein se ne andò via, con le lacrime agli occhi (cfr. Brian, 1996, p. 206).

Cosa intendeva allora significare Einstein rivendicando la sua credenza nell' Amor Dei Intellectualis di Spinoza?, l'amore intellettuale di Dio, la più alta felicità che l'uomo possa conoscere? Egli aveva approvato l'idea di Spinoza secondo la quale essere razionale significava amare Dio e amare Dio significava essere razionale, in tal modo che, impegnarsi in una attività scientifica, voleva dire allora pensare i pensieri di Dio. Seguendo Spinoza, tuttavia, ciò voleva dire la diretta identificazione di Dio con la natura, intesa come un tutto causalmente concatenato, cosa che, come abbiamo visto, in Einstein faceva sì che la comprensibilità ( Verständlichkeit ) di Dio fosse così esaltata da non poter essere ridotta all'intelligibilità logico-causale della natura. Doveva essere dunque considerata una relazione di tipo trascendente. Come ebreo Einstein doveva essere in naturale sintonia con Spinoza, il più grande dei filosofi ebrei della modernità, anche a motivo della loro veduta circa la tradizionale unitarietà del concetto di uomo come corpo della sua anima e anima del suo corpo. Sebbene vi fosse molto nella filosofia di Spinoza che Einstein non potesse accettare, ciò che lo attraeva era il rifiuto spinoziano del dualismo cartesiano, così come di altre forme di dualismo, nonché la sua concezione unitaria dell'universo con la sua inerente armonia razionale. Ma ciò era per Einstein, allo stesso tempo, un aiuto e un problema. Da un lato, alimentava la sua grande spinta nella direzione di una teoria unificata dei campi, favorendo il rifiuto di ogni tipo di dualismo tra tempo e spazio, tra onda e particella, fra teoria della relatività e teoria quantistica; ma, dall'altro, l'uniformità causale e logico-matematica di Spinoza davano origine ad un rigido e assoluto determinismo che entrava in conflitto con la sua comprensione, realistica e dinamica, dell'apertura dell'universo, col suo rifiuto del chiuso sistema euclideo del mondo.

Faccio qui riferimento a una lettera interessante, ricordata da Helen Dukas, che Einstein scrisse a un bambino che gli domandava se gli scienziati pregavano : «Provo a rispondere alla tua domanda nel modo più semplice. Questa è la mia risposta. La ricerca scientifica si basa sull'idea che ogni cosa che accade è regolata dalle leggi di natura, e ciò vale anche per le azioni della gente. Per questa ragione uno scienziato sarà difficilmente inclinato a credere che un evento possa essere influenzato dalla preghiera, per esempio da un'aspirazione rivolta a un Essere soprannaturale. Tuttavia si deve ammettere che la nostra attuale conoscenza di queste leggi è solo imperfetta e frammentaria, cosicché, realmente la credenza nell'esistenza di leggi fondamentali e onnicomprensive in natura resta, essa stessa, una sorta di fede. Ma quest'ultima è stata largamente giustificata dal successo della ricerca scientifica. Tuttavia, da un altro punto di vista, chiunque è seriamente impegnato nella ricerca scientifica si convince che vi è uno spirito che si manifesta nelle leggi dell'Universo. Uno spirito molto superiore a quello dell'uomo, uno spirito di fronte al quale con le nostre modeste possibilità, noi possiamo solo provare un senso di umiltà. In questo modo la ricerca scientifica conduce a un sentimento religioso di tipo speciale che è davvero assai differente dalla religiosità di qualcuno piuttosto ingenuo» (H. Dukas and B. Hoffmann, Albert Einstein: the Humane side, Princeton 1989, p. 32) ( PREGHIERA, V ).


III. Le implicazioni del riferimento a Dio per la matematica e la fisica di Einstein
All'inizio della sua carriera scientifica, gli studi di Einstein su Newton e Keplero lo convinsero che non vi era un cammino logico per la conoscenza delle leggi della natura, perché non c'era un collegamento logico fra i fenomeni e il loro principi teoretici. Ne trovò una significativa conferma nel suo studio di James Clerk Maxwell. È il problema extra-logico ad essere essenziale, vale a dire il riferimento ontologico del pensiero con la realtà. All'interno della prestabilita armonia dell'universo, «le idee provengono da Dio»; esse sono rivelate alla mente in accordo con il piano dell'universo e sono afferrate mediante una intuizione che si appoggia su una comprensione simpatetica dell' esperienza. Lo scienziato deve perseverare nella sua confusa attitudine nei riguardi dei disorganici risultati della ricerca empirica, fino a quando i princìpi che egli pone alla base del suo ragionamento deduttivo non gli si rivelano. «La missione più alta del fisico è dunque la ricerca di queste leggi elementari: l'intuizione sola, fondata sull'esperienza, ci può condurre ad esse... È ciò che Leibniz ha così felicemente chiamato l'"armonia prestabilita"» ( Come io vedo il mondo , pp. 35-36). Einstein era solito parlare di questa maniera intuitiva di acquisire conoscenza come un «intercettare i pensieri di Dio». Più profondamente si penetra nei segreti della natura, più grande diviene il rispetto di Dio. Una volta, nel derivare le implicazioni della teoria della relatività, seguendo un delizioso ragionamento che sperava fosse in armonia con i pensieri di Dio, disse: «Non c'è possibilità di conoscere se il buon Dio non rida di esse, e mi stia piuttosto prendendo in giro ( has led me up to the garden path )» (Brian, 1996, p. 67). Penso a questo in connessione con il fatto che le equazioni della teoria della relatività prevedono i propri limiti, e così ci conducono indietro verso un punto zero dell'espansione dell'universo, conosciuto comunemente con il termine di "singolarità gravitazionale" ( black hole) , che Henry Margenau riteneva implicasse il principio della creatio ex nihilo (cfr H. Margenau, Thomas and the Physics of 1958 , Milwaukee 1958, pp. 41-43) . Einstein fece notare che non «si può concludere che "l'inizio dell'espansione" [dell'universo] debba corrispondere a una singolarità in senso matematico. Si deve solo ricordare che le equazioni non possono essere estese a queste regioni. Questa considerazione, tuttavia, non altera il fatto che "l'origine del mondo" costituisce realmente un inizio...» (A. Einstein, Il significato della Relatività , Roma 1997, p. 120; CREAZIONE, III ). Tale inizio, quasi una creatio ex nihilo , era ovviamente un'idea esclusa dalla nozione di Spinoza Deus sive Natura , come una infinita, eterna sostanza autocreantesi, e cui corrisponde una concezione dell'universo come qualcosa di non contingente, completamente necessario nella sua identificazione con Dio ( PANTEISMO, III.2 ).

Ora per indicare qualcosa di quanto Dio significasse per la scienza di Einstein ci sia permesso di considerare la portata dei suoi tre frequenti motti riferiti a Dio: «Dio non gioca a dadi»; «Dio non mette in piazza le sue cose» e «Sottile è il Signore, ma non malizioso».

1. « Dio non gioca a dadi ». Questo detto sembra suggerito da una delle proposizioni dell' Etica di Spinoza: «Nella natura non vi è nulla di contingente, ma tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura ad esistere e a operare» (cfr. Ethica , I, XXIX). «Dio non gioca a dadi» fu un motto asserito ripetutamente da Einstein, in connessione con la sua credenza circa un mondo di leggi ordinato e razionale, nonché per criticare il ricorso all'elemento casuale in certe espressioni della teoria quantistica, come ad esempio nel cosiddetto "principio di indeterminazione" affermato da Heisenberg. Lungi dal possedere un valore esplicativo, ciò che è chiamato "caso" è dopo tutto una maniera negativa di pensare o, piuttosto, un modo di non pensare. Il "Dio" di Einstein non gli permetterebbe di restare soddisfatto con qualcosa che fosse meno di una rigorosa descrizione scientifica dell'intrinseco ordinamento della natura, sia al suo livello di microfisica, così come in ogni altro livello della realtà. Einstein espresse una volta la sua obiezione alla forma allora corrente della teoria quantistica, dicendo che la sua visione della materia «non rappresenta uno che giochi a mosca cieca con una vaga idea della realtà ( a blind man's buff with the idea of realty )». «Dio non gioca a dadi» comporta la credenza di una intelligibilità obiettiva nelle strutture continue dinamiche e nelle trasformazioni che avvengono nella realtà spazio-temporale dell'universo; noi possiamo afferrarle con la mente, ma ad un livello relativamente elementare attraverso strutture aperte sebbene esse siano matematicamente precise nella loro formalizzazione. Così come io lo comprendo, lo stesso Heisenberg verso la fine della sua vita concluse che nella teoria quantistica lo scienziato entra in relazione con la natura, che nella sua profondità è così sottile ed elusiva da non poter essere spiegata nei termini del distico "caso e necessità". «Dio non gioca a dadi» illumina il fatto che invocare il chance è dopo tutto un modo negativo di pensare, o piuttosto un non pensare. Ritengo che questa sia una lezione che molti scienziati di oggi, e forse specialmente in biologia, dovrebbero imparare, poiché il loro frequente appello al caso appare troppo spesso come una sorta di Dio dei gaps degli scienziati!

Sullo sfondo di tutto il pensiero di Einstein giace il ruolo dato nella religione giudeo-cristiana al primato e alla costanza della luce. Ricordiamo qui il racconto della creazione del Libro della Genesi , il primato della luce: «E Dio disse sia la luce, e la luce fu». Dio è lui stesso l'eterna "Luce increata", ma egli creò l'universo in modo tale che esso fosse governato dalla "luce creata". Noi non possiamo vedere la luce, ma solo ciò che è illuminato dalla luce. Ritorneremo su questo punto. È attraverso la decifrazione dei segnali luminosi che noi conosciamo tutto il cosmo, a livello macroscopico come a livello microscopico. Dobbiamo essere debitori a James Clerk Maxwell che scoprì le proprietà matematiche della luce e al ruolo centrale che esse hanno avuto nella sua teoria scientifica . Nel dare alla luce un posto primario nella descrizione dell'universo spazio-temporale, Einstein seguiva Maxwell. Hermann Weyl, collega di Einstein a Princeton, espresse così la comprensione che Einstein aveva della luce: tutti i corpi in moto sono definibili razionalmente in termini di spazio e tempo, e lo spazio e il tempo sono definibili razionalmente in riferimento alla luce, ma la luce non è definibile in riferimento a niente altro. La luce ha uno statuto fisico e metafisico unico nell'universo. Essa è in ultima istanza la costante indicata con c nelle equazioni scientifiche (come nella famosa formula E = mc 2). Se la velocità della luce non fosse una constante, se il moto della luce variasse o oscillasse in qualche modo, ciò non sarebbe stato un ordine, ma solo l'insieme di eventi casuali e disordinati. È la luce che rivela la natura ordinata delle cose. È per questo motivo che Einstein era riluttante dal dare al caso o agli eventi casuali un ruolo proprio nelle spiegazioni scientifiche o nella formulazione di una teoria scientifica.

La costanza della luce lungo tutto l'ordine creato riflette la fedeltà di Dio, della quale tutte le scritture ebraiche e cristiane parlano - Dio non gioca a dadi. Sì, essa era la credenza di Einstein in Dio , Dio come ultimo garante di tutto l'ordine, razionale e morale, che governava la sua riflessione scientifica e la sua vita quotidiana. Spinoza non meno di Einstein credeva nella fedeltà di Dio, ma l'identificazione posta tra Dio e la natura significava per Spinoza che la specie d'ordine intravista era di un genere determinato che doveva essere compreso nei termini di una rigida connessione logico-causale. Vi sono dunque dei problemi nel riferirsi in modo troppo semplicistico all'appello di Einstein al Dio di Spinoza. Come Spinoza, Einstein aveva ragione nel rifiutare una stretta biforcazione della natura tra mente e corpo, soggetto e oggetto, ma cosa possiamo dire a proposito della concezione spinoziana, rigidamente logica e causalistica, di Dio e dell'universo? Nell'insistere sul fatto che «Dio non gioca a dadi», Einstein era accusato, ad esempio da Max Born, di dare vita ad una dura linea deterministica, anche se, come mostrato da Wolfgang Pauli allo stesso Born, Einstein non era un determinista, quanto piuttosto un realista con la convinzione che, in linea con la teoria di campo di Clerk Maxwell e la teoria generale della relatività, la natura è governata da profondi livelli di connessione intelligibili che non possono però essere espressi nei termini della causalità classica e della matematica tradizionale. Egli era convinto che le più profonde forme di intelligibilità portate in luce dalla relatività e dalla meccanica quantistica non potevano essere comprese in termini di una nozione classica di causalità: esse richiedevano ciò che egli chiamata supercausalità (Übercausalität). Ciò era in fondo un richiamo ad un genere di pensiero matematico totalmente nuovo, non ultimo quello necessario per una teoria unificata dei campi, un genere di matematica che egli non conobbe ma che qualcuno dovrà in seguito trovare.

2. « Dio non mette in piazza le sue cose ». All'interno della loro tradizione ebraica, Einstein e Spinoza aderivano entrambi strettamente al primo comandamento della legge che proibiva di pensare Dio in immagini o forme visibili. In Spinoza ciò era evidentemente riflesso dal suo rifiuto della percezione sensoriale come modo di conoscenza obiettiva e genuina. Questa è anche l'idea fondamentale espressa nel motto «Dio non mette in piazza le sue cose» che Einstein applicava alla fisica. Essa esprima la profonda convinzione che i veri segreti della natura, il suo ordine intelligibile nascosto, non possono essere letti nelle apparenze o essere derivati per via logica dalle strutture osservative della sua superficie fenomenica, ma solo mediante una intercettazione (tapping) dei pensieri di Dio, così come egli ce li rivela. Noi non possiamo vedere Dio, ma possiamo vederlo nella luce della sua stessa luce, come declama il salmista ebraico: «Alla tua luce vediamo la luce» ( Sal 36,10).

Ricolleghiamoci qui al punto notato in precedenza circa la luce dell'universo creato. Lì noi avevamo a che fare con la costanza della luce, ma qui la nostra attenzione è adesso sull'invisibilità della luce. È attraverso la decifrazione delle strutture matematiche trasportate dai segnali luminosi che deriva tutta la nostra conoscenza dell'universo spazio-temporale, su larga scala così come su piccola scala. Questa comprensione della luce ha dato inizio ad una grande rivoluzione nella ricerca scientifica, perché ha significato che l'invisibile non può essere spiegato con i termini del visibile, ma piuttosto il visibile nei termini dell'invisibile. Noi non vediamo la luce stessa, ma solo cosa è illuminato dalla luce, «afferrando la realtà nella sua profondità», «intercettando i pensieri del Grande Vecchio» come Einstein usava dire. «Dio non mette in piazza le sue cose». Ciò non vuol dire che Einstein fosse interessato a cercare delle cause nascoste, staccate da quella regolarità ordinata che noi sperimentiamo ogni giorno nel nostro mondo, o di una differente categoria rispetto ad essa. Einstein era giustamente interessato a rigettare "l'occulto" così come lo pensavano Francesco Bacone o Newton, e persino molto di più di quanto non lo facessero loro, perché egli non avrebbe voluto avere nulla a che fare con quella specie di dualismo sul quale l'occulto prospera. L'interesse di Einstein era piuttosto quello di penetrare nella profonda, invisibile struttura dinamica e ontologica della regolarità ordinata delle cose alla quale le strutture fenomeniche di quella regolarità si coordinano e dalle quali sono controllate. Ciò è particolarmente evidente nella rivoluzione epistemologica causata dalla teoria della relatività generale, la quale mostrava che i fattori empirici e teorici, essere e forma, sono fra loro collegati in tutti i livelli della natura e anche nella nostra conoscenza di essi ( RELATIVITÀ, TEORIA DELLA). Dunque, la ricerca scientifica deve penetrare fino alla più intima struttura costitutiva delle cose, anche senza l'aiuto di immagini; ma struttura che resta invariante attraverso tutta la relatività dell'umano conoscere e che può essere afferrata non tanto con la ricerca osservativa o fenomenologica, bensì attraverso la penetrazione intellettuale o la conoscenza intuitiva. Mentre la forma esteriore della superficie dell'esistente rimane osservabile e descrivibile e varia al variare dell'osservatore, la struttura ontologica, invisibile e priva di immagini rappresentabili, resta costante e invariante per ogni osservatore. Come tale, quest'ultima fornisce quel grado oggettivo che sta al di sotto delle variazioni osservabili correlate con quella struttura e costituisce pertanto la forza integrativa del loro ordine a livello fenomenico, perfino delle loro connessioni superficiali con ciò che appare.

Afferrare la natura in questo modo, in modo intuitivo ed armonico, nella sua oggettività profonda e nelle sue intrinseche relazioni, ed in modo tale da rendere piena giustizia delle differenze e della relatività della nostra esperienza osservativa, senza consentire loro di disintegrarsi in un relativismo pluralistico, tutto ciò costituisce l'oggetto della scienza rigorosa. Ma ciò significa che dobbiamo pensare ad una dimensione della profondità ontologica nella quale la superficie delle cose è coordinata con una struttura più profonda invisibile e intelligibile, e pertanto dobbiamo pensare insieme a fatti empirici e teoretici, a livelli fenomenici e noumenici della realtà, se veramente vogliamo raggiungere la conoscenza delle cose in accordo con la loro natura distintiva con il loro fondamento costitutivo.

C'è qui una profonda differenza tra il pensiero di Einstein e quello di Spinoza. La filosofia di Spinoza era, a suo modo, una forma giudaica della vecchia idea dello stoicismo latino del Deus sive natura , in quanto essa contemplava un'unica e sola sostanza autoconsacrata, Dio oppure la Natura , che Spinoza identificava con l'universo stesso, concepito come un tutto infinito e necessario, che poteva essere compreso soltanto in un quadro logico-causale (PANTEISMO, II.2 ). Per lui Dio non era assolutamente qualcosa che trascendesse l'universo. Al contrario, la formulazione di Einstein del principio che «Dio non mette in piazza le sue cose» comporta un più profondo senso della meravigliosa intelligibilità (Verständlichkeit) dell'universo e del suo incomprensibile e trascendente fondamento in Dio. Lo scienziato è avviato nella sua ricerca dalla meraviglia e dal timore sperimentato di fronte alla misteriosa comprensibilità dell'universo, che in ultima analisi resta sempre qualcosa di inafferrabile. Nella sua essenza più profonda esso resta qualcosa di inaccessibile all'uomo. Questo il motivo per cui, per Einstein, la scienza senza la religione è zoppa.

3. «Sottile è il Signore, ma non malizioso». Questa frase, ora incisa sopra un caminetto nella sala di ritrovo del Dipartimento di Matematica di Princeton, è la traduzione di Raffiniert ist der Herr Gott, aber boshaft ist Er nicht . Da quanto disse lo stesso Einstein, ciò significa: «sottile è il Signore, ma non malizioso». Come accade per le altre frasi, anche questo detto era spesso ripetuto da Einstein, sebbene non con le stesse parole. Preferisco in proposito il motto espresso nella sua forma più forte: Raffiniert ist der Herr Gott, aber hinterlisting ist Er nicht , il quale suggerisce che, se la mente di Dio è sottile, egli non è furbo o astuto , egli è profondo ma non falso, egli non ci inganna e non ci fa dei trucchi. Se «Dio non mette in piazza le sue cose» serve per esprimere l'idea che i segreti della natura non si possono leggere a partire dalla loro superficie fenomenica, «Dio è profondo, ma non falso» esprime la complessità e la sottigliezza, eppure la semplicità e l'affidabilità ultima dell'universo. Ciò significa che l'ordine immanente nascosto dietro le intricate e spesso enigmatiche interconnessioni presenti nell'universo è essenzialmente degno di fiducia, perché, malgrado tutto, qualcosa potrebbe farci pensare il contrario quando ci troviamo di fronte a sequenze di eventi per cui non sembra esserci alcuna spiegazione razionale; l'universo non è arbitrario né malvagio, ma unitario e degno di fiducia nella sua intelligibilità.

Questa convinzione sta in relazione al punto, che abbiamo precedentemente riferito, che la luce ha uno statuto fisico e metafisico unico nell'universo. Se tutti i corpi in moto sono definiti con riferimento allo spazio e al tempo, tutto lo spazio e il tempo sono riferiti in riferimento alla luce. La luce non essendo definita con altro riferimento che se stessa, è la grande costante; tutte le altre cose che noi conosciamo in natura sono conosciute e definite in riferimento ad essa, e su ciò possiamo invariabilmente poggiarsi. Ciò vale malgrado il fatto che nella nostra investigazione atomica e sub-atomica, nella esplorazione terrestre e astrofisica dell'universo fin dove possiamo arrivare nello spazio e nel tempo, incontriamo problemi che possono sembrare intrattabili per le leggi della fisica. In tutte le strutture dinamiche multivariabili che pervadono l'universo dei corpi in moto, la costanza della luce, con il suo statuto metafisico unico, dà in un certo modo sostegno alla convinzione che «Dio non gioca a imbrogliarci». Questo vuol dire che c'è un ordine immanente dell'universo della cui inviolabilità restiamo totalmente convinti, perché senza di esso l'universo non sarebbe in alcun modo intelligibile all'indagine razionale, e noi stessi, che siamo creature dello spazio e del tempo che appartengono allo stesso universo, non saremmo in alcun modo capaci di pensiero o di comportamento razionale ( GESÙ CRISTO, RIVELAZIONE E INCARNAZIONE DEL LOGOS, III). Così, mentre in un senso logico un tale ordine dell'universo non è né verificabile né falsificabile, esso resta la più persistente di tutte le nostre convinzioni scientifiche, giacché senza di esso non potrebbe esserci alcuna scienza; pertanto non crediamo che ci sia, né ci possa essere, qualcosa che in ultima analisi possa valere contro di esso. Dio è fedele e non ci delude; egli è sempre fedele ( LEGGI NATURALI, VI.2 ).

A tale convinzione Einstein rimase fermamente attaccato nonostante le affermazioni dei teorici quantistici che ponevano in questione l'invariabilità di un ordine profondo nel regno del sub-atomico, dove la natura pare essere causalmente discontinua e irrazionale ( DETERMINISMO/INDETERMINISMO, II.3 ). Einstein stesso dovette affrontare un problema simile circa le implicazioni della relatività generale per la nostra comprensione della curvatura dello spazio in un universo non euclideo; quanto egli insistette, però, nel dire che fin dove le posizioni matematiche si riferiscono alla realtà noi non lo sappiamo con certezza; e fin dove esse sono certe, non si riferiscono certo alla realtà. La logica tradizionale si applica allo spazio piano, non a quello curvo, cosicché vengono chiamati in causa dei nuovi modi di pensare, che non si conformano alle leggi classiche della logica e della fisica. Questo è il motivo per cui invece di seguire direttamente le interpretazioni di Copenhagen-Göttingen della teoria quantistica, Einstein puntava alla necessità di un "nuovo genere di matematica" per poter affrontare con successo le profonde relazioni di intelligibilità che i fisici quantistici cercavano di afferrare. Si rende necessaria una profonda rivoluzione nella struttura logica della scienza, in linea con quanto già cominciato da Clerk Maxwell, una rivoluzione che Einstein chiamava una nuova mathesis in matematica, finalizzata alla necessità di costruire un genere di matematica che tenesse conto della dinamica, cioè con una relazione temporale costituita al suo interno. Tutto ciò per dire che nella ricerca scientifica e matematica era necessario un più profondo e più sottile modo di pensare, nel quale dovevano essere presi in considerazione dei nuovi fattori di razionalità. Dio è sottile, ma non malizioso, non ci prende in giro, né ci chiede di giocare alla cieca.

La maniera frequente con cui Einstein collega la nozione di "ordine" con la nozione di Dio riflette il fatto che l'ordine è una delle credenze ultime la quale, sebbene razionale, non può essere provata; noi dobbiamo infatti sempre assumere un certo ordine, sia per provarlo, sia per negarlo. Ogni ordine razionale punta al di là di se stesso, verso il fondamento ultimo dell'ordine. Ecco perché Einstein non poteva essere considerato un ateo, non fosse altro perché, negando Dio quale fondamento trascendentale di tutto l'ordine, non vi potrebbe essere più alcun pensiero razionale, e nemmeno una scienza.

In conclusione vorrei richiamare un punto di grande importanza che pochi scienziati hanno raccolto o forse osato prendere in considerazione. Si tratta di un punto nel quale troviamo la più nitida deviazione di Einstein dal Dio di Spinoza. Riguarda la sua adesione al rifiuto spinoziano del dualismo e la sua insistenza sull'unità razionale e l'armonia di leggi dell'universo, cosa che per molti anni attirerà la sua attenzione allo scopo di sviluppare l'idea di una teoria unificata dei campi, una teoria nella quale, ad esempio la teoria della relatività e la teoria quantistica potevano essere unite in una struttura razionale universale. Già nel 1929 Einstein aveva dato grande importanza a questa possibile connessione. Egli faceva notare che la scienza è giunta oggi ad uno stadio nel quale non può più essere soddisfatta semplicemente dalla descrizione di come la natura è ciò che è nello sviluppo dei suoi processi; occorre oggi porsi la domanda sul perché la natura è ciò che è, e non qualche altra cosa. Ovvero, la scienza non può essere soddisfatta dal mero determinare le leggi di come la natura, intesa come un insieme di fatti, si comporta; ciò che si vuole comprendere è l'"unità logica" di quelle leggi, verso la quale Einstein stesso si era impegnato nella sua ricerca di una teoria unificata del campo; solo allora la scienza può penetrare verso il fondamento trascendente di quelle leggi e trovarne la giustificazione ultima. Einstein giungerà a dire che questa potrebbe sembrare un'impresa piuttosto "prometeica", ma qui abbiamo a che fare con quello che egli chiamava «la base religiosa dell'impresa scientifica». Introdurre nuovamente la domanda circa il perché nelle strutture intime delle scienze fisiche e naturali equivaleva di fatto ad un chiaro rifiuto del razionalismo dualistico dell'Illuminismo tra il come e il perché , al quale devono essere ricondotte le dannose fratture verificatesi poi nella cultura occidentale, ma puntava al contempo verso la nozione di Dio come fondamento ultimo di tutto l'ordine razionale e ragione trascendente di tutte le leggi di natura. Quale luce sorprendente viene dunque recata da ciò che Einstein intendeva realmente col termine «Dio». È solo partendo dalla nozione di Dio che noi possiamo comprendere il perché , ovvero lo scopo ultimo e fondamentale dell'universo creato.


Thomas F. Torrance


Vedi: DIO; LEGGI NATURALI; RELATIVITÀ, TEORIA DELLA.



Bibliografia:


Opere di Albert Einstein: Albert Einstein. Collected Papers - Gesammelte Schriften , a cura di A.J. Kox, M.J. Klein, R. Schulmann, Princeton University Press, Princeton - Chichester 1987-1996; Il significato della relatività , Einaudi, Torino 1950; in collaborazione con L. Infeld, L'evoluzione della fisica , Einaudi, Torino 1953; Relatività: esposizione divulgativa , Boringhieri, Torino 19672 ; Autobiografia scientifica , Boringhieri, Torino 1979; Opere scelte , a cura di E. Bellone, Bollati-Boringhieri, Torino 1988; Come io vedo il mondo (1922-1934), Newton Compton, Roma 1993; Corrispondenza con Michele Besso (1903-1955) , a cura di G. Gembillo, Guida, Napoli 1995; Pensieri, idee, opinioni (1934-1950), Newton Compton, Roma 1996.

Principali opere su Einstein: Ph. FRANK, Einstein. La sua vita e il suo tempo , Garzanti, Milano 1949; Cinquant'anni di relatività (1905-1955) , Editrice Universitaria Fiorentina (Editrice Giuntina), Firenze 1955; P.A. SCHILPP (a cura di), Albert Einstein scienziato e filosofo , Boringhieri, Torino 1958; W. PAULI, Teoria della relatività , Boringhieri, Torino 1958; M. BORN, La sintesi einsteiniana, Boringhieri, Torino 1969; D.W. SCIAMA, La Relatività Generale. Fondamenti Fisici della teoria, Zanichelli, Bologna 1972; M.J. KLEIN, N.L. BALAZS, Einstein, Albert , in DSB, vol. IV, 1973, pp. 312-332; F. DÜRRENMATT, Albert Einstein. Ein Vortrag , Diogenes, Zurich 1979; G. CORTINI, La Relatività Ristretta (con nota storica di S. Bergia), Loescher Editore, Torino 1981; ; E. CASSIRER, La teoria della relatività di Einstein. Considerazioni gnoseologiche , Newton Compton, Roma 1981; A.PAIS, « Sottile è il Signore... ». La scienza e la vita di Albert Einstein , Bollati-Boringhieri, Torino 1986; L. INFELD, Albert Einstein, Einaudi, Torino 1989; L.S. FEUER, Einstein e la sua generazione. Nascita e sviluppo di teorie scientifiche , Il Mulino, Bologna 1990; A. BRISSONI, L'epistemologia di Albert Einstein , Gangemi Editore, Roma 1991; G. HOLTON, Einstein e la cultura scientifica del XX secolo, Il Mulino , Bologna 1991; D. BRIAN, Einstein a life, Wiley, New York 1996; M. JAMMER, Einstein and Religion. Physics and Theology , Princeton Univ. Press, Princeton 1999.



http://www.disf.org/Voci/137.asp