sabato 31 gennaio 2009

La guerra impossibile dei refusenik di Israele


La guerra impossibile dei refusenik di Israele

di Andrea Dessi, Osservatorio Iraq




Gerusalemme – L’ultima guerra israeliana nella striscia di Gaza ha ottenuto un sostegno senza precedenti da parte della popolazione dello Stato ebraico. Secondo un recente sondaggio condotto dall’università di Tel Aviv, l’appoggio della società israeliana per l’operazione “Piombo fuso” ha raggiunto il livello record del 94 per cento.

In questo contesto, la minoranza che si è opposta all’azione militare è rimasta per lo più ignorata o - peggio ancora - pubblicamente accusata di “alto tradimento” o “simpatia per il nemico”.

Tra i gruppi che si sono opposti all’operazione militare a Gaza, Courage to Refuse è forse l’unico che grazie alla sua composizione può sperare di suscitare una risposta meno ostile da parte della società israeliana. L’organizzazione, fondata ufficialmente nel 2002 con la pubblicazione di una lettera firmata da 50 soldati e ufficiali appartenenti all’esercito israeliano (Idf), è infatti il primo gruppo interamente dedicato al fenomeno dei refusenik in Israele.

L’organizzazione conta attualmente 628 membri, tutti soldati o riservisti nelle file dell’Idf, che nel firmare la “lettera dei combattenti”, pubblicata nei maggiori quotidiani d’Israele ad intervalli continui dal 2002, hanno apertamente rifiutato di servire nell’esercito per qualsiasi azione correlata all’occupazione dei Territori palestinesi. “Noi, riservisti e soldati dell’Idf [..] siamo consapevoli che i territori [occupati] non fanno parte d’Israele” afferma la lettera, che inoltre dichiara “non continueremo a combattere al di là dei confini del 1967”, ma “continueremo a servire nell’Idf in qualsiasi missione il quale scopo è la difesa d’Israele. Le missioni d’occupazione e oppressione non hanno questo scopo - e noi non ce ne renderemo complici”.

Rifiuto di combattere

Le recenti operazioni militari a Gaza hanno di nuovo posto in rilievo il ruolo degli obiettori di coscienza all’interno della società israeliana. Sarebbero infatti almeno 10 i refusenik di questa guerra, e tutti rischiano una sentenza che va da 14 a 35 giorni di galera. In due sono già stati condannati. Tra questi, Noam Livne, 34 anni, che attualmente studia per un dottorato in matematica. Lo abbiamo raggiunto per telefono nella sua casa di Tel Aviv il 19 gennaio, la sera prima della sua apparizione in corte. “Ho il presentimento che andrò in galera” dice con un tono di rassegnazione.

Per Noam non sarebbe la prima volta; è stato infatti già condannato nel 2001 a 22 giorni di prigione per aver rifiutato il richiamo alle armi durante la seconda Intifada. Avendo rifiutato il servizio ancor prima della fondazione del gruppo Courage to Refuse nel gennaio 2002, dopo la sua scarcerazione nel 2001 ricorda come sia “diventato molto attivo nell’opposizione all’occupazione” e sia entrato subito in contato con il “movimento dei refusenik” che a quel tempo era nelle prime fasi nascenti.

Avendo servito nell’esercito israeliano per più di sette anni come ufficiale nel genio militare, Noam ci racconta come sia arrivato alla decisione di diventare un refusenik. “E’ stato un processo di maturazione. Mi sono sempre opposto all’occupazione [..] il mio servizio di leva obbligatorio è stato durante gli anni degli accordi di Oslo, un periodo molto ottimista. Sembrava che quelli fossero gli ultimi giorni dell’occupazione e noi dovevamo fare il necessario per mettere fine al conflitto”.

“Allora – dice Noam - non avevo dei problemi morali con le missioni specifiche di cui mi occupavo. Dovevo scortare i pullman scolastici dei bambini delle colonie di Gaza. Sai non è colpa loro se sono nati nelle colonie…”.

Dopo la conclusione del suo periodo di leva divenne di nuovo un civile, sfruttando questo periodo per viaggiare molto, ma al suo ritorno in Israele come studente per un primo diploma fu convocato a Nablus come riservista nell’esercito. “Era il periodo iniziale della seconda Intifada – ricorda - e al tempo leggevo molto, specie la colonna settimanale di Gideon Levy nel giornale Ha’aretz. Giunsi alla conclusione che l’unica ragione per la presenza dell’Idf nei territori occupati era la protezione delle colonie e questo non aveva niente a che fare con la sicurezza o la difesa d’Israele. Io questo non lo posso ne giustificare ne accettare moralmente”.

Dopo essere uscito di prigione, e mentre altri come lui prendevano la decisione di rifiutare il servizio militare durante i primi anni della seconda Intifada, nel gennaio 2002 venne pubblicata la ‘lettera dei combattenti’ tramite la quale, con il passare degli anni, più di 600 soldati hanno potuto dare voce alla loro obbiezione all’occupazione. “La nostra enfasi speciale” nel gruppo Courage to Refuse, dice Noam, “è di provare a parlare alla corrente tradizionale nella società israeliana. Noi siamo soldati, ufficiali e riservisti, ciò che la gente qui chiama sale della terra, quindi a volte è più facile che le persone ci capiscano. Stiamo provando a rendere i refusenik più facili da digerire per la società israeliana”.

Noam sostiene che lui e gli altri refusenik sono “disposti a servire nell’Idf solo per questioni di difesa, ma non ad attraversare la linea verde [il confine dello Stato Israeliano nel 1967] o a compiere niente che abbia a che fare con l’occupazione”.
Pochi giorni dopo l’intervista abbiamo appreso che Noam è stato prima interrogato dalle autorità militari e poi imprigionato per tre giorni senza il diritto ad un avvocato. Ora, a differenza degli altri refusenik, Noam è in attesa di essere processato da una Corte militare dove rischia anche un massimo di due anni di galera. Secondo lui questo trattamento è dovuto al fatto che qualche giorno prima della sua apparizione in tribunale, il 20 gennaio, abbia pubblicato un suo articolo nel sito internet di uno dei giornali più ampiamente letti in Israele, Yedioth Ahronoth, pubblicamente denunciando l’azioni del proprio governo a Gaza.

Una guerra contro i civili

Molto simile a quella di Noam è la storia di Haim Weiss, un altro dei membri fondatori del gruppo Courage to Refuse ed ex-capitano delle forze corazzate dell’esercito israeliano. Lo abbiamo incontrato in un caffè poco distante dall’università ebraica di Gerusalemme. Anche Haim, 39 anni e padre di tre figlie, ha ricordato il “processo” che lo ha portato a diventare un refusenik.

Attualmente è professore di Letteratura ebraica antica all’università di Be’er-sheba, città nel sud d’Israele ultimamente raggiunta dai razzi sparati da Hamas dalla striscia di Gaza. Ciò nonostante non nasconde il suo più ampio rigetto per l’ultima avanzata militare israeliana nella Striscia: “Non credo che quello che è accaduto a Gaza sia vicino alla definizione di crimini di guerra - dice con chiaro sdegno - Non c’era una guerra li, non abbiamo combattuto contro soldati, ma contro donne e bambini. L’aviazione ha distrutto la striscia di Gaza, e solo dopo è entrato l’esercito di terra.
La maggior parte delle nostre perdite sono state causate dal fuoco amico, e che sia chiaro mi dispiace enormemente per ognuno di loro, ma questo è accaduto perché non c’era una vera guerra a Gaza”.

“Il concetto che si possa uccidere quante donne e bambini si voglia in modo di non rischiare la vita dei nostri soldati – continua - non ha mai fatto parte del dialogo morale all’interno del nostro esercito. Ma durante la seconda guerra in Libano [2006], e specialmente durante questa [a Gaza], non mostriamo neanche vergogna e dichiariamo apertamente e con franchezza che uccideremo quanti civili saranno necessari per mantenere in vita i nostri soldati. Quanti bambini palestinesi siamo disposti a uccidere per salvare una vita?”.

Gli aspetti che più di qualsiasi altra cosa hanno indotto Haim a dissociarsi dall’esercito sono gli eventi che lui associa ad una specie di “guerra tribale” tra loro ed il nemico. L’attacco ed il contrattacco, il ciclo incessante di violenza, le “rappresaglie” dell’esercito israeliano che secondo lui non hanno alcun senso a parte il “mostrare chi è che comanda” nei territori. Avendo firmato la lettera di Courage to Refuse nel 2002, un anno più tardi fu comunque costretto per l’ultima volta a prendere parte ad una missione dell’esercito dopo l’assassinio del ministro Rechavam Ze’evi da parte di alcuni militanti palestinesi. “Siamo entrati a Betlemme con i carri armati”, ricorda (precisando però che lui non prese parte nelle sparatorie ma che era il suo reggimento a condurre l’incursione). “Iniziammo a sparare su tutto, non credo che uccidemmo qualcuno ma abbiamo distrutto tutte le strade e vari edifici”.

“Comunque credo che la cosa più difficile sono i posti di blocco. Stare lì ogni giorno impedendo ai palestinesi di avere una vita normale e decente senza alcuna buona ragione è difficile da giustificare. I posti di blocco sono lì principalmente per difendere le colonie, non Israele”, afferma Haim, precisando che per lui “c’è un enorme differenza tra i due: proteggere Israele è una buona causa, ma proteggere le colonie che sono illegali secondo qualsiasi definizione del diritto internazionale non lo è, e io non sono disposto a prendervi parte”.

Haim Weiss ha servito come ufficiale in commando di uno dei checkpoint più grandi nei Territori occupati che si trova sulla strada per Hebron. Dice che “è impossibile essere lì e sperare di fare la cosa giusta, l’unico modo per fare la cosa giusta e non essere lì affatto. Non parlo delle cose grandi, come questa guerra [a Gaza], mi riferisco a cose come impedire alle donne incinta di raggiungere l’ospedale, e anche se i miei soldati provavano a fare del loro meglio in circostanze difficili questo non è abbastanza; non basta essere cortesi o gentili, la gentilezza non aiuta, non aiuta noi come non aiuta loro”.

Rispondendo ad una domanda sulla reazione della società israeliana alle attività di Courage to Refuse, Haim lascia trapassare un accenno di sconforto nel dichiarare che lui, assieme agli altri fondatori del gruppo, pensarono inizialmente “che la gente ci avrebbe rispettato perché facevamo parte del sistema” e che “saremmo potuti rimanere nella corrente tradizionale del Paese” anche dopo la decisione di diventare refusenik. Tuttavia, afferma oggi, “era una fantasia. Courage to Refuse è diventato famoso solo per due mesi, dopodiché ci hanno subito etichettati come membri dell’estrema sinistra e quindi esclusi dal discorso politico. Dopo quei due mesi nessuno sentiva parlare di noi; abbiamo sprecato quel poco credito politico che avevamo come ex-soldati, e ora nessuno dei media israeliani vuole parlare con noi. “Ma alla fine hanno visto le nostre lettere con il numero di firme sempre crescenti che le accompagnarono, e questo è comunque già qualcosa”.

Tornando al conflitto attuale tra Israele ed Hamas, che descrive come una “orribile organizzazione terroristica”, Haim dichiara con convinzione “che non si può pensare di combatterli uccidendo centinaia di civili innocenti; questo non risolverà il problema perché prima o poi, tra due, cinque o anche otto mesi ricominceranno a sparare e il rituale si ripeterà”. Tutto questo – afferma Haim - si può paragonare a “dei bambini che litigano nell’asilo su chi ha iniziato prima. Dobbiamo capire cosa vogliono, alcune delle loro richieste non sono irragionevoli; dobbiamo trovare modi per parlare con loro, non c’è altra soluzione”.

La pace impossibile

Nel chiedere ad entrambi gli intervistati di descrivere le loro paure e speranze per il futuro, Haim Weiss dice di “volere che entrambi le parti posino le armi per una settimana”, sperando che questo possa innescare un dialogo tra loro. “Spero che l’America si assumi le proprie responsabilità – aggiunge - deve assumere il ruolo del fratello maggiore nel limitare la pazzia di quello minore [Israele]”.

Noam Livne d’altro canto appare più pessimista nel dichiarare che “al momento non appare esserci nessuna speranza per Israele di diventare un paese normale”, aggiungendo che la sua speranza “è che nel futuro ci sia speranza”. “La gente qui [in Israele] – dice - davvero non crede nella possibilità di vivere in pace. Questo è terribile per me, perché non ho nessuna voglia di vivere qui se davvero è cosi. La mia paura è che la democrazia israeliana si stia disintegrando”.

di Andrea Dessi, Osservatorio Iraq
(26 gennaio 2009)





Link originale :

http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=7031



Link a questa pagina :

http://www.terrasantalibera.org/Gaza-Refusenik2009.htm



http://www.terrasantalibera.org:80/Gaza-Refusenik2009.htm

giovedì 29 gennaio 2009

GAZA: LA TREGUA NON VIENE RISPETTATA

Gaza, attacco aereo israeliano
29 01 2009
Feriti undici cittadini palestinesi
Raid aereo da parte degli Israeliani a Gaza per colpire un agente delle forze di sicurezza di Hamas. Alcune ore prima la cittadina di Sderot era stata bersagliata da un razzo palestinese.
Alcuni palestinesi sono rimasti feriti oggi a Khan Yunes (a sud di Gaza) in un attacco aereo israeliano. A quanto pare l'obiettivo era un agente delle forze di sicurezza di Hamas che circolava a bordo di una motocicletta e che è stato colpito. Lo riferiscono fonti locali. L'attacco è avvenuto alcune ore dopo il lancio di almeno un razzo da Gaza verso la città israeliana di Sderot, nel Neghev. Secondo le prime informazioni, almeno undici persone sono rimaste ferite a Khan Yunes nell'attacco israeliano. Fra queste anche alcuni allievi di una vicina scuola dell'Unrwa, l'ente delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi. La identità del motociclista colpito non è per il momento nota a Gaza. In Israele l'episodio non è ancora stato commentato. Nel frattempo, malgrado il ritorno della tensione nella zona, prosegue anche oggi l'ingresso a Gaza di convogli di aiuti umanitari per la popolazione palestinese. Fonti israeliane prevedono che oggi transiteranno circa 200 camion di aiuti.


Abitazioni colpite nella Striscia di Gaza (foto: AP)

http://unionesarda.ilsole24ore.com/Articoli/Articolo/103805

I DUBBI DEI LEFEBVRIANI SULLE CAMERE A GAS

"Dubbi su funzione camere a gas"
Lo dichiara prete lefebvriano italiano

Le camere a gas? "L'unica cosa certa è che sono state usate per disinfettare". Lo afferma in un'intervista alla 'Tribuna' di Treviso il prete lefebvriano don Floriano Abrahamowicz. Dopo la clamorosa intervista del vescovo Williamson, che minimizza la Shoah, altre affermazioni negazioniste. Don Abrahamowicz ha poi aggiunto:"E gli israeliani non possono mica dirmi che il genocidio che loro hanno subito dai nazisti è meno grave di quello di Gaza".



Don Floriano Abrahamowicz aveva già vissuto in precedenza un momento di gloria mediatica quando, il 15 settembre 2007, celebrò messa in latino a Lanzago di Silea per il leader della Lega Nord Umberto Bossi. Oggi afferma di avere "da parte paterna, origini ebraiche" e che le sue opinioni riguardano i fatti storici e non manifestano antisemitismo, in quanto "è veramente impossibile per un cristiano cattolico essere antisemita".

E se pure ammette che "sicuramente è stata un'imprudenza" per Williamson fare quelle affermazioni alla tv svedese, poi sostiene che "accanto a una versione ufficiale, esiste un`altra versione basata sulle osservazioni dei primi tecnici alleati che sono entrati nei campi". Quanto al numero delle vittime per il sacerdote non ci sono certezze: "potevano essere anche piu' di 6 milioni. Anche nel mondo ebraico le cifre hanno un valore simbolico. Papa Ratzinger dice che anche una sola persona uccisa ingiustamente è troppo, è come dire che uno è uguale a 6 milioni. Andare a parlare di cifre non cambia niente rispetto all'essenza del genocidio, che è sempre un'esagerazione".


http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo440032.shtml

mercoledì 28 gennaio 2009

Lode a Dio creatore e Signore


EBREI PER GESU'

SALMO 33

(32) Lode a Dio creatore e Signore

1Gridate di gioia al Signore, voi giusti;
da voi, fedeli, si innalzi la lode!
2Celebrate il Signore al suono della cetra,
lodatelo sull'arpa a dieci corde.
3Cantate per lui un canto nuovo,
acclamatelo con la musica più bella!
4 Chiara è la parola del Signore,
sicure sono tutte le sue opere.

5Egli ama il diritto e la giustizia,
del suo amore è piena la terra.
6La parola del Signore creò il cielo
e il soffio della sua bocca, tutte le stelle.
7Ha messo un argine alle onde del mare,
ha raccolto le acque degli abissi.
8Tutta la terra renda onore al Signore,
lo temano gli abitanti del mondo.
9Perché egli parlò e tutto fu fatto;
diede un ordine e tutto fu compiuto.

10Il Signore distrugge i piani dei popoli,
rende vani i progetti delle nazioni.
11Ma i piani del Signore durano per sempre,
tutti i suoi progetti rimangono nei secoli.
12 Felice la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come suo.

13Dall'alto del cielo il Signore guarda
e vede tutti gli uomini.
14Dal luogo dove abita
egli osserva tutti gli abitanti della terra.
15Lui ha creato il loro cuore,
lui conosce le loro azioni.
16Un re non vince con un grande esercito,
un guerriero non si salva con la sua forza;
17è un'illusione la vittoria con i cavalli,
la salvezza non viene dagli eserciti.
18Ma il Signore veglia su chi crede in lui,
su chi spera nel suo amore;
19per farlo sfuggire alla morte
e tenerlo vivo in tempo di fame.

20 Noi speriamo nel Signore:
è lui che ci aiuta e ci protegge.
21Da lui viene ogni nostra gioia,
in lui è tutta la nostra fiducia.
22Il tuo amore ci accompagni,
perché noi confidiamo in te, Signore.


http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=33



http://groups.google.com/group/ebrei-per-gesu?hl=it

Gran rabbinato rompe relazioni con il Vaticano

Revoca di scomunica al vescovo Williamson
Gran rabbinato rompe relazioni con il Vaticano

Il rabbinato di Israele ha interrotto i rapporti ufficiali con il Vaticano "indefinitamente", in segno di protesta per la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica al vescovo lefevbriano, Richard Williamson, che in passato ha negato l'Olocausto.





Il Gran Rabbinato di Israele ha deciso di rompere a tempo indefinito le relazioni con il Vaticano, a seguito della revoca della scomunica da parte di Benedetto XVI al vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson. Lo
riporta il sito web del Jerusalem Post. Il Gran Rabbinato ha anche cancellato un incontro con la Commissione per i rapporti con l'ebraismo della Santa Sede, in programma a Roma dal 2 al 4 marzo.

In una lettera al cardinale Walter Casper, presidente della Commissione per le relazioni religiose con l'ebraismo della Santa Sede, il direttore generale del Gran Rabbinato di Israele, Oded Weiner, ha affermato che "senza una
pubblica scusa e una ritrattazione sarà difficile proseguire il dialogo". Secondo una fonte del Gran Rabbinato, il contenuto della lettera è stato divulgato alla stampa israeliana prima chela missiva giungesse al Vaticano, e ciò potrebbe ulteriormente complicare le relazioni tra il Gran Rabbinato e la Santa Sede.



28/01/2009

http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/01/28/982409-gran_rabbinato_rompe_relazioni_vaticano.shtml

martedì 27 gennaio 2009

OBAMA ALLA TV ARABA



il Giornale.it
n. 23 del 2009-01-27 pagina 0

Obama alla tv araba:
gli Usa non sono il nemico
non siamo contro l'Islam
di Redazione

Prima intervista concessa a una televisione araba, Al Arabiya. Il presidente Usa promette a breve una visita nella capitale di un grande paese musulmano. Poi ammette: "Commessi errori"

Barack Obama tende la mano al mondo musulmano e, nella sua prima intervista concessa a una televisione araba, Al Arabiya, afferma: "Gli americani non sono vostri nemici". Il presidente statunitense ha anche ripetuto il suo impegno a recarsi quanto prima nella capitale di un grande paese musulmano.

L'impegno Usa in Medio Oriente Obama ha ribadito la sua volontà di riavviare il processo di pace in Medio Oriente e lodato gli sforzi del re saudita Abdullah per un piano arabo di pace in Medio oriente: "Non è possibile pensare solo in termini di conflitto israelo-palestinese e non in modo più comprensivo di ciò che accade in Siria, Libano, Afghanistan e Pakistan", ha detto il presidente alla televisione satellitare con base a Dubai: "Questi eventi sono correlati". "Ma il momento è maturo per entrambe le parti di capire che il sentiero che stanno percorrendo non porterà alla prosperità della propria gente. E che invece è giunto il momento di tornare al tavolo dei negoziati". Dopo aver ricordato di aver vissuto diversi anni in Indonesia e di aver visitato numerosi paesi musulmani, il presidente statunitense ha detto di essersi ormai convinto che, al di là dei diversi credi religiosi, l’umanità ha speranze e sogni condivisi: "Il mio dovere nei confronti del mondo musulmano è quello di comunicare che gli americani non sono vostri nemici. Qualche volta abbiamo commesso errori, non siamo perfetti".




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http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=324172&PRINT=S

L'ULTIMA PAGINA DI ANNA FRANK


L'ultima pagina di Anna Frank
Ecco il documento sulla prigionia
dal nostro inviato MARCO ANSALDO


BAD AROLSEN - "Frank, Annelies Marie Sara. Nata il 12 giugno 1929 a Francoforte. Residente ad Amsterdam, in Piazza Mervede 37, II piano. Nubile. Genitori: Frank, Otto Heinrich Isra, 12.5.1889. Hollaender, Edith Sara, 16.1.1900. Sorella: Frank, Margot Betti Sara, 16.2.1926". Due segni di morte, incisi a penna in cima e in fondo al foglio, stilizzati come croci uncinate, bollano in maniera inequivocabile la provenienza del documento. Così, infatti, le SS erano solite marcare le schede dei prigionieri defunti.

Precisione ad efficienza. È grazie alla disciplina inflessibile di tanti scrivani del Terzo Reich che i frammenti che continuano a uscire dal grande archivio sui crimini nazisti di Bad Arolsen, nel centro della Germania, aperto dopo sessant'anni ai ricercatori, contribuiscono ad arricchire l'immagine di quel periodo storico. Come i due documenti presenti qui su Anna Frank, una deportata fino ad allora come tutti gli altri.
Sul primo, in alto a destra, compare una cifra e una data: il numero del dossier "127.266", e "8 agosto 1944". Sono passati dunque appena sette giorni da quando Anna ha scritto, senza saperlo, l'ultima lettera del suo "Diario", che termina incompiuto il 1 agosto 1944. E questa carta è la scheda personale che i nazisti avevano compilato, in Olanda, subito dopo la sua cattura.

Fino a quel momento la famiglia Frank era rimasta nascosta ad Amsterdam, insieme ad altri quattro ebrei, nel famoso "Alloggio segreto", sito al numero 263 della Prinsengracht, dove gli otto rifugiati riuscirono a strappare due anni di vita ai militari tedeschi che ignoravano la loro esistenza. Il 4 agosto però, dietro una "soffiata", il caporeparto austriaco delle SS, Karl Josef Silberbauer (poi scovato dal cacciatore dei nazisti Simon Wiesenthal), accompagnato da alcuni agenti olandesi della Gruene Polizei, faceva irruzione nell'ufficio di Otto Frank riadattato a rifugio. Celata da uno scaffale girevole, si apriva una porta segreta, con la lunga scala ripidissima - "la tipica rompigambe olandese", come aveva scritto Anna negli appunti tenuti in quel periodo - che dava accesso all'appartamento dove le famiglie avevano trovato riparo senza però più uscire di casa.


La scheda, redatta a macchina in lingua olandese, segna l'immediato internamento della giovane a Westerbork, il campo di raccolta destinato a radunare tutti gli ebrei dei Paesi Bassi, in attesa del trasferimento nei campi di sterminio in Polonia. Fra l'estate del 1942 e l'autunno del 1944, come ricorda lo studioso della Shoah, Frediano Sessi, nell'appendice al Diario pubblicata in Italia da Einaudi, partiranno 85 convogli, dei quali 19 diretti a Sobibor, e 66 verso Auschwitz.

"A Westerbork - dirà una sua compagna di prigionia, Lenie de Jong - Van Naarden, citata nel libro di W. Lindwer Gli ultimi mesi di Anna Frank (Newton Compton) - conoscemmo ben presto un gran numero di persone. Parlai con le ragazze Frank: Anne soprattutto era carina. Ti si spezzava il cuore, perché erano ancora così giovani e non si poteva fare niente per tenerle fuori da tutto ciò. Quelle ragazze si aspettavano ancora tanto dalla vita". "Otto Frank venne da me - racconta un'altra testimone, Rachel Van Amerongen-Frankfoorder - e chiese se Anne non potesse aiutarmi, il servizio interno era molto ambito. Anna era molto gentile e disse: "So fare tutto, sono pratica di tutto". Era davvero molto cara, un po' più grande di quanto appaia sulle fotografie che conosciamo di lei, allegra e di buon umore. Credo che lei, dopo un paio di giorni, sia capitata con la sorella e la madre nel reparto batterie".

Il documento su Anna Frank compilato a Westerbork era perfetto nella sua essenzialità e accuratezza. Una scheda che, oltre a tenere tutti i dati fondamentali dell'internata, verrà aggiornata di continuo. Quel Lager verrà non a caso ricordato da molti come un esempio di brutalità e ottusità del regime nazista. "Di tanto in tanto - rammenta un altro compagno di sventura, Janny Brandes-Brilleslijper - scambiavamo due parole: per esempio quando spaccavamo batterie. Era un lavoro molto sporco, del quale nessuno capiva il senso. Dovevamo spaccare le batterie con uno scalpello e un martello e poi gettare il catrame in una cesta e la barretta di carbone che tiravi fuori nell'altra cesta. Oltre al fatto che questo lavoro ti faceva diventare terribilmente sporco, a tutti veniva la tosse perché si sprigionava una certa sostanza tossica. Il lato piacevole del lavoro con le batterie era che potevi parlare con gli altri. Le ragazze Frank spaccavano batterie sedute intorno ai lunghi tavoli. Si parlava, si rideva, il dolore lo tenevi dentro di te".

Non sappiamo se in quei pochi momenti di libertà che la ragazza trascorse in famiglia, e forse anche con Peter Schiff, il ragazzo di cui era innamorata del quale recentissimamente è emersa la foto, riuscì ancora a scrivere qualcosa per il suo diario. Gli storici propendono per il no. I nazisti riservavano pene durissime a chi cercava di tenere appunti.

Nella scheda personale su Anna si nota infatti una scritta più grande, aggiunta a mano, per traverso: "3-9-44". E' la data dopo nemmeno un mese del suo successivo trasferimento, e quello della sua famiglia, ad Auschwitz, dove i Frank arrivarono assieme agli altri nella notte compresa fra il 5 e il 6 settembre. La selezione fu fatta subito, una volta fatti scendere dai binari, e uno degli otto rifugiati dell'Alloggio segreto, il signor Van Pels, fu immediatamente inviato alla camera a gas.

Il secondo riferimento ad Anna Frank presente nell'archivio tedesco esce invece da un corposo libro con la copertina nera contenente l'elenco di migliaia di ebrei, in transito da Westerbork verso Auschwitz. "Lista 40", dice l'intestazione in alto a sinistra. "Frank Annelise M.", si legge a metà della pagina. Ci sono i dati di nascita, l'indirizzo e la medesima data di trasferimento segnata sulla scheda personale: 3 settembre 1944.

Quindici righe più sotto compare anche il nome della madre: Frank - Hollaender Edith. Sono passati qui solo 33 giorni da quando la quindicenne Anna aveva redatto quel capolavoro di profondità e delicatezza che è la pagina finale del suo diario: "Ho molta paura che tutti quelli che mi conoscono così come sono sempre scoprano che ho anche un altro lato più bello e più buono. Temo che mi prendano in giro, mi trovino ridicola, sentimentale e non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma solo la Anne "superficiale" ci è abituata e lo può sopportare, la Anne più "profonda" invece è troppo debole (...) Oh, vorrei tanto ascoltarli, ma non riesco, se sono silenziosa e seria tutti pensano che sia uno scherzo e devo salvarmi con una battuta di spirito, per poi non parlare dei miei familiari che pensano che io stia male, mi fanno inghiottire pastiglie per il mal di testa e calmanti, mi toccano il collo e la fronte per sentire se non ho la febbre, s'informano se sono andata di corpo e criticano il mio cattivo umore. Non sopporto, quando si occupano tanto di me, allora sì che divento prima sfacciata, poi triste e alla fine torno a rovesciare il cuore, giro in fuori la parte brutta e in dentro la buona e cerco un modo per diventare come vorrei tanto essere e come potrei essere se. nel mondo non ci fosse nessun altro".

Sono le sue ultime righe. Le due schede, con l'arresto e la deportazione, segnano l'inizio della fine di Anna. Alla fine di ottobre la ragazza prende la scabbia. Poco tempo dopo cade ammalata pure la sorella Margot. Sono in molti a notare l'aspetto pessimo delle due giovani Frank, che hanno macchie e vesciche sulla pelle, dove mettevano solo un po' di pomata. La loro salute peggiora, e vengono trasferite al Kratzeblock, il blocco riservato agli scabbiosi. Sono separate dalla madre che, sola, morirà poco dopo, all'inizio di gennaio. Il 28 ottobre 1944 salgono su un vagone alla volta di Bergen-Belsen.

Nel nuovo Lager finiscono per essere ospitate in uno dei luoghi peggiori, le baracche destinate a raccogliere gli ultimi arrivi, per lo più donne giunte in uno stato di denutrizione e di spossatezza, dopo un viaggio durato giorni, stipate dentro vagoni bestiame zeppi di gente malata e dolente. In pieno inverno un'epidemia di tifo petecchiale colpisce i deportati. Senza cibo, senza medicine, deboli e affaticate, le due ragazze Frank vengono contagiate.

"Erano magrissime - ricorda ancora la sua compagna di prigionia Rachel - avevano un aspetto tremendo. Bisticciavano a causa della loro malattia. Avevano i posti peggiori della baracca, giù vicino alla porta". Anna, rammenta poi Janny, "stava davanti a me avvolta in una coperta e non aveva più lacrime. Raccontò che le bestioline nei vestiti la facevano rabbrividire e che per questo aveva gettato via tutti i suoi abiti. Radunai tutto quello che potevo per darlo a lei, affinché fosse di nuovo vestita. E da mangiare neanche noi avevamo molto. Ma ho cercato di dare qualcosa della nostra razione di pane".

I primi giorni di marzo del 1945 (la data è incerta), Janny va a controllare le ragazze. Margot è caduta dal letto sul pavimento di pietre, ormai senza vita. Anna muore il giorno dopo. La prima scheda compilata dalle SS porta infatti in fondo, accanto al segno che decreta il decesso del prigioniero, un ultimo appunto aggiunto a mano. Si legge: "Deceduta a B. B., '45", cioè a Bergen Belsen.

Un unico documento contiene dunque tutta la tragedia di Anna Frank: il momento dell'arresto in Olanda, la schedatura assieme alla famiglia, la deportazione ad Auschwitz in Polonia, la morte in Germania nel campo di sterminio di Bergen Belsen. Solo molti anni più tardi la ragazza diverrà, del milione e mezzo di bambini morti nella Seconda guerra mondiale, il simbolo di tutti gli ebrei vittime del razzismo antisemita nazista.
Il padre Otto fu l'unico dei rifugiati dell'Alloggio segreto a sopravvivere. Dedicherà il resto della sua vita alla diffusione del Diario, e alla vicenda di Anna, di cui queste carte continuano ancora oggi a ricordarne la storia.

(12 maggio 2008)

http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/esteri/anna-frank/anna-frank/anna-frank.html

Se questo è un uomo - Primo Levi


Se questo è un uomo
recensione e commento del libro

Se questo è un uomo - Primo Levi



Primo Levi, chimico torinese, aveva ventiquattro anni quando fu catturato dalla milizia fascista alla fine del 1943 e, essendo ebreo oltre che partigiano, consegnato ai nazisti che lo deportarono ad Auschwitz. In questo periodo, il governo tedesco, data la scarsità di manodopera, aveva deciso di sospendere le uccisioni arbitrarie dei singoli e di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi. E’ forse questa una tra le ragioni per le quali Primo Levi fu una delle quattro persone su quarantacinque contenute nel suo vagone che ha rivisto la sua casa.
La letteratura sui campi di sterminio nazisti, sull’inferno dei Lager, è certamente nutrita, ma questo suo libro, ricco di particolari atroci, testimonianza sconvolgente ed efficacissima, è anche un capolavoro letterario.

“Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”

“Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine << Campo di annientamento >>, e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.”


“ Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia , tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.”

E’ un libro da leggere e poi ancora rileggere per ricordare l’orrore di quanto accaduto e la disumanità non di mostri, o per lo meno non solo di mostri, ma anche di uomini comuni pronti a credere e obbedire senza discutere; per diffidare di chi vuole convincere con strumenti diversi dalla ragione; per sospettare di tutti i profeti, data la difficoltà di distinguere i veri dai falsi e infine per accontentarsi di verità meno entusiasmanti e più modeste che si conquistano con fatica, con studio, con discussione e ragionamento, senza scorciatoie e un passo alla volta, piuttosto che verità semplici e comode che non costano nulla.

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PRIMO LEVI


PRIMO LEVI



Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da Cesare e da Ester Luzzati, che si erano sposati nel 1917. I suoi antenati sono degli ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza.


Nel 1934 si iscrive al Ginnasio- Liceo D' Azeglio, istituto noto per aver ospitato docenti illustri, oppositori del fascismo (Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio e molti altri ).


Levi è uno studente timido e diligente, gli interessano la chimica e la biologia, molto meno la storia e l' italiano. In prima Liceo ha come professore d' italiano Cesare Pavese.


Nel 1937 si appassiona alla letteratura di testi scientifici e così si iscrive al corso di chimica all' università di Torino. L' anni dopo vengono proclamate le leggi razziali in Italia, egli però continua i suoi studi riuscendo a laurearsi con pieni voti e lode nel 1941.


Si trasferisce a Milano dove lavora come ricercatore chimico, frequenta amici ed ambienti antifascisti, finché decide di unirsi ad un gruppo di resistenza ebraica e nel 1943 si unisce ai partigiani sulle montagne della Valle D'Aosta. Durante una riunione clandestina, il 13 Dicembre, tra St. Vicent e la Val D' Ayas viene arrestato con altri compagni e visto che è ebreo viene mandato nel campo di concentramento di Carpi-Fòssoli.


Nel 1944 i tedeschi prendono in consegna il campo e avviano tutti i prigionieri ebrei, compresi vecchi donne e bambini, su un treno diretto ad Auschwitz.


Levi finisce nel lager Monowitz che fa parte di una fabbrica nella quale i prigionieri devono lavorare. All' inizio deve lavorare in una squadra che erige muri poi, per le sue conoscenze di chimica, viene trasferito in un laboratorio.


Riesce a non ammalarsi, ma gli viene una scarlattina proprio quando nel Gennaio 1945 i tedeschi, sotto l' avvicinarsi delle truppe russe, abbandonano il campo, trasferendo e poi massacrando i prigionieri, ma lasciando al loro destino i malati che si trovavano nell' infermeria: la scarlattina quindi gli salvò la vita.


Comincia così il lungo viaggio di rimpatrio attraverso la Russia bianca, l'Ucraina, L' Ungheria, la Romania e l'Austria descritto poi nel libro " La tregua " del 1963 nel quale Levi racconta l'odissea dei sopravvissuti ai campi di sterminio.


Arriva a Torino il 19 Ottobre del 1945. Nel 1947 sposa Lucia Morpurgo, che gli dà due figli, Lisa Lorenza e Renzo. Accetta un posto di chimico di laboratorio in una fabbrica della quale dopo pochi anni diverrà il direttore.




PRIMO LEVI

Nel 1958 esce il suo libro più famoso " Se questo è un uomo " che diventerà uno dei romanzi più letti del dopoguerra. Seguono altri libri e poesie che hanno tutti un grande successo e per i quali riceve diversi premi, viaggia per tutto il mondo e racconta la sua storia. Lotta per il rispetto della gente che ha dovuto soffrire le sue terribili esperienze.


Primo Levi, da chimico qual'era, scrisse anche "Il sistema periodico" (1975) dove lega ad ogni elemento chimico della tavola periodica una storia spesso di carattere autobiografico e "La chiave a stella" (1978) dove si racconta la vita e il lavoro di un operaio piemontese che gira il mondo per lavoro.


Con l'opera "Se non ora quando?" del 1982, Levi riprende i temi della guerra e dell’ebraismo descrivendo il viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi che vanno dalla Bielorussia all’Italia passando per la Palestina.


Nell'ultimo libro "I sommersi e i salvati" del 1986, a distanza di molti anni, Levi analizza le esperienze vissute nel Lager e le responsabilità dei vari personaggi dell'olocausto.


L' 11 Aprile 1987, in un periodo di depressione, ancora tormentato dai ricordi di Auschiwitz muore suicida nella sua casa di Torino.



http://www.windoweb.it/guida/letteratura/biografia_primo_levi.htm

Liliana Segre: Erede della memoria è colui che ascolta


Liliana Segre: Erede della memoria è colui che ascolta
Sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz nel quale è stata deportata all'età di 13 anni vive "l'impegno etico e morale" di trasmettere la sua testimonianza. Perchè "tutti i giorni sono giorni della memoria"
27 gennaio, 2009

di PAMELA FOTI


“Comprendere è impossibile. Ricordare è necessario” scriveva Primo Levi.

Ricordare la Shoah, sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, e quella del popolo rom, degli omosessuali, dei diversi. Di tutti coloro che furono mandati dal nazi-fascismo a morire nei campi di sterminio.

Ma ricordare, non va dimenticato, “è sempre fatica e dolore. E non passa mai” dice Liliana Segre, che nel campo di sterminio di Auschwitz è stata deportata quando aveva 13 anni. “Ho cominciato a dare la mia testimonianza ai giovani circa 20 anni fa, dopo 45 di silenzio. Sono uscita dal silenzio per forza. E’ stata la coscienza a dirmi di parlare. Premeva dentro. Ed è uscita. E’ stato liberatorio. Ma è stato anche difficile trovare le parole per dirlo”.

Per dire di quando lei non aveva nulla.
Per dire di quando la mattina del 30 gennaio 1944, dopo quaranta giorni nel carcere di San Vittore, venne portata al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. E portata ad Auschwitz.
Per dire di quando si è trovata “sola. In quel mondo impazzito. Dove io e le mie compagne abbiamo sempre avuto la forza anche dopo che a una compagna nel lager, è stata tolta la vita. Ma quella ragazza non aveva mai perso la forza e la voglia di vivere” ripete per due volte. Come a sottolineare che non si era arresa.

Liliana Segre oggi ha 78 anni. Son tanti i ricordi che “come ondate risalgono in superficie”. Quelli più intimi e per questo più dolorosi li tiene dentro. Ma lasciandosi andare sulla poltrona del suo salotto ricorda quando, fatto ritorno a Milano, dopo essere sopravvissuta ad Auschwitz per più di un anno (fu liberata il 30 aprile 1945), non ha più trovato una casa ad aspettarla. “Sono stati anni duri quelli – racconta - Avevo 15 anni, ma dentro ero vecchia. C’era un’incompatibilità profonda con le mie coetanee. Loro parlavano di vestiti e ragazzi. E io di cosa poteva parlare? Di niente. E per questo ero sola. Ho imparato con gli anni ad essere giovane. E poi adulta e matura. Sono guarita a 18 anni, quando ho incontrato mio marito. Siamo rimasti insieme 60 anni”. E il ricordo va a quell’uomo, mancato lo scorso anno, con il quale è tornata alla vita.

Ora non le interessa parlare di quando era solo “un corpicino scheletrico. Il mio impegno etico e morale è trasmettere forza”. Perché “ricordare è necessario” ribadisce. “E io parlo di chi mi ricordo. Dei nomi, degli odori, dei colori”.

Di Violetta ad esempio. “Una ragazza di 19 anni che aveva gli occhi di un colore indefinito proprio tra il blu e il viola”. Nel raccontare, la voce di Liliana Segre si fa calda, il tono si abbassa. “Violetta aveva una treccia nera e lunga. Come la bella ebrea che la Bibbia descrive. Mi è stata vicino quando mi hanno arrestata nella prigione di Varese. Io piangevo. Disperata. Cos’altro può fare una ragazzina di 13 anni? E’ stata lei a venirmi incontro sulla porta della cella e mi ha abbracciata. Lei e sua mamma mi hanno tenuta stretta per tutto il viaggio che sul vagone di quel treno - partito dal Binario 21 della stazione Centrale di Milano - ci ha portato ad Auschwitz. Arrivate al campo, Violetta e sua madre sono state mandate al gas”.

“Ma da mamma e nonna quale sono, non voglio usare parole di orrore”. E non lo farà nemmeno oggi, davanti ai ragazzi che la aspettano al Conservatorio di Milano. “Andrò dal parrucchiere prima dell’incontro. Perché non voglio presentarmi a loro con aria dimessa.”.

“Le mie parole sono protese a dare forza. Io sono una donna libera e una donna di pace”. Ma le parole possono essere pietre, che restano e segnano. E cambiano. “Non sono preoccupata dalla teorie negazioniste, che sono ampiamente smentite. E non provo nemmeno rabbia, quella l’ho digerita da giovane. C’è amarezza, quella sì. E dispiacere. Ho solo paura dell’omologazione tra buono e cattivo. Tra vero e falso”.

Scuote la testa Liliana Segre, e abbozza un sorriso. Rassegnato. “Il tema della Shoah da qualche anno a questa parte è di moda. Quando ho iniziato a parlare, quando i sopravvissuti hanno iniziato a parlare, eravamo in un mondo di sordi” mi dice mentre continua a ricevere telefonate da chi la vorrebbe come ospite nel Giorno della Memoria. “Ora la Shoah ha invaso le biblioteche, il grande schermo, Internet. E’ stata anche istituito un giorno per ricordare. Un atto giusto, ma che può diventare anche limitazione consumistica”.

Che ne sarà della memoria domani? Quando sul 27 gennaio si saranno spente le luci dei riflettori e quando i sopravvissuti non avranno più voce per raccontare?
“E’ come una persona che affoga. E viene sommersa dalle acque. Tutto viene nascosto. Si dimentica. E’ sommerso. Chissà, forse un giorno riemergerà… magari nella pancia di una balena”.

Subito dopo, però, il ricordo torna indietro al 2005. A quei 7.500 giovani che nel PalaDozza di Bologna l’hanno ascoltata in rigoroso silenzio per un’ora e mezza. Mi mostra la foto di quel giorno.
Ritrae un palazzetto gremito di luci e colori. A guardarlo di sfuggita parrebbe l’atto finale di un concerto. La gente in piedi, che sorride e batte le mani. La Segre ricorda quella standing ovation. “Sono 7.500, ho pensato. Spero che 5 di loro riescano a ricordare questo momento".

Perché “erede della memoria è colui che ascolta”. E ammonisce: “Tutti i giorni sono della memoria”.


Il diario di Anna Frank in diretta su SKY.it.
Il 27 gennaio alle ore 21, in occasione del Giorno della Memoria, su SKY Cinema e in streaming su SKY.it sarà trasmesso Il Diario di Anna Frank, una recente trasposizione del celebre diario della ragazza ebrea che nell’Amsterdam della Seconda Guerra Mondiale, occupata dalle truppe tedesche, cerca invano di sfuggire alla cattura e alla morte nascondendosi in una soffitta.

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2009/01/27/liliana_segre_sopravvissuta_auschwitz_intervista.html

Olocausto, Napolitano: "Vigilare sul virus dell'antisemitismo"

Berlusconi: "Leggi razziali ferita ancora aperta"
Olocausto, Napolitano: "Vigilare sul virus dell'antisemitismo"

Il messaggio di Giorgio Napolitano, e' suonato come un monito: "Non bisogna abbassare la guardia contro il riprodursi del "virus dell'antisemitismo" e di "nuove speculazioni contro gli ebrei e contro lo Stato ebraico".



Un'esortazione a non abbassare la guardia contro il riprodursi del "virus dell'antisemitismo" e di "nuove speculazioni e aggressive campagne contro gli ebrei e contro lo Stato ebraico", proprio nel momento in cui "l'operato del governo di Israele puo' risultare controverso ed essere legittimamente discusso" dopo l'offensiva militare nella Striscia di Gaza. Nelle celebrazioni al Quirinale per la Giornata della Memoria, il messaggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e' suonato come un monito.

Il Giorno della Memoria, ha osservato Napolitano, giunge a poche settimane dal conflitto di Gaza, "vissuto con angoscia dagli amici del popolo israeliano e del popolo palestinese". Ed e' proprio in questi momenti che "deve farsi piu' forte la vigilanza ed esprimersi piu' nettamente la reazione contro il riprodursi del virus dell'antisemitismo" e che deve "restare chiara e netta la distinzione tra ogni possibile posizione critica verso la linea di condotta di chi, di volta in volta, governa Israele e la negazione delle ragioni storiche dello Stato di Israele, del suo diritto all'esistenza e alla sicurezza, del suo carattere democratico". Napolitano ha ricordato anche il suo recente viaggio a Gerusalemme, dove ha riscontrato 'quel senso profondo delle radici storiche e ideali di Israele che "mi ha sempre colpito, perche' forse in nessun altro popolo e in nessun altro Stato un simile sentimento si manifesta in un rapporto cosi' naturale con il passato piu' lontano".


Le leggi razziali emanate nel '38 sono "una ferita profonda inferta non solo alla comunità ebraica, ma alla intera società italiana". Lo sottolinea il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un messaggio per la Giornata della Memoria. "In questo giorno, 64 anni or sono, furono abbattuti i cancelli di Auschwitz. Questa data e quel luogo sono il paradigma dello sterminio di un popolo che ha segnato per sempre la storia dell'umanità. Non lo dimenticheremo mai", scrive il premier.
"Per questo nutriremo il ricordo della Shoah con celebrazioni e iniziative rivolte in modo particolare ai giovani, affinché sappiano a quale punto di aberrazione può arrivare l'odio dell'uomo contro l'uomo. Non solo. Il Governo invita gli insegnanti e gli studenti a fare tesoro di questa ricorrenza in tutte le scuole, perché il 'Giorno della Memoria' insegni a tutti, una volta di più, il valore della pace e della convivenza pacifica tra i popoli".
Berlusconi si sofferma in particolare su quella che definisce "una delle pagine più buie della storia del nostro Paese: l'emanazione delle leggi antiebraiche". Nel settembre del 1938, ricorda il premier," studenti e insegnanti furono bruscamente allontanati dalle scuole e dalle università, ed il 17 novembre, con decreto legge, fu vietato agli ebrei di contrarre matrimoni misti, di possedere aziende, terreni, fabbricati, di prestare servizio nelle pubbliche amministrazioni e nelle forze armate.


Nei mesi successivi gli ebrei furono cancellati dagli albi professionali, fu loro vietato il commercio, l'accesso negli uffici pubblici, la partecipazione alla vita politica ed alla vita sociale, fu sospesa la pubblicazione di tutta la stampa ebraica, fu vietato suonare le loro musiche, rappresentare le loro opere teatrali, proiettare i loro film; anche i nomi delle strade a loro intitolate furono cambiati. Si voleva cancellare tutto quanto attestasse la loro presenza nella vita nazionale ed il loro contributo doveva sparire in ogni sua manifestazione. Fu spezzato così un profondo e secolare legame tra i cittadini italiani ebrei ed il loro Paese, l'Italia, alla cui storia avevano contribuito con il lavoro illuminato di intellettuali, scienziati, artisti, ma anche con l'apporto di cittadini comuni.


Come non ricordare ancora l'ampia partecipazione degli ebrei alle lotte risorgimentali, il loro contributo alla costruzione dell'Italia unita, alla formazione della coscienza nazionale ed alla difesa della Patria nella Grande Guerra". "Le leggi antiebraiche - afferma il premier - sono ancora avvertite come una ferita profonda, inferta non solo alla comunità ebraica, ma alla intera società italiana, che perse improvvisamente una parte importante della propria storia.

27/01/2009

http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/01/27/981990-olocausto_napolitano_vigilare_virus_dell_antisemitismo.shtml

Ebrei e Chiesa cattolica. Ai rabbini d'Italia questo papa non piace


Ebrei e Chiesa cattolica. Ai rabbini d'Italia questo papa non piace
Non gradiscono né la nuova preghiera del Venerdì Santo, né la via di dialogo aperta da Benedetto XVI nel libro "Gesù di Nazaret". E si dissociano dalla giornata per l'ebraismo indetta dai vescovi. Ma tra loro non tutti la pensano così

di Sandro Magister




ROMA, 16 gennaio 2009 – Sul versante geopolitico la guerra di Gaza ha acuito le divergenze tra la Chiesa cattolica e Israele, come www.chiesa ha mostrato nel servizio del 4 gennaio.

Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni. Intanto, però, soprattutto per l'intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele. Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei.

Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato. Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei". Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti. Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola. L'assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di "sospendere" la partecipazione degli ebrei all'evento.

Laras ha annunciato il ritiro dell'adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati. E l'ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l'invocazione affinché Dio "illumini" i cuori degli ebrei, "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.

Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta. Su "Popoli", la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI "stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa".

La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell'annuale settimana dell'unità dei cristiani – e pubblicando per l'occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell'ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell'aggettivo latino "perfidi" (che propriamente significa "increduli") applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all'epoca.

Nel documento è sottolineata l'importanza del testo vaticano pubblicato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro "Gesù di Nazaret" pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no.

In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l'ebraismo non è da tutti accettata. Gli si oppone la cosiddetta "teologia della sostituzione", sia nelle versioni "di sinistra", filopalestinesi, sia in quelle "di destra", tradizionaliste. Secondo tale teologia, l'alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto. In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell'Antico Testamento.

Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute. Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale", a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d'accordo col papa. E aggiunse che la decisione dell'assemblea dei rabbini italiani di sospendere l'adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch'essa in questa direzione: "rimuovere l'equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico". Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso.

Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così. Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso. Ritengono cioè che il papa, quando esclude "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola", non si riferisca all'ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera. E infatti – chiedono – "che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro 'Gesù di Nazaret' se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l'unica religione con cui il cristianesimo può farlo?".

A formulare quest'ultima domanda – in una nota sul quotidiano "il Foglio" dell'11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all'Università di Roma "La Sapienza" ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l'attuale pontefice. Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul "Corriere della sera" del 26 novembre, la decisione di Laras e dell'assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio. A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell'International Jewish Committee, il rabbino David Rosen.

Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul "Corriere della Sera" del 4 dicembre, il rabbino Laras, l'altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Daniele Nahum. I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI "una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione" e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam.

Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: "Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo".

La storia ha il suo peso irremovibile. Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all'islam e questa stilettata alla Chiesa suonano surreali.

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Il documento diffuso dalla conferenza episcopale italiana per la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei" del 17 gennaio 2009:

> Ebrei e cristiani 1959-2009: mezzo secolo di dialogo

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L'articolo del rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, sulla rivista missionaria dei gesuiti italiani, "Popoli":

> Giornata dell'ebraismo. Le ragioni del nostro no

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Il documento della pontificia commissione biblica del 24 maggio 2001 prodotto sotto la direzione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger:

> Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana

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Un dossier sull'ebraismo d'oggi in Italia, nel numero di gennaio del 2009 del mensile dei religiosi paolini "Jesus"

> Torah, Torah, Torah

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Tutti i servizi di www.chiesa sul tema, tra cui quelli sulla preghiera del Venerdì Santo e sul libro "Gesù di Nazaret":

> Focus su EBREI



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http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/213449

lunedì 26 gennaio 2009

27 gennaio, una Giornata per non dimenticare

Al Quirinale consegna delle medaglie agli ex deportati o agli eredi
Incontri, proiezioni, letture, iniziative e manifestazioni in tutta Italia
27 gennaio, una Giornata per non dimenticare
Viaggi della memoria ad Auschwitz e Birkenau
Un giovane palestinese sul treno da Firenze: "L'uomo da quegli orrori non ha imparato"
di RITA CELI



ROMA - Il 27 gennaio di 64 anni fa le avanguardie dell'Armata Rossa aprivano i cancelli di Auschwitz, liberando i pochi superstiti e mostrando al mondo gli orrori di un lager dove erano stati sterminati un milione e mezzo di ebrei, zingari, omosessuali, oppositori politici e prigionieri di guerra. Per non dimenticare la Shoah e le vittime innocenti uccise ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento domani, 27 gennaio, sarà celebrata la Giornata della memoria, istituita nel 2000 per ricordare - soprattutto ai giovani - i milioni di uomini, donne e bambini messi a morte dai nazisti. Numerose le iniziative, a cominciare dalla consegna al Quirinale delle medaglie agli ex deportati o agli eredi, per proseguire nel corso della giornata con concerti, proiezioni, testimonianze, conferenze, letture e manifestazioni in tutta Italia.

Quirinale, medaglie a ex deportati. Una cerimonia solenne al Quirinale apre la Giornata della memoria. Il sottosegretario Gianni Letta, a nome del governo, consegnerà medaglie d'onore ad alcuni ex deportati civili e militari che furono internati nei lager nazisti o ai loro eredi per onorare i sopravvissuti e le vittime di un dramma che coinvolse centinaia di migliaia di italiani (40mila civili e 650mila militari deportati: nove su dieci non fecero ritorno, 50mila i soldati uccisi nei campi di sterminio). Cerimonie analoghe si svolgeranno contemporaneamente in diverse città alla presenza delle autorità locali.

Convegno alla Camera. Alle 15 nella Sala della Lupa di Montecitorio si terrà il convegno "Memoria: dalle testimonianze dirette al museo della Shoah", aperto dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Interverranno: Gianni Alemanno, Piero Marrazzo, Nicola Zingaretti, Walter Veltroni, Renzo Gattegna, Leone Paserman, Goti Bauer, Marcello Pezzetti, Luca Zevi, Giorgio Maria Tamburini. Il convegno sarà anche l'occasione per presentare il progetto del Museo nazionale della Shoah, sulla via Nomentana a Roma, la cui inaugurazione è prevista per il 2011.


Il viaggio in treno da Milano. Oltre 900 giovani delle scuole superiori di Milano e della Lombardia hanno affrontato il lungo viaggio in treno dalla stazione Centrale di Milano fino a quella di Auschwitz. I ragazzi arrivati a destinazione sono rimasti in silenzio di fronte all'atrocità evocata dalla scritta "Arbeit Macht Frei" (il lavoro rende liberi) che ancora campeggia sul cancello d'ingresso del campo di sterminio nazista. Orrore amplificato davanti alle camere a gas, agli oggetti delle vittime, ai nomi e dopo la visita a Birkenau, dove i quattro forni crematori hanno funzionato a pieno ritmo fino agli ultimi giorni della guerra.


Sul treno anche gli studenti di Parma. Su uno dei due treni della memoria partiti da Milano, organizzati da Cgil, Cisl e dalla Provincia di Milano, tra gli oltre 1200 passeggeri sulla via per Auschwitz - tra cui 300 lavoratori e pensionati - anche un gruppo di studenti di Parma che hanno affidato a Parma-Repubblica.it il loro diario di viaggio corredato di foto e racconti. Un viaggio collettivo verso i campi di sterminio, dove sono previste visite, cerimonie, confronti organizzati con l'obiettivo di "formare nuovi testimoni".


Firenze, la partenza del treno della memoria


Arabi e cristiani in viaggio da Firenze. Un treno della memoria è partito anche da Firenze, organizzato dalla Regione Toscana, con a bordo 800 persone tra studenti delle scuole superiori e giovani di diversi paesi che frequentano le università toscane. Una ragazza marocchina con il chador, un palestinese che studia a Firenze per diventare artista nella sua terra, un esponente della comunità rom. "Questo viaggio è importante per conoscere dal vivo i luoghi dove l'uomo ha commesso orrori, ma sono consapevole che l'uomo da quegli orrori non ha imparato" commenta Remzt, 22 anni, palestinese della città vecchia di Gerusalemme.

Gli appuntamenti in tv. Numerose le occasioni per ricordare la Giornata della memoria sul piccolo schermo, a cominciare da RaiTre che domani alle 11 trasmette in diretta la cerimonia dal salone dei Corazzieri del Quirinale. Questa sera Retequattro alle 23.20 propone il film tv Il processo di Norimberga. Sempre su RaiTre, questa sera a mezzanotte Linea notte ospiterà Anna Foam, autrice del libro Diaspora, storia degli ebrei nel '900. Domani si comincia alle 8.05, ancora su RaiTre, con la seconda puntata de La storia siamo noi, dal titolo La soluzione finale, alla ricerca delle radici ideologiche e politiche della Shoah (mercoledì la terza parte). Sempre sulla terza rete Rai alle 13.10 va in onda Un treno per Auschwitz, il documentario di Carlo Lucarelli e Paola De Martiis dedicato al viaggio in treno di 600 studenti da Carpi al lager. La7 ricorda la Shoah alle 14 con la favola tragica Train de vie, film scritto e diretto da Radu Mihaileanu. RaiUno alle 14.10 ripropone la fiction Exodus - Il sogno di Ada, protagonista Monica Guerritore, dedicata alla storia di Ada Sereni che ha dedicato la sua vita a organizzare l'espatrio di migliaia di ebrei verso la Palestina. Nell'arco della giornata Rainews 24 propone interviste a scrittori, storici, testimoni, sopravvissuti e l'inchiesta esclusiva Bombardate Auschwitz: l'ordine che non fu dato. Sempre domani Retequattro trasmette alle 21.10 Il pianista, il film di Roman Polanski con Adrien Brody, il musicista la cui vita fu sconvolta dalla guerra e dall'invasione nazista. Sky Cinema 1, invece, ricorda lo sterminio trasmettendo in esclusiva alle 21 il film Il diario di Anna Frank, una recente trasposizione del celebre diario.


I ragazzi di Carpi partono per Auschwitz


Roma, le iniziative alla Casa della memoria. Proiezioni di film, documentari, testimonianze e interviste, conferenze, letture e presentazioni di libri organizzati alla Casa della memoria e della storia, a Roma. Domani dalle 11 alle 24 nel locale Qube, appuntamento con La memoria degli altri - Il giallo e il rosa. Shoah e Homocaust, due genetiche per uno sterminio, evento ideato da Davide Pavoncello per ricordare le discriminazioni e persecuzioni che ebrei e omosessuali subirono durante il nazismo. Al Complesso del Vittoriano alle 17 il ministro per i Beni e le attività culturali, Sandro Bondi, interverrà all'iniziativa promossa dal suo ministero che prevede lettura di brani sulla Shoah da parte di alcuni studenti delle scuole medie superiori, con l'intervento di Paola Pitagora, e la presentazione del volume Il libro della Shoah italiana di Marcello Pezzetti, coordinata da Bruno Vespa con gli interventi dell'autore, del ministro Bondi e di quello dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, del sottosegretario Carlo Giovanardi e dei rappresentanti delle comunità ebraiche italiane.

Venezia, un mese per non dimenticare. Anche quest'anno Venezia celebra la ricorrenza della Giornata della memoria scegliendo di promuovere molteplici appuntamenti distribuiti nell'arco di un mese, sostenendo occasioni di approfondimento culturale e iniziative d'arte e spettacolo sensibili ai valori di una "memoria condivisa" da non rimuovere, specie nei suoi capitoli meno conosciuti come la persecuzione nazista dei disabili, degli zingari, degli omosessuali e degli oppositori politici. Spicca la presenza di Moni Ovadia, che ha dato il via a una serie di eventi al teatro Goldoni tra cui la prima del suo ultimo lavoro teatrale Senza confini, ebrei e zingari. Tra le iniziative più toccanti la Fiaccolata delle memoria, la silenziosa marcia che partirà domani da Chirignago, in terra ferma, e sarà accompagnata dalle testimonianze di coloro che allo sterminio nazista sono sopravvissuti.

Cuneo, Bob Geldof in concerto. Incontri culturali, momenti di confronto e di riflessione a Cuneo. Nella mattinata di martedì, alle 12, in prefettura consegna delle medaglie d'onore ai deportati nei lager nazisti. Alle 16.30 dalla sinagoga di Contrada Mondovì partirà un trekking della memoria, con tappe al monumento alla Resistenza, al santuario degli Angeli e poi a Borgo San Dalmazzo dove centinaia di lumini ricordano le vittime della Shoah al Memoriale della deportazione, nei pressi della stazione ferroviaria. Alle 21 al teatro Toselli l'ottava edizione del Concerto della memoria con Bob Geldof, artista già candidato al premio Nobel per la pace e organizzatore di grandi eventi mondiali come il Live Aid e il Live 8.

Trieste ricorda dalla Risiera di San Sabba. A Trieste la giornata del 27 gennaio si apre alle 9.30 con la marcia silenziosa degli ex deportati dalle carceri del Coroneo alla Stazione centrale, dove sarà deposta una corona del Comune a ricordo della partenza dei convogli verso i campi nazisti. Alle 11 alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio sul territorio italiano, si svolgerà la cerimonia solenne mentre tre esposizioni approfondiranno le storie legate alle deportazioni nazifasciste: le opere di Mario Moretti, militare italiano deportato dal 1943 al 1945 in Polonia e Germania, una mostra sulla persecuzione degli ebrei in Italia e una sul diario di Nicolò Chiucchi, cittadino istriano deportato a Dachau.

In Toscana spettacoli e riflessioni. Un nuovo museo per la documentazione, canti sacri, spettacoli teatrali e momenti di riflessione sono le iniziative organizzate in Toscana. A Prato domani sera è in programma nella chiesa di Lammari a Capannori il concerto di Antonella Ruggiero dedicato alla musica ebraica. Massa celebrerà il giorno della memoria con una seduta solenne del Consiglio Regionale nel Palazzo Ducale. Le scuole di Chiusi (Siena) saranno invece coinvolte in incontri con un sopravvissuto di un lager, Bruno Toppi, e assisteranno anche alla proiezione del film Il bambino col pigiama a righe. A Firenze il tradizionale concerto del 27 gennaio organizzato dal Maggio Musicale fiorentino sarà dedicato quest'anno alla "notte dei cristalli". Durante il concerto, in programma al Piccolo teatro del Maggio, saranno proiettati filmati e foto d'epoca con l'obiettivo di proporre una riflessione sul tema.

Bologna, teatro e commemorazioni. Deposizioni di corone, incontri musicali, tavole rotonde, spettacoli teatrali e consigli congiunti di Comuni e Province sono in programma in tutta l'Emilia Romagna. A Bologna le celebrazioni si aprono al Museo ebraico con l'inaugurazione della mostra Carlo Levi - Il prezzo della libertà. Al quartiere San Donato, invece, andranno in scena gli spettacoli teatrali ispirati al saggio di Hannah Arendt La banalità del male replicati nei licei Copernico, Minghetti e Galvani. Martedì saranno deposte delle corone davanti alle lapide presso lo stadio Dall'Ara in memoria di Arpad Weisz, atleta ebreo morto ad Auschwitz che fu allenatore del Bologna negli anni Trenta, al monumento dei martiti in piazza Nettuno, al cippo dei caduti in Certosa, alla lapide davanti alla Sinagoga e ai monumenti ai deportati omosessuali e zingari, uccisi dai nazi-fascisti.

Genova ricorda vittime omosessuali. In occasione della Giornata della memoria il programma di iniziative del Comitato Genova Pride presenta nella sala espositiva della Regione Liguria la mostra interattiva Omocausto, organizzata dal Gruppo Giovani del comitato Arcigay L'Approdo.

Le iniziative in Puglia. Numerose le iniziative in Puglia, a cominciare dalla consegna, domani mattina in prefettura a Bari, delle medaglie d'onore ai cittadini italiani, civili e militari, deportati e internati nei lager nazisti. Il Piccinniensemble con la direzione del maestro Valfrido Ferrari, terrà un concerto a Santeramo in colle. A Foggia la Città del cinema ha curato la proiezione, domani mattina, del film Il bambino con il pigiama a righe di Mark Herman.

L'università della Calabria. "Toccare, vedere, sentire: comprendere l'altro", questo il tema scelto dall'Università della Calabria con un nutrito programma di iniziative organizzate con il Conservatorio Giacomantonio di Cosenza, con la fondazione Ferramonti che prevede una visita al Campo di concentramento di Tarsia, e con il Movimento delle donne e l'Arcigay.

(26 gennaio 2009)



http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/cronaca/giornata-memoria/giornata-memoria/giornata-memoria.html

Gaza: Sky no appello umanitario


2009-01-26 15:32
Gaza: Sky no appello umanitario
Per non inficiare l'imparzialita' del canale
(ANSA) - LONDRA, 26 GEN - Sky si e' aggiunta oggi alla Bbc nella sua decisione di non trasmettere lo spot di beneficenza pro Gaza per non inficiare l'imparzialita'.
Lo spot, promosso da 'Disasters Emergency Committee', viene trasmesso sui principali canali in chiaro del Regno Unito - I
tv, Channel 4 e Five. E chiede ai britannici donazioni a favore dei palestinesi bisognosi.
'La nostra decisione non e' un giudizio sulle buone intenzioni' dell'appello, ha detto il capo di Sky, John Ryley.


http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/mondo/news/2009-01-26_126301572.html

Le comunità ebraiche: il negazionismo è un'infamia

Gattegna sulla revoca della scomunica
Le comunità ebraiche: il negazionismo è un'infamia

La remissione della scomunica dei vescovi lefebvriani "è una questione che deve essere tenuta separata dalle opinioni storiche". Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna torna sulla polemica tra Vaticano e mondo ebraico.


«In questo momento siamo attenti osservatori delle decisioni che la Chiesa prenderà in merito a chi sostiene tesi negazioniste. Ci auguriamo che ci sia una smentita di queste tesi che chiarisca ogni dubbio a riguardo». Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, è intervenuto sulle polemiche relative alla riabilitazione di quattro vescovi lefebvriani, uno dei quali ha espresso convinzioni negazioniste sulla Shoah.
Gattegna ha precisato che la riabilitazione dei prelati «è un fatto interno alla chiesa su cui non abbiamo niente da dire». Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane ha posto l'accento «sul negazionismo», sul quale, ha sottolineato, «abbiamo molto da dire perchè lo riteniamo un'infamia». «Ci auguriamo - ha concluso - che sia solo un momento di difficoltà e aspettiamo qualche gesto positivo da parte della Chiesa».

Papa Benedetto XVI aveva revocato la scomunica ai quattro vescovi ultratradizionalisti ordinati illegittimamente da Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988: Bernard Fellay (superiore dei lefebvriani della Fraternità di San Pio X), Alfonso del Gallareta, Bernard Tissier de Mallerais e Richard Williamson. Quest'ultimo aveva affermato di non credere all'esistenza delle camere a gas naziste.




26/01/2009

http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/01/26/981550-comunita_ebraiche_negazionismo_infamia.shtml

Shoah/ Domani Giorno memoria tra polemiche su Gaza e negazionismo

Shoah/ Domani Giorno memoria tra polemiche su Gaza e negazionismo
Gattegna: Chiesa dia segnale.Bagnasco: frasi Williamson infondate

Roma, 26 gen. (Apcom) - Il Giorno della memoria, in ricordo dello sterminio del popolo ebraico, arriva tra le polemiche. Prima tra tutte quella tra il Vaticano e il mondo ebraico per la riabilitazione dalla scomunica di quattro vescovi lefebvriani. Tra questi anche Richard Williamson che ha di recente espresso tesi negazioniste sulla Shoah. E poi c'è la situazione in Medioriente. Il ministro dell'ambasciata di Israele in Italia Lironne Bar-Sadeh, chiamata a intervenire alla presentazione del master in didattica della Shoah, ha detto chiaro e tondo che l'attacco israeliano a Gaza ha visto il "riemergere di fenomeni di antisemitismo". E per celebrare la giornata in ricordo della Shoah la Fgci, l'organizzazione giovanile del Pdci, pubblica sul suo sito internet lo slogan 'Per non dimenticare. Gaza Resisti'. Un legame definito "provocatorio" accompagnato dalla condanna dell'Olocausto ma anche da una frase esplicita: "Il nostro pensiero - si legge sulla home page del sito - va oggi al popolo palestinese, ai compagni che combattono quotidianamente una battaglia di resistenza contro l'aggressione unilaterale di Israele".
Ad ogni modo domani saranno molteplici le celebrazioni del Giorno della memoria, a cominciare da quella in Quirinale, alle ore 11, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che incontrerà i rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, oltre agli studenti, gli insigniti del riconoscimento "Giusti d'Italia", gli ex deportati.

Non si è affatto spento il dibattito sui lefebvriani. Il presidente delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna ha spiegato che il mondo ebraico è rimasto "molto stupito dalla coincidenza tra la riabilitazione dalla scomunica e le dichiarazioni negazioniste della Shoah di uno di questi vescovi. Una cosa che abbiamo accolto con preoccupazione e perplessità". Tanto da chiedere che il Papa faccia chiarezza. "In questo momento - ha detto Gattegna - siamo attenti osservatori delle decisioni che la Chiesa prenderà in merito a chi sostiene tesi negazioniste. Ci auguriamo che ci sia una smentita di queste tesi che chiarisca ogni dubbio a riguardo".

Insomma Gattegna non vuole entrare nel merito della revisione della scomunica che è una decisione "interna alla Chiesa" ma sulle tesi negazioniste "che sono un'infamia abbiamo molto da dire". Un segnale sulla questione giunge dal presidente della Cei Angelo Bagnasco che definisce "infondate" e "immotivate" le dichiarazioni del vescovo canadese Richard Williamson sulla Shoah. Al tempo stesso però Bagnasco bolla come "ingiuste" le parole rivolte dagli ebrei italiani verso il Papa.

L'incontro al Colle con Napolitano sarà preceduto dalla cerimonia di consegna della medaglia d'oro ai deportati ed internati nei lager nazisti da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Nel pomeriggio, alle 15, a Montecitorio si terrà il convegno-evento con il presidente della Camera Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Piero Marrazzo, Nicola Zingaretti, Walter Veltroni, Renzo Gattegna, Leone Paserman. Nell'occasione sarà presentato il progetto del Museo nazionale della Shoah, la cui inaugurazione è prevista per il 2011. Ma le celebrazioni della Giornata della memoria non si fermeranno a domani e abbracceranno tutta la settimana.



http://notizie.alice.it/notizie/politica/2009/01_gennaio/26/shoah_domani_giorno_memoria_tra_polemiche_su_gaza_e_negazionismo,17723600.html

domenica 25 gennaio 2009

Vescovo negazionista, l'ira di Israele

25/1/2009 (20:6) - IL PERDONO AI LEFEBVRIANI
Vescovo negazionista, l'ira di Israele

Continuano le polemiche da parte del mondo ebraico sulla decisione di Benedetto XVI di perdonare i quattro vescovi ultra-conservatori lefebvriani
CITTÀ DEL VATICANO
Continuano le polemiche da parte del mondo ebraico sulla decisione di Benedetto XVI di perdonare e riammettere nella Chiesa cattolica i quattro vescovi ultra-conservatori lefebvriani, tra cui un presule britannico, Richard Williamson, che nega la Shoah. Oggi il Museo dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme (dove è esposta la targa sul «silenzio» di Pio XII) ha diffuso un comunicato di dura critica al Vaticano. Ma fonti del ministero degli Esteri israeliano hanno assicurato che la visita di Benedetto XVI, prevista per il prossimo maggio, continua ad essere «in cantiere» e non è messa in pericolo da queste nuove controversie.

Dal Vaticano oggi nessun ulteriore commento sulla vicenda: valgono - si fa notare - le parole dette ieri da padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, che aveva condannato le tesi revisionistiche del vescovo britannico ma aveva anche sottolineato come la revoca della scomunica fosse un gesto assolutamente a sè stante e distinto dagli atteggiamenti personali dei singoli. Williamson «è una questione interna» della Chiesa cattolica, ha ammesso lo Yad Vashem: ciò non toglie però che sia «scandaloso» per un vescovo cattolico negare l’Olocausto. «La negazione dell’Olocausto - si legge nel comunicato diffuso a Gerusalemme - non solo rappresenta un insulto per i superstiti, per la memoria delle vittime e per i Giusti fra le Nazioni che rischiarono le loro vite per salvare ebrei, ma è anche un attacco brutale alla Verità ».

«Anche se la revoca della scomunica è indipendente dai commenti di Williamson sull’Olocausto - dice ancora Yad Vashem - che tipo di messaggio essa lancia circa l’attitudine della Chiesa verso l’Olocausto?». Oggi il Papa non ha fatto alcun accenno esplicito alla sua decisione di revocare la scomunica agli scismatici lefebvriani. Tuttavia, celebrando in serata i Vespri di chiusura della settimana del dialogo per l’unità inter-cristiana, ha sottolineato che servono «gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani». Al rito, celebrato nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma, hanno assistito, come è tradizione, rappresentati anglicani, luterani e del patriarcato ortodosso di Costantinopoli. Le diversità tra i cristiani - ha spiegato il Pontefice - sono «legittime» ed anzi possono trasformarsi da ostacolo a «ricchezza nella molteplicità delle espressioni di una fede».

Il Papa ha anche ricordato che 50 anni fa, il 25 gennaio del 1959, esattamente nella Basilica paolina, Giovanni XXIII manifestava per la prima volta la sua intenzione di convocare un «Concilio ecumenico per la Chiesa universale». Una «provvida decisione», ha commentato Ratzinger. «Il concilio Vaticano II - ha osservato - ci ha prospettato che ’il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristò, una e unica, supera le forze e le doti umane "comuni"». Infine un accenno alla Terra Santa, dove l’unità dei cristiani è particolarmente «importante».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200901articoli/40380girata.asp

Gaza/ Leader Fronte popolare: Negoziati al Cairo molto... - 2

Gaza/ Leader Fronte popolare: Negoziati al Cairo molto... - 2
"Per ricostruzione serve comitato nazionale di gestione fondi"
Gaza, 25 gen. (Apcom) - Fra gli scogli più duri da superare, quello del valico di Rafah: "Otto mesi fa - prosegue il leader del Fronte popolare - abbiamo proposto un piano di gestione, che prevede per Abu Mazen il ruolo di presidente ufficiale mentre per Hamas quello de facto sul campo. E di utilizzare le risorse derivanti dalla frontiera di Rafah per servizi sanitari e sociali per i cittadini, non per Abu Mazen né per Haniyeh".

Al tavolo dei negoziati, il Fplp cercherà "di aggiungere la ricostruzione di Gaza. Il nostro pensiero principale è quello di neutralizzare le differenze fra Fatah e Hamas a favore della ricostruzione di Gaza, creando un comitato nazionale che gestisca i fondi e li convogli alle persone colpite". Rispetto alla gestione pratica del valico, Almajdalawi sottolinea: "Per noi sono solo dettagli minori, i rapporti ufficiali all'esterno spettano al presidente Abu Mazen, la gestione interna sul campo può includere anche Hamas - e aggiunge - Non è una questione di principio ma di accettazione, accettiamo che sul territorio Hamas affianchi la guardia dell'Autorità nazionale palestinese. Ma per noi Abu Mazen rappresenta il punto di unione fra il governo di Salam Fayyad e quello di Ismail Haniyeh. Al di là delle differenze politiche con Abbas, il nostro obbiettivo è mantenere l'unità nazionale". Per il Fplp, "Fino alle prossime elezioni, Abu Mazen è ancora presidente, più politicamente che legalmente".

Almajdalawi non mette in discussione il ruolo del Cairo, contrastata sede dei negoziati: "Per noi l'Egitto è il posto giusto, il paese arabo più grande, coinvolto nei problemi palestinesi e sede della Lega Araba, indipendentemente dalla sua posizione politica. Di questi tempi, c'è una strategia finalizzata a spostare le decisioni arabe dal centro naturale, l'Egitto, verso la periferia - commenta Almajdalawi - è una strategia voluta dall'America".

Almajdalawi sa che la liberazione del soldato Gilad Shalit sarà oggetto di contrattazione e commenta: "Gli israeliani dicono che la liberazione è vicina, ma non è un paradosso che tutto il mondo si preoccupi di Gilad mentre ci sono 11.500 prigionieri in Israele? Come essere umano, non come palestinese, questo mi offende".

Forse il tavolo di riconciliazione fra Fatah e Hamas sarà teatro di maggiori tensioni: "Non è impossibile, ma davvero difficile. Noi e Hamas concordiamo riguardo ad alcune questioni politiche: l'interruzione dei sotto-negoziati fra Abbas e Israele; la lotta alla corruzione dell'Autorità nazionale; la sospensione della collaborazione in fatto di sicurezza. Ma non pensiamo che uno stato retto da Hamas sia migliore. Hanno una gestione della società sbagliata. Sono una forza non democratica, che fa regredire la società, non accettano critiche". E conferma: "Tutto quello che si dice sulle gambizzazioni da parte di Hamas (nei confronti dei nemici politici, nella Striscia negli ultimi giorni, ndr) è vero, la violenza qui rispetto alla Cisgiordania è più forte". E conclude: "Alle elezioni, la gente cercava il cambiamento e ha creduto che Hamas fosse il vero cambiamento. Ma ora penso che una parte di quelli che hanno votato Hamas abbia cambiato idea, a Gaza più che in Cisgiordania".

http://notizie.alice.it/notizie/esteri/2009/01_gennaio/25/gaza_leader_fronte_popolare_negoziati_al_cairo_molto_-_2,17710274.html

27 Gennaio 1945: Liberazione del campo di sterminio di Auschwitz
27 Gennaio 2009: Giornata della Memoria
PER NON DIMENTICARE


Giornata della Memoria (San Lazzaro, dal 16 gennaio al 5 febbraio 2009)
Dal 16 gennaio al 5 febbraio, il Comune di San Lazzaro di Savena celebra il Giorno della Memoria, che ricorre il 27 gennaio, istituito per ricordare la Shoa, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Venerdì 16 gennaio, alle ore 18 nella Mediateca (via Caselle, 22) sarà proiettato il film di Liev Schreiber "Ogni cosa è illuminata".

La rassegna cinematografica proseguirà, sempre alle ore 18, venerdì 23 gennaio con "La rosa bianca - Sophie Scholl" di Marc Rothemund e venerdì 30 gennaio con "Jona che visse nella balena" di Roberto Faenza.

Sabato 17 gennaio l'appuntamento è per i più piccoli. Alle ore 17.30 la Mediateca ospiterà "Mi chiamo Adolf" di Pef, lettura animata per bambini da 7 a 11 anni a cura della Compagnia Teatro dell'Argine.

Le altre letture animate si terranno sabato 24 gennaio, sempre alle ore 17.30, con "Storia di Erika" di Ruth Vander Zee e "Rosabianca" di Roberto Innocenti" e sabato 31 gennaio con "La portinaia Apollonia" di Lia Levi.

Mercoledì 21 gennaio, alle ore 21 nella Sala Eventi della Mediateca, Lee Colbert, cantante della TheaterOrchestra di Moni Ovadia, e Lorena Portalupi saranno le protagoniste di "Breve viaggio nella musica ebraica", concerto per la giornata della memoria.

Mercoledì 28 gennaio, alle ore 21, il Museo Memoriale della Libertà (Bologna - via Giuseppe Dozza, 24) ospiterà il "Concerto per la memoria" a cura dell'Associazione "I Fiori Musicali". La soprano Giulia Peri, accompagnata al pianoforte dal Maestro Gregorio Nardi, renderà omaggio ai musicisti del Novecento perseguitati e in molti casi uccisi per la loro origine ebraica.

Il Museo, inoltre, sarà aperto martedì 27 gennaio, giorno della Memoria, dalle ore 10 alle 17.30 con ingresso gratuito per i cittadini di San Lazzaro.

Le iniziative per il Giorno della Memoria si concluderanno giovedì 5 febbraio all'ITC Teatro (ore 21) con "Marzabotto", spettacolo diretto e interpretato da Matteo Belli.
Scritto insieme allo scrittore Carlo Lucarelli, "Marzabotto" rilegge una delle più terribili stragi della seconda guerra mondiale e dell'intero Novecento alla luce del destino storico che l'evento ha subito dopo la fine del conflitto.

Le iniziative sono ad ingresso libero, ad eccezione dello spettacolo "Marzabotto" (ingresso 8 euro, studenti superiori 1 euro).
Sito web del Comune di San Lazzaro: http://www.comune.sanlazzaro.bologna.it/notizie/pagina938.html

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=420&Itemid=1

Il Grinzane a Kertész voce scomoda della Shoah

25/1/2009 (8:23) - L'EVENTO
Il Grinzane a Kertész
voce scomoda della Shoah
Imre Kertész, proclamato vincitore, ieri pomeriggio a Palazzo Reale, del «Premio per lettura», nell’ambito del 28° Grinzane Cavour
ALBERTO PAPUZZI

TORINO
Andiamo a salutarlo, e Imre Kertész, proclamato vincitore, ieri pomeriggio a Palazzo Reale, del «Premio per lettura», nell’ambito del 28° Grinzane Cavour, si sforza di mettere insieme qualche parola in italiano: «L’ho studiato - ci dice - quarant’anni fa, perché l’unico giornale libero che si poteva leggere a Budapest era Paese Sera». Ebreo ungherese, vittima dei totalitarismi sia nei lager nazisti sia nei gulag staliniani, Nobel 2002, autore di sedici libri, la metà tradotti in italiano, mostra nel volto segnato dal tempo un’aria mite, accentuata da un disagio alla gamba destra che lo fa camminare inclinato e claudicante. Forse è un caso o forse è un segnale che mentre Israele è messa sotto accusa torni protagonista questo scrittore considerato un testimone scomodo dello sterminio. Nel suo primo romanzo, Essere senza destino, racconta la storia, in parte autobiografica, di un quindicenne deportato a Auschwitz e Buchenwald, mostrando nel lager un mondo dove anche l’arbitrio trova giustificazione ed è persino possibile una felicità esistenziale.

Il libro venne rifiutato dagli editori, quindi ignorato, con l’autore messo al bando fino al crollo del Muro. Ieri ci ha detto: «Il valore principale, nei lager e nei gulag, era sopravvivere. Ma per sopravvivere bisognava collaborare. Perciò i superstiti hanno dovuto dimenticare se stessi». L’impotenza di esprimere tutto ciò che, di fronte alle tragedie della vita e della storia, si vorrebbe esprimere, è stato il filo rosso che ha collegato la poetica di Kertész e la drammatica esperienza di Ingrid Betancourt, la donna ostaggio per sei anni dei guerriglieri colombiani, insignita di un premio speciale alla tolleranza. Diventata simbolo della lotta per la libertà, è arrivata a Palazzo Reale assediata da cameramen e fotografi. Vestita di una giacca di velluto blu, gli splenddi occhi mai fermi, si è intrattenuta amichevolmente con Mercedes Bresso e Sergio Chiamparino, e ricevuto il premio si è concessa un lungo e suggestivo intervento. Ha parlato della letteratura come filtro per lottare per una causa, citando l’influenza esercitata su di lei dallo scrittore uruguayano Eduardo Galeano.

Ha detto che ci sono diversi modi di vivere il dolore, una parte dei quali esige un certo grado di silenzio: «Io - ha detto - ho bisogno di silenzio». Ha confessato lo sgomento per quel mondo giovanile, compresi i suoi carcerieri, che non riesce a capire: «Perché giustificano con travestimenti ideologici e con acrobazie intellettuali esiti barbari dei comportamenti umani». Ha additato la libertà come grande irrinunciabile valore: «Senza libertà - ha detto - non c’è dignità». Quindi ha aggiunto, quasi in un mormorio con se stessa: «E senza dignità la vita non vale la pena». L’intervento si è concluso con l’annuncio di un accordo fra la Fondazione Betancourt e la Fondazione Grinzane per un progetto giovani. Mentre la Fondazione Crt, sponsor dei premi per la tolleranza e per la lettura, ha promesso di sostenerli anche in futuro. Un riconoscimento per la traduzione è andato all’anglista Alessandro Serpieri. Quanto a Kertész, arriva un nuovo libro, Dottor K.,in cui lo scrittore intervista se stesso. Già uscito in Germania, è stato definito su Die Zeit «profondamente commovente».
http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cultura/200901articoli/9318girata.asp

Gaza è un campo di prigionia pensato e voluto dai Paesi arabi (13 gennaio 2009)


Gaza è un campo di prigionia pensato e voluto dai Paesi arabi (13 gennaio 2009)
Articolo pubblicato sul Jerusalem Post e scritto da Nonie Darwish, una mussulmana palestinese

60 anni fa, 22 Paesi arabi si accordarono per creare un campo di prigionia chiamato Striscia di Gaza. Ancora oggi, gli arabi proclamano la loro devozione verso il popolo palestinese ma sembrano più interessati a sacrificarlo.
"Le condizioni di Gaza dopo 40 anni" è uno dei titoli apparsi sulla BBC la settimana scorsa. Parlando della Striscia, una settimana passa raramente senza una lamentela politica o organizzativa sulla situazione umanitaria. Ma non sento nessuno che ne descriva la causa d'origine: 60 anni di politica araba hanno contribuito a mantenere i palestinesi in una condizione di rifugiati senza patria allo scopo di fare pressioni su Israele.
Ho vissuto a Gaza da bambina negli anni Cinquanta quando l'Egitto conduceva delle operazioni di guerriglia contro Israele partendo proprio dalla Striscia che allora era sotto il controllo del Cairo. Mio padre ha comandato alcune di queste operazioni, compiute dai fedayeen (che significa "auto-sacrificio"). Era la linea del fronte del Jihad arabo contro Israele. Mio padre fu ucciso da Israele in un assassinio mirato nel 1956.
Oggi la Striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas, è diventata un campo di prigionia per un milione e mezzo di palestinesi e continua a servire come piattaforma di lancio per gli attacchi contro gli israeliani. Questa è l'eredità della politica del mondo arabo per i rifugiati palestinesi iniziata 60 anni fa, quando la Lega Araba realizzò delle leggi speciali per i palestinesi a cui tutti i paesi arabi dovettero attenersi.
Anche se un palestinese sposasse un cittadino di un paese arabo, quel palestinese non potrebbe acquisire la cittadinanza del suo o della sua consorte. Un palestinese può nascere, vivere e morire in uno stato arabo e non ottenere mai la cittadinanza. Anche ora ricevo e-mail da palestinesi che mi raccontano di non riuscire ad avere un passaporto siriano, per esempio, e devono rimanere palestinesi anche se non hanno mai messo piede nella West Bank o a Gaza. La loro identità forzata è stata pensata apposta per eternare lo status di rifugiato. I palestinesi sono stati manovrati e sfruttati dalle nazioni arabe, e dai terroristi palestinesi, con l'obiettivo di distruggere Israele.
Quei 22 stati arabi certamente non hanno scarsità di terra. Molte zone nelle vicinanze, come il Sinai, la Giordania, l'Arabia Saudita, hanno un basso tasso di densità di popolazione. Ma assorbendo i palestinesi cesserebbe il loro status di rifugiati e il desiderio di nuocere a Israele. La ricchezza degli arabi, che sta incrementando drasticamente per via del prezzo del greggio che sale alle stelle, non è mai stata usata per migliorare la vita, le infrastrutture, e l'economia della popolazione della West Bank e di Gaza. Invece è servita a finanziare i gruppi terroristici che rifiutano l'esistenza di Israele e si oppongono alla pace.
La gente comune di Gaza ha migliori opportunità di impiego se si unisce ad Hamas. La breccia aperta a gennaio nel posto di controllo tra Egitto e Gaza, orchestrata da Hamas, è il risultato di queste politiche per i rifugiati palestinesi. Il checkpoint sul fronte arabo di Gaza non poteva contenere dei reclusi. Il piano arabo per sovrappopolare Gaza, dunque, è esploso nella direzione sbagliata. Dopo questa esplosione, Suleiman Awwad, uno dei portavoce dell'amministrazione egiziana, ha detto: "l'Egitto è uno stato rispettabile, i suoi confini non possono essere danneggiati e non possiamo tollerare che vengano scagliate delle pietre contro i nostri soldati". In altre parole l'Egitto non è come Israele, uno stato a cui si può mancare di rispetto. Gli abitanti di Gaza non devono indirizzare la violenza contro l'Egitto ma solo verso Israele. Questo è il giudizio comune nel mondo arabo.
Il mese scorso Hamas ha minacciato di condurre 40.000 palestinesi, principalmente donne e bambini, al confine tra Gaza ed Israele per protestare contro le restrizioni imposte dallo stato ebraico alla Striscia. Alcuni leader di Hamas hanno fatto balenare l'ipotesi che avrebbero spinto i manifestanti verso i valichi, dimostrando ancora una volta che i terroristi palestinesi non hanno alcuno scrupolo nel mettere in pericolo le vite di persone innocenti – israeliane o palestinesi. Fortunatamente solo 5.000 persone si sono fatte vive.
Ma Hamas ha avuto successo nell'uccisione di un israeliano due giorno dopo: un uomo di 47 anni, padre di quattro figli, è morto durante un attacco di razzi provenienti da Gaza mentre stava guidando la sua auto, in prossimità del Sapir College, vicino a Sderot. Due settimane prima, due fratelli israeliani, Osher e Rami Twito, di 8 e 19 anni, sono stati seriamente feriti da un razzo mentre compravano il regalo di compleanno al padre. La gamba sinistra di Osher deve essere amputata.
Israele si è ritirato da Gaza nell'agosto del 2005. Tra maggio e giugno del 2007, Hamas ha ingaggiato una guerra contro i suoi fratelli palestinesi di Fatah per ottenere il controllo della Striscia. Il movimento islamico ha intensificato gli attacchi missilistici contro le città israeliane, obbligando Israele a prendere misure economiche e militari contro Gaza. Hamas è diventato un pericolo non solo per Israele, ma anche per i palestinesi e i paesi arabi vicini. Tuttavia, il mondo arabo ancora si rifiuta di riconoscere quali sono le sue responsabilità nella creazione di questo mostro. E' difficile trovare situazioni del genere nella Storia umana: la creazione internazionale dello status di rifugiato per un milione e mezzo di persone che dura da 60 anni. Come dire, il mondo arabo si è dato la zappa sui piedi.
Il mondo ha bisogno di capire che questa pericolosa confusione è iniziata quando i 22 paesi arabi si accordarono per creare un campo di prigionia chiamato Striscia di Gaza. Gli arabi proclamano il loro amore verso il popolo palestinese ma sembrano più interessati a sacrificarlo. E' tempo per il mondo arabo di aprire i suoi confini e integrare gli arabi della West Bank e di Gaza che desiderano vivere altrove. E' tempo per il mondo arabo di aiutare sinceramente i palestinesi, non di usarli in modo strumentale.

Nonie Darwish è cresciuta tra il Cairo e Gaza City. Ha pubblicato "Now They Call Me Infidel: Why I Renounced Jihad for America, Israel, and the War on Terror".
Traduzione di Kawkab Tawfik http://www.loccidentale.it/tag/campo+di+prigionia.
Tratto da "The Jerusalem Post"

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=425