sabato 30 maggio 2009

ASCENSIONE E PENTECOSTE



STUDIO BIBLICO

ASCENSIONE E PENTECOSTE



ATTI DEGLI APOSTOLI: 1, 1-2, 47




1 Gesù promette lo Spirito Santo


1Caro Teòfilo,
nel mio primo libro ho raccontato tutto quello che Gesù ha fatto e insegnato cominciando dagli inizi della sua attività, 2fino a quando fu portato in cielo. Prima di salire in cielo egli, per mezzo dello Spirito Santo aveva dato istruzioni a coloro che aveva scelto come apostoli. 3Dopo la sua morte Gesù si presentò loro, e in diverse maniere si mostrò vivo. Per quaranta giorni apparve ad essi più volte, parlando del regno di Dio. 4Un giorno, mentre erano a tavola, fece questa raccomandazione: "Non allontanatevi da Gerusalemme, ma aspettate il dono che il Padre ha promesso e del quale io vi ho parlato. 5Giovanni infatti ha battezzato con acqua; voi, invece, fra pochi giorni sarete battezzati con lo Spirito Santo".

Gesù sale al cielo
6Allora quelli che si trovavano con Gesù gli domandarono:
- Signore, è questo il momento nel quale tu devi ristabilire il regno per Israele?
7Gesù rispose:
- Non spetta a voi sapere quando esattamente ciò accadrà: solo il Padre può deciderlo. 8Ma riceverete la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere su di voi. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e in tutto il mondo.
9Detto questo Gesù incominciò a salire in alto, mentre gli apostoli stavano a guardare. Poi venne una nube, ed essi non lo videro più. 10Mentre avevano ancora gli occhi fissi verso il cielo, dove Gesù era salito, due uomini, vestiti di bianco, si avvicinarono loro 11e dissero: "Uomini di Galilea, perché ve ne state lì a guardare il cielo? Questo Gesù che vi ha lasciato per salire in cielo, ritornerà come lo avete visto partire".

Mattia prende il posto di Giuda
12Allora gli apostoli lasciarono il monte degli Ulivi e ritornarono a Gerusalemme. Questo monte è vicino alla città: a qualche minuto di strada a piedi. 13Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone che era stato del partito degli zeloti, e Giuda figlio di Giacomo. 14Erano tutti concordi, e si riunivano regolarmente per la preghiera con le donne, con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui.
15In quei giorni, le persone radunate erano circa centoventi. Pietro si alzò in mezzo a tutti e disse: 16"Fratelli, era necessario che si realizzasse quello che lo Spirito Santo aveva detto nella Bibbia. Per mezzo di Davide egli aveva parlato di Giuda, che divenne la guida di coloro che arrestarono Gesù. 17Giuda era uno di noi, e come noi era stato scelto per questa missione.
18"Con i soldi ricavati dal suo delitto, Giuda comprò un campo e là morì precipitando a capofitto: il suo corpo si è squarciato e le sue viscere si sono sparse. 19Il fatto è noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme a tal punto che quel campo, nella loro lingua, essi lo chiamano Akeldamà, cioè campo del sangue.
20"Ricordate ciò che sta scritto nel libro dei Salmi:
La sua casa diventi un deserto
e nessuno più vi abiti.
Sta scritto pure:
il suo incarico lo prenda un altro.
21- 22"È necessario dunque che un altro si unisca a noi per farsi testimone della risurrezione del Signore Gesù. Deve essere uno di quelli che ci hanno accompagnato mentre il Signore Gesù è vissuto con noi, da quando Giovanni predicava e battezzava fino a quando Gesù è stato portato in cielo, mentre era con noi".
23Vennero allora presentati due uomini: un certo Giuseppe, detto Barsabba o anche Giusto, e un certo Mattia. 24Poi pregarono così: "O Signore, tu che conosci il cuore di tutti, facci sapere quale di questi due tu hai scelto. 25Giuda ci ha lasciati ed è andato al suo destino. Chi di questi due dovrà prendere il suo posto e continuare la missione di apostolo?".
26Tirarono a sorte, e la scelta cadde su Mattia, che fu aggiunto al gruppo degli undici apostoli.


2 Lo Spirito Santo scende sugli apostoli

1Quando venne il giorno della Pentecoste, i credenti erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo. 2All'improvviso si sentì un rumore dal cielo, come quando tira un forte vento, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3Allora videro qualcosa di simile a lingue di fuoco che si separavano e si posavano sopra ciascuno di loro. 4Tutti furono riempiti di Spirito Santo e si misero a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo concedeva loro di esprimersi.
5A Gerusalemme c'erano Ebrei, uomini molto religiosi, venuti da tutte le parti del mondo. 6Appena si sentì quel rumore, si radunò una gran folla e non sapevano che cosa pensare. Ciascuno infatti li sentiva parlare nella propria lingua. 7Erano pieni di meraviglia e di stupore e dicevano: "Questi uomini che parlano non sono tutti Galilei? 8Come mai allora ciascuno di noi li sente parlare nella sua lingua nativa? 9Noi apparteniamo a popoli diversi: Parti, Medi e Elamiti. Alcuni di noi vengono dalla Mesopotamia, dalla Giudea e dalla Cappadòcia, dal Ponto e dall'Asia, 10dalla Frigia e dalla Panfilia, dall'Egitto e dalla Cirenaica, da Creta e dall'Arabia. C'è gente che viene perfino da Roma: 11alcuni sono nati ebrei, altri invece si sono convertiti alla religione ebraica. Eppure tutti li sentiamo annunziare, ciascuno nella sua lingua, le grandi cose che Dio ha fatto".
12Se ne stavano lì pieni di meraviglia e non sapevano che cosa pensare. Dicevano gli uni agli altri: "Che significato avrà tutto questo?". 13Altri invece ridevano e dicevano: "Sono completamente ubriachi".

Pietro annunzia la risurrezione di Gesù
14Allora Pietro si alzò insieme con gli altri undici apostoli. A voce alta parlò così: "Uomini di Giudea e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme: ascoltate attentamente le mie parole e saprete che cosa sta accadendo. 15Questi uomini non sono affatto ubriachi, come voi pensate, - tra l'altro è presto: sono solo le nove del mattino. - 16Si realizza invece quello che Dio aveva annunziato per mezzo del profeta Gioele.
17 Ecco - dice Dio - ciò che accadrà negli ultimi giorni:
manderò il mio Spirito su tutti gli uomini:
i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti,
i vostri giovani avranno visioni,
i vostri anziani avranno sogni.
18Su tutti quelli che mi servono, uomini e donne,
in quei giorni io manderò il mio Spirito
ed essi parleranno come profeti.
19Farò cose straordinarie lassù in cielo
e prodigi quaggiù sulla terra:
sangue, fuoco e nuvole di fumo.
20Il sole si oscurerà
e la luna diventerà rossa come il sangue.
prima che venga il giorno grande e
glorioso del Signore.
21Allora, chiunque invocherà il nome del
Signore sarà salvo.
22"Uomini d'Israele, ascoltate ciò che sto per dire. Gesù di Nàzaret era un uomo accreditato da Dio per voi con miracoli, con prodigi e con segni. È stato Dio stesso a compierli per mezzo di lui fra voi. E voi lo sapete bene! 23Quest'uomo, secondo le decisioni e il piano prestabilito da Dio, è stato messo nelle vostre mani e voi, con la complicità di uomini malvagi, lo avete ucciso inchiodandolo a una croce. 24Ma Dio l'ha fatto risorgere, liberandolo dal potere della morte. Era impossibile infatti che Gesù rimanesse schiavo della morte. 25Un salmo di Davide infatti dice di lui:
Vedevo continuamente il Signore davanti a me:
egli mi sostiene perché io non abbia a cadere.
26Per questo io sono pieno di gioia e canto la mia felicità.
Pur essendo mortale, vivrò nella speranza,
27perché tu non mi abbandonerai nel mondo dei morti
e non permetterai che il tuo santo vada in corruzione.
28Tu mi hai mostrato i sentieri che portano alla vita
e con la tua presenza mi riempirai di gioia.
29"Fratelli, devo parlarvi molto chiaramente riguardo al nostro patriarca Davide. Egli è morto e fu sepolto, e la sua tomba si trova ancor oggi in mezzo a noi. 30Egli però era profeta, e sapeva bene quel che Dio gli aveva promesso con giuramento: "metterò sul tuo trono uno del tuo sangue".
31"Davide dunque vide in anticipo ciò che doveva accadere, e queste sue parole si riferiscono alla risurrezione del Messia:
Egli non è stato abbandonato nel mondo dei morti
e il suo corpo non è andato in corruzione.
32"Questo Gesù, Dio lo ha fatto risorgere, e noi tutti ne siamo testimoni. 33Egli è stato innalzato accanto a Dio e ha ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che era stato promesso. Ora egli lo dona a noi come anche voi potete vedere e udire. 34Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli dice:
Il Signore ha detto al mio Signore:
siedi accanto a me
35finché io porrò i tuoi nemici
come sgabello dei tuoi piedi.
36"Tutto il popolo d'Israele deve dunque saperlo con certezza: questo Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha fatto Signore e Messia".
37All'udire queste parole, i presenti si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli:
- Fratelli, che cosa dobbiamo fare?
38Pietro rispose:
- Cambiate vita e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo. Riceverete il perdono dei vostri peccati e il dono dello Spirito Santo. 39Infatti, ciò che Dio ha promesso vale per voi, per i vostri figli e per quelli che sono lontani: tutti quelli che il Signore, Dio nostro, chiamerà.
40Inoltre, Pietro disse molte altre cose per convincerli e per esortarli. Tra l'altro diceva: "Mettetevi in salvo dal castigo che sta per venire sopra questa generazione perversa!".
41Alcuni ascoltarono le parole di Pietro e furono battezzati. Così, in quel giorno, circa tremila persone furono aggiunte al gruppo dei credenti.

La vita della comunità
42Essi ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme.
43Dio faceva molti miracoli e prodigi per mezzo degli apostoli: per questo ognuno era preso da timore. 44Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. 45Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno. 46Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il Tempio. Spezzavano il pane nelle loro case e mangiavano con gioia e semplicità di cuore. 47Lodavano Dio ed erano ben visti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che egli salvava.


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giovedì 28 maggio 2009

Festività di Shavuoth 5769 (29-30 maggio 2009)


Festività di Shavuoth 5769 (29-30 maggio 2009)
Orario ufficiature e letture Torah 5769 (2009) (services time and Torah readings)

“Celebrerai la festa dell’Eterno, del tuo Dio, mediante offerte volontarie che presenterai nella misura delle benedizioni che avrai ricevuto dall’Eterno tuo Dio” (Dt 16, 19).

La festa di Shavuoth cade quest’anno i 29 e 30 maggio 2009.
E’ celebrata 50 giorni dopo Pesach e costituisce una delle tre feste di pellegrinaggio (con Sukkoth e Pesach).
E’ la festa delle offerte per eccellenza, chiamata anche Yom ha-bikkurim, “giorno delle primizie”, perché era il giorno in cui, da tutto il paese, ci si recava al Tempio di Gerusalemme per offrire al Santuario le primizie dei campi.
Durante tutte e tre feste di pellegrinaggio la popolazione maschile di Israele – ma per Sukkoth il pellegrinaggio a volte era previsto anche per le donne e i bambini (Es 2) – partiva da ogni paese, da ogni villaggio, per portare al Tempio di Gerusalemme la propria offerta, a testimonianza della propria presenza e della propria fedeltà all’ordine divino.
Alle origini della festa
Di seguito alla distruzione del secondo tempio (70 dopo l’era cristiana), la festività si ricentra sulla commemorazione dell’Alleanza al Sinai, al dono della Torah e dei Dieci Comandamenti.
Dopo l’uscita dell’Egitto i figli d’Israele si diressero verso il paese di Canaan, e sette settimane dopo giunsero dinanzi al monte Sinai dove ricevettero l’ordine di lavare i propri abiti. Il terzo giorno, fra lampi e tuoni, il Signore parlò al popolo che però, dinanzi allo svolgimento della natura e della potenza della voce di Dio, fu preso da grande spavento.
Mosè ricevette allora da Dio l’ordine di recarsi da solo sulla cima del monte, dove rimase quaranta giorni e quaranta notti per ricevere le due tavole della Legge, o più esattamente, come dice il testo ebraico, “le due Tavole dell’Alleanza”, il Decalogo.
L’espressione comunemente usata, Dieci Comandamenti, è imprecisa in quanto il termine che si trova nella Torah, “assereth ha-dibberoth”, le “dieci parole”, assegna a quest’ultime il valore, piuttosto, di messaggi.
Ma il popolo, vedendo che Mosè dopo quaranta giorni non era ancora tornato, temette di essere stato abbandonato e con, l’oro ricevuto in dono dagli egiziani, si costruì un vitello d’oro a imitazione del Bue Api adorato da quest’ultimi.
Mosè, scese dal Sinai, vedendo il popolo abbandonarsi all’adorazione di un idolo, spezzò le Tavole dell’Alleanza considerandolo indegno di riceverle.
Ma dopo che i trasgressori furono puniti e che il popolo si fu pentito del peccato commesso, Dio, alle preghiere di Mosè, annunciò il suo perdono con l’espressione “Salachtì”: ho perdonato. E Mosè, salito ancora una volta sul monte Sinai, ricevette nuovamente le Tavole dell’Alleanza. (1)


La liturgia
Alla funzione del mattino si legge la parashah che contiene il Decalogo. Durante la giornata viene letto anche il libro di Ruth, che si collega alla festa della mietitura. La storia di Ruth è molto bella e poetica. Naomi e i suoi due figli emigrano in Moab a causa di una carestia. I figli sposano due moabite, ma ambedue muoiono. Naomi decide allora di tornare alla sua terra e Ruth, una delle nuore, va con lei perché, dice, “la tua terra è la mia terra, il tuo Dio è il mio Dio”. Spinta dalla stessa suocera, Ruth sposa Boaz, ricco possedente e lontano parente della famiglia. Secondo la tradizione Ruth è la progenitrice del re David, dalla cui stirpe discenderà il Messia. (1)


Usanze
La festività di Shavuoth non ha comandamenti speciali. Ci sono però dei minhagim (usanze) che si sono fissati lungo i secoli (vedere Come nasce il Minhag? nella parte Cultura ebraica del sito).
Le sinagoghe vengono addobbate di fiori e di piante per ricordare che siamo all’epoca delle primizie, con un forte richiamo alle cerimonie di offerte di primizie all’epoca del Tempio.
Esiste anche l’abitudine di riunirsi la notte di Shavuoth per studiare la Torah fino all’alba. Questo studio, chiamato Tiqoun (riparazione), deve riparare la debolezza di quelli che non ebbero la forza di vegliare quando l’Eterno fece dono della Torah sul Sinai. Ma questa veglia consiste in primo luogo ad aspettare l’ora in cui gli antenati d’Israele ricevettero le parole divine. L’origine di quest’usanza è da cercare nella cabala del sedicesimo secolo. Lo scopo è di rivivere l’esperienza del Sinai nel fuoco e nella gioia.(2)

Fonti:
(1) Ziv, bulletin de la commission judaisme de la Cté des Béatitudes (Francia)
(2) Le pietre del tempo, il popolo ebraico e le sue feste di Clara e Elia Kopciowski

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=121&Itemid=1

"Usa non dettino nostra politica"

"Usa non dettino nostra politica"
Replica ministro Israele a Obama
Il governo israeliano non consentirà agli Stati Uniti di dettare la sua politica, e "la costruzione degli insediamenti non sarà fermata". A sostenerlo, dopo che Obama aveva chiesto a Israele di bloccare le costruzioni negli insediamenti cisgiordani, è il ministro israeliano per gli Affari strategici, Moshe Yaalon. "Gli insediamenti non sono la ragione del fallimento del processo di pace, non sono mai stati un ostacolo, in nessuna fase", ha detto.

"Anche quando Israele si è ritirato dai territori palestinesi - ha proseguito il ministro - il terrorismo è continuato. Anche quando abbiamo smantellato le colonie nella Striscia di Gaza ciò che abbiamo avuto è stato un Hamastan (termine spregiativo, derivante da Hamas e dal termine persiano -stan, che significa casa o territorio; quindi Paese di Hamas, ndr)".

Yaalon, ex capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, ha comunque ribadito che il governo smantellerà gli insediamenti illegali in Cisgiordania, come annunciato nei giorni scorsi.



http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo450528.shtml

MO: LEVY, ISRAELE SI ALLEI CON CATTOLICI E ISLAM MODERATO

MO: LEVY, ISRAELE SI ALLEI CON CATTOLICI E ISLAM MODERATO
Milano, 22 maggio Per uscire dalla sua condizione di ''crescente solitudine'' e far fronte a un nuovo antisemitismo, Israele dovrebbe stringere delle ''alleanze'': in primis rinnovando il suo legame con il mondo cattolico europeo e poi con i segmenti piu' illuminati dell'Islam e della societa' palestinese. E' l'opinione del filosofo francese Bernard-Henry Levy, intervenuto ieri sera a Milano ad un incontro per il centenario della fondazione di Tel Aviv in cui gli e' stato consegnato il premio 'Uomo dell'anno 2009' del Museo d'Arte della citta' israeliana. ''Non sono mai stato cosi' preoccupato per Israele e per il popolo ebraico come oggi - ha detto Levy - perche' in questo momento Israele affronta minacce senza precedenti nella sua storia, nemici come Hamas, Hezbollah e Iran mossi da un odio irragionevole, e quest'ultimo con la concreta eventualita' dell'arma nucleare''. ''Mai la malafede e la disinformazione verso Israele - ha proseguito - hanno assunto proporzioni tali come in questo momento: una macchina di delegittimazione e di satanizzazione che sta sfociando in un nuovo antisemitismo''.
http://www.shalom.it/index.php?option=com_magazine&Itemid=75

Corso di Israelologia a Como

Evangelici.net notizie

Corso di Israelologia a Como
Inserita il 21/5/2009 alle 12:29 nella categoria: Israele

COMO - Organizzato da Evangelici d'Italia per Israele (EDIPI), in collaborazione con la chiesa Elim di Como (via Borgovico, 22) in cui si tiene l'incontro, il corso di Israelologia si svolge sabato 23 maggio ed è curato dal direttore degli studi dell'IBEI Rinaldo Diprose.


Rinaldo Diprose, direttore dell'Istituto biblico evangelico italiano (Ibei), oltre a sviluppare i temi dell'incontro, parlerà della sua recente esperienza rispetto a questi stessi corsi tenuti in Israele presso le congregazioni di arabi cristiani ed ebrei messianici all'Istituto NETS di Nazareth e all'Israel College of the Bible di Gerusalemme.


Programma del corso:
sessione mattutina
1) Israele il fratello minore
2) Israele nazione eletta
3) Israele tra passato, presente e futuro

sessione pomeridiana
4) La teologia della sostituzione
5) La Chiesa al posto di Israele
6) la Chiesa al posto del Regno Messianico. [cdf]


Per informazioni: tel. 031/427739 oppure 339/3413990


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Pubblicata da evangelici.net



http://www.evangelici.net/notizie/1242901779.html

Israele: Ebrei messianici sotto i riflettori

Israele: Ebrei messianici sotto i riflettori
2009 Maggio 10

by illuminato
«Io ho annunziato, salvato, predetto, e non è stato un dio straniero in mezzo a voi; voi me ne siete testimoni, dice il SIGNORE… » (Isaia 43:12)

di Gershon Nerel

In Israele l’interesse del pubblico per gli ebrei credenti in Yeshua continua ad essere alimentato da reportage dei media in ebraico e in inglese. Venerdì 13 febbraio 2009 è apparso un altro lungo articolo su Up Front, il supplemento settimanale del Jerusalem Post in lingua inglese. L’attenzione dei lettori su questo articolo è stata attirata da un vistoso titolo sulla prima pagina del Jerusalem Post. Il titolo diceva: «La fede avanza: 7.000 credono in Gesù come loro Redentore». Nel supplemento è stato aggiunto un sottotitolo: «Con grande irritazione dell’establishement in Israele».

Il servizio sugli ebrei messianici occupava sei intere pagine con foto a colori. Sulla copertina del supplemento settimanale si poteva vedere la foto di due giovani. Portavano T-shirt rosse con la scritta ebraica: «Yehudim Lema’an Yeshua» (Ebrei per Gesù) e distribuivano volantini per strada. Larry Derfner, il reporter del Jerusalem Post è riuscito a fare un articolo completo e obiettivo. Ha abilmente evitato di destare o confermare pregiudizi nei lettori.

Nel suo articolo cita, senza censurarle, molte dichiarazioni di ebrei credenti in Yeshua. Qui di seguito alcuni esempi. «Yeshua è l’incarnazione del Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe – in una nuova epoca». «Io sono nato ebreo, ma nella fede non c’è differenza tra me e un cristiano evangelico». «Se mi rifiutassi di parlare di Gesù ai miei simili, sarebbe come se conoscessi la medicina per guarire l’AIDS e la tenessi per me».

Dall’articolo si viene a sapere che il 50 percento dei circa 7.000 ebrei messianici in Israele sono nuovi immigrati dall’ex Unione Sovietica. Secondo altre stime, il numero degli ebrei messianici in Israele dovrebbe però arrivare a circa 10.000. Tra questi ci sono anche centinaia di nuovi immigrati dall’Etiopia. Su questo gruppo il giornalista scrive che «molti di loro preferiscono tenere per sé la loro fede». Simili credenti «nicodemiti» si possono trovare anche tra gli immigrati da altri paesi. Per paura della pressione sociale, economica e giuridica preferiscono per il momento tenere segreta la loro fede.

Nell’articolo si fa anche notare che ci sono ebrei messianici che soffrono sotto angherie e persecuzione. La cattiva disposizione contro questi credenti viene aizzata da almeno due “Organizzazioni anti-missionarie” ultra-ortodosse, e precisamente Yad L’achim (Mano ai fratelli) e Lev L’achim (Cuore per i fratelli). Queste istituzioni arrivano ai limiti del legalmente lecito e del decoro, e qualche volta vanno anche oltre, denigrando e attaccando gli ebrei messianici. Gli attivisti ultra-ortodossi cercano di screditare pastori e anziani di comunità nei loro immediati dintorni attaccando in posti pubblici pashkevilim, cioè manifesti con le loro fotografie e con minacce.

Secondo i dati esposti dal giornalista, in Israele ci sono circa 100 comunità messianiche. Ciascuna di loro costituisce un gruppo chiuso in se stesso, ma esiste tuttavia «una grande fluttuazione» nell’appartenenza alla comunità. Il reporter dichiara inoltre che gli ebrei messianici non gestiscono alcun centro chiuso in cui «i nuovi convertiti sono sottoposti a un lavaggio del cervello o a un ‘bombardamento con amore’». I nuovi arrivati nelle comunità messianiche non vengono nemmeno allontanati dalle loro famiglie o dai loro amici. Se un membro vuole abbandonare la comunità, né lui né altri vengono obbligati a rimanere.

Nel suo resoconto l’autore dell’articolo cerca di comportarsi come «obiettivo osservatore dall’esterno». Da una parte scrive: «Gli ebrei messianici in questo paese hanno una reputazione pessima», perché come attivi «missionari» parlano apertamente di Yeshua ad ogni ebreo (o non ebreo) che manifesta interesse. D’altra parte i «messianici» per il reporter non sono una setta, perché i credenti ebrei in Yeshua non hanno né una singola figura leader né un gruppo di leader, e a nessuna persona del loro ambiente attribuiscono proprietà divine. Nella sua esposizione mette anche in evidenza due aspetti contraddittori dello scenario ebreo-messianico in Israele: da una parte si nota una tendenza dei figli a non seguire la fede in Yeshua dei loro genitori; dall’altra si può osservare in altre famiglie una continuità della fede in Yeshua che passa di generazione in generazione, come per esempio in Yad Hashmona, un villaggio messianico (Moshav) nella zona collinare ebraica.

Alla fine dell’articolo il giornalista descrive un concerto di musica messianica organizzato da credenti in Yeshua. A questa manifestazione hanno partecipato circa 1.000 visitatori. L’autore scrive: «Mille credenti messianici, di cui molti hanno genitori ebrei, si sono riuniti in una specie di ‘casa protetta’ per cantare inni a Gesù. Non sembravano minacciosi, anzi piuttosto innocui e vulnerabili. In questo spazio al sicuro dagli occhi del pubblico hanno potuto esprimere liberamente la loro fede.»

Fonte: (Nachrichten aus Israel, aprile 2009 – trad. www.ilvangelo-israele.it)



http://butindaro.wordpress.com/2009/05/10/israele-ebrei-messianici-sotto-i-riflettori/

I segreti dell'uomo negli antichi scritti del secondo tempio


I segreti dell'uomo negli antichi scritti del secondo tempio

L’antico fascino delle pergamene

Ore 06:01
mercoledì, 27 maggio 2009
L'estate del 1947 portò con se una delle più importanti scoperte archeologiche del Ventesimo secolo. Un pastore beduino scoprì per caso, in una grotta del deserto sulla riva Nord occidentale del Mar Morto, giare contenenti rotoli di pergamena, che mostrò ad alcuni amici. Uno di loro notò che le iscrizioni sulla pergamena ricordavano a quelle in aramaico siriano che aveva visto nella chiesa Siriano-Ortodossa di Betlemme. I beduini rimossero sette rotoli dalla grotta. Quattro furono venduti al monastero siriano a Betlemme per l'equivalente odierno di 98 dollari e tre furono acquistati da un antiquario, sempre di Betlemme. Era l'inizio di percorso che avrebbe portato ad un rinvenimento eccezionale per la storia culturale e religiosa della nostra civiltà, i celebri rotoli del Mar Morto.

I manoscritti di Qumran

Rinvenuti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte della zona di Qumran, sulla riva Nord occidentale del Mar Morto, i manoscritti contengono più di 900 testi in ebraico, aramaico e greco, datati tra il III secolo a.C e il I secolo d.C. I rotoli del Mar Morto sono la più antica testimonianza scritta esistente del Vecchio Testamento. Comprendono infatti una o più copie dei libri della Bibbia Ebraica, escluso quello di Esther e numerosi testi non canonici giunti fino a noi in versioni etiopi, greche, siriane, armene e latine.

Nel web
Israel Antiquities Authority
I manoscritti testimoniano la ricca attività letteraria del cosiddetto periodo del Secondo Tempio nella storia del popolo ebraico e includono testi biblici, apocrifi, pseudo epigrafici e legati alle tradizioni di alcune sette. I testi biblici sono probabilmente le più antiche copie della Bibbia, in particolare del Vecchio Testamento, arrivate fino a noi e hanno dato un contributo essenziale alla ricostruzione della storia testuale del Vecchio Testamento. Un numero considerevole dei testi apocrifi e pseudo epigrafici conservati a Qumran, sono versioni originali, in ebraico e aramaico di composizioni risalenti al periodo del Secondo Tempio. Il gruppo di manoscritti più interessante, è però quello attribuito alle tradizioni di alcune sette, presumibilmente sconosciuti fino alla loro scoperta nel 1947. Fa eccezione il "Damascus Document" che non era stato identificato con certezza prima del rinvenimento dei rotoli del Mar Morto. Questo ampio corpus letterario ricostruisce le credenze e i costumi di una comunità che probabilmente aveva il suo centro proprio a Qumran. Un corpus di scritti che include ordinanze, regole, commenti a testi biblici, visioni apocalittiche e opere liturgiche ed è attribuito alla setta degli Esseni.

Gli Esseni

Le prove storiche e archeologiche indicano che Qumran venne fondata nella seconda metà del II secolo avanti Cristo e fu abbandonata a seguito dell'incursione dei Romani nel 68 d.C, due anni prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme. Gli Esseni erano un gruppo settario, in parte costituitosi in una comunità monastica ascetica che si era ritirata in zone aspre e isolate. Per due secoli, condusse una vita comunitaria dedicata alla preghiera, allo studio e al lavoro. La parola "Esseni" non è mai menzionata con chiarezza nei rotoli del Mar Morto, ma numerosi indizi, tra cui il fatto che gli autori si identifichino con il termine "Judah", ovvero Esseni secondo la tripartizione in ordini del Giudaismo, fanno propendere per questa tesi.

La conservazione dei rotoli

I rotoli di Qumran rappresentano per gli studiosi anche un'eccezionale sfida scientifica, legata alla loro conservazione, vista la fragilità di un patrimonio disperso in 15mila frammenti. Della conservazione dei preziosissimi manoscritti, si occupa l'Israel Antiquities Authority, la sovrintendenza archeologica israeliana alla quale è stato affidato anche il compito di individuare ulteriori rotoli nella zona di Qumran, con campagne e scavi archeologici e l'imponente opera di pubblicazione dei celebri documenti, che è stata portata a termine. Nel 2001, inoltre, la Oxford University Press ha ultimato la pubblicazione integrale della "Discoveries in the Judean Desert", la raccolta integrale dei testi, alla quale hanno collaborato ottantotto esperti ebrei, cristiani e musulmani.

Il clima secco del deserto di Giudea, ha conservato intatti, per millenni, i manoscritti e i loro segreti. Tuttavia, quando vennero estratti dalle grotte, i rotoli vennero maneggiati in modo inadeguato e in un ambiente non controllato. Inoltre, danni irreparabili furono causati dagli adesivi utilizzati dagli studiosi, nei primi anni, per unire i frammenti, che poi venivano inumiditi e pressati tra lastre di vetro. A seguito dell'invecchiamento degli adesivi e della pressione del vetro, alcune pergamene si sono annerite, tanto che alcuni testi non sono più leggibili.

Dal 1991, le autorità israeliane hanno allestito un magazzino climatizzato, che riproduce le condizioni ambientali delle grotte di Qumran e un laboratorio speciale per la conservazione dei rotoli nel Rockfeller Museum di Gerusalemme.

Paola Gregorio


http://www.giornaledibrescia.it/Contenuti/484484.html?idnews=7606

sabato 23 maggio 2009

E se Eluana fosse stata ebrea?


E se Eluana fosse stata ebrea?


Il drammatico caso di cronaca solleva profonde questioni di etica e di morale. Quali indicazioni vengono dalla Halachà?
D.A.T.

E se Eluana fosse stata ebrea? Quale sarebbe stata la risposta della Legge ebraica alla decisione di staccare la nutrizione forzata? Come ci saremmo dovuti comportare?
Un tema molto delicato che solamente una persona come il Rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, medico e membro del Comitato Nazionale di bioetica, poteva riuscire a trattare (in una serata organizzata da Lesson Party), dando risposte esaustive ad una platea costantemente interessata.
Facendo unicamente riferimento al caso Englaro e alle questioni che da esso scaturiscono, alcune cose vanno dette immediatamente. Ci sono degli obblighi che un Ebreo ha e da cui non può sottrarsi. Essenzialmente questi sono:


• divieto di non uccidere (legge noachica); la vita va tutelata in quanto tale, senza considerazione per la qualità o per la durata;
• non possiamo rimanere impassibili davanti al sangue versato.

A questi punti cardine si collega direttamente un concetto basilare, che divide radicalmente laici (a volte laicisti…) dai credenti: il concetto di “autonomia”. Come possiamo disporre della nostra vita? Per i credenti la vita non è un dono, ma un prestito e come tale va tutelata come se andasse restituita nel migliore dei modi.
Detto ciò, non bisogna però immediatamente dedurre che per l’ebraismo non è possibile nessun tipo di scelta autonoma di fine vita. Sebbene l’idea della sofferenza anche nell’ebraismo abbia un valore assoluto
(si collega all’espiazione delle colpe), i maestri sostengono che è lecito il ragionamento secondo il quale “non voglio né le sofferenze né il premio che ne deriva”. Nessuno quindi è condannato a soffrire e si ha il diritto di rifiutare una cura. Ma debbono esserci delle condizioni precise e debbono esser fatte salve alcune limitazioni.

Le condizioni inappellabili sono:


• si deve trattare di un malato in stato terminale;
• il malato deve essere soggetto a sofferenze insopportabili;
• per terminare le cure occorre una dichiarazione certa dell’interessato.

Anche davanti a queste tre condizioni esistono però, come detto, dei limiti legati all’idea stessa di vita: l’ebraismo non ha nulla contro la tecnologia, che anzi sostiene come frutto della mente umana, direttamente legata alle capacità date all’uomo da D-o. In questo senso perciò, i macchinari che favoriscono la continuazione della vita sono assolutamente auspicabili. Ma su questi strumenti occorre fare un ragionamento molto chiaro: alcune macchine favoriscono la continuazione della
vita in maniera eccezionale, altre invece semplicemente si limitano a somministrare al singolo alimenti e liquidi che sono basilari per la vita stessa. Terminare la somministrazione di solidi e liquidi è perciò assolutamente vietato, non legandosi ad alcun tipo di eccezionalità estranea al corso naturale della vita (bere e mangiare sono la base della vita stessa).
Un discorso più articolato va fatto invece per la ventilazione. In questo caso è assolutamente vietato staccare una semplice ma
schera per l’ossigeno o un sondino nasogastrico. E’ invece possibile ragionare sui macchinari che non solo favoriscono la ventilazione ma producono anche il necessario movimento dei muscoli. In questo caso infatti, il movimento artificiale dei muscoli può essere visto come una specie di accanimento.
Fatta questa lunga premessa, come si pone l’ebraismo davanti al caso concfreto (nella fattispecie quello della Englaro)? Qui ci sono tre questioni aperte:


• l’accertamento della reale volontà della paziente;
• la possibilità di sospendere la somministrazione di solidi e liquidi;
• la possibilità per un terzo di decidere per un malato incosciente.

Come è facile dedurre, secondo la Halakha non sarebbe stato lecito far morire Eluana. Non risulta chiara infatti la volontà del paziente: la volontà di Eluana è stata principalmente dedotta in base alla vita attiva della paziente e su frasi dette in situazioni del tutto informali. Inoltre la somministrazione di solidi e liquidi, avvenuta sempre per semplice sondino nasogastrico, sarebbe dovuta continuare.
In ultimo, come si pone Israele davanti a questa questione? In Israele esiste una legge frutto del lavoro della commissione Stainberg: secondo questa norma è possibile rifiutare le cure, ma non è lecito terminare la somministrazione di solidi e liquidi. Per la ventilazione, come detto, solo nei casi ammissibili sopra descritti, si agisce tramite un timer che, spegnendo gradualmente la macchina, determina la fine della vita.
Come si vede quindi il tema è molto complicato e frutto di numerose discussioni. Così delicato che Rav Di Segni, pur sottolineando la non ammissibilità del caso Englaro nell’ebraismo, rifiuta totalmente l’idea di definire Beppino Englaro, padre di Eluana, come un assassino. Non è possibile descrivere la sofferenza di un padre con poche, dure, infamanti, vigliacche e semplicistiche, parole….

http://www.shalom.it/index.php?option=com_content&task=view&id=340&Itemid=75&ed=17

Cannes: Nel bell’affresco israeliano di Suleiman il patriottismo si nutre nel silenzio

il Giornale.it
n. 124 del 2009-05-23 pagina 32

Nel bell’affresco israeliano di Suleiman il patriottismo si nutre nel silenzio
di Redazione

Chi ha seguito il Festival, che oggi finisce le proiezioni, ricorderà quattro o cinque film. Fra questi c’è Il tempo che resta di Elia Suleiman, storia di famiglia e solidarietà, ma soprattutto storia malinconica e buffa, di patria oppressa e patriottismo sommesso.
Cristiano-palestinese, Suleiman aveva già proposto a Cannes sette anni fa Intervento divino, sul contrastato amore fra giovani arabi d’Israele e dei Territori occupati. Il tempo che resta è invece l’evocazione di sessant’anni di Israele, visti non nell’ottica delle celebrazioni occidentali dell’anno scorso, ma in quella degli arabi cristiani e musulmani di Nazaret, diventati dal 1948 cittadini israeliani a sovranità limitata. Caduto il Muro di Berlino, è sorto il Muro d’Israele, ma anche per chi l’ha costruito sarà duro bollare Suleiman come «terrorista»: il più esplicito atto di resistenza, nel suo film, è afferrare silenziosamente - il silenzio, ecco la chiave del film - un’asta, prendere la rincorsa e saltare il Muro!
Ma Suleiman non cela mai la realtà dietro la poesia: si vedono anche la guerra del 1948 e l’Intifada del 1989-90, perché il futuro padre (Saleh Bakri) di Elia Suleiman aveva adattato armi inglesi a munizioni tedesche nel 1948. Lui è il protagonista della prima parte del film. Anche se aveva dovuto arrendersi, aveva continuato a essere sorvegliato: infatti ogni tanto bruciava una bandiere israeliana... Quando il piccolo Elia (Zuhair Abu Hanna) va a scuola, a Nazaret, ha le sue peripezie, perché dice agli altri bambini che «gli americani sono colonialisti». E il maestro insiste: «Chi ti insegna queste cose?».
Già, chi? Un padre che invecchiava senza rassegnarsi, educando il figlio, che a sua volta è invecchiato senza rassegnarsi. Con qualche ragione, dicono i rapporti di forza demografici. Davanti alle nascite tre volte più importanti degli arabi rispetto agli ebrei israeliani, il destino di Israele rimanda a quello dell’Algeria francese e del Sud Africa bianco.
Poi c’è la parte familiare. Borghesi, i Suleiman sono una famiglia con vicini molto peculiari, tutti più o meno condizionati dall’occupazione. Infatti i palestinesi non sono tutti guerri(gli)eri e c’è chi s’è adattato al dominio ebraico, così come i genitori e nonni s’erano adeguati a quello ottomano. C’è per esempio chi denuncia il cugino (Suleiman padre, cioè) all’Haganah, poi chi fa cantare ai bambini arabi le canzoni patriottiche israeliane, chi entra nella polizia israeliana...
Suleiman non condanna i collaborazionisti e nemmeno gli occupanti, non ha il gelido rigore giacobino di Vercors nel suo romanzo sull’occupazione tedesca, Il silenzio del mare, poi portato sullo schermo da Jean-Pierre Melville. Gli ebrei di Suleiman sono invasori, non mostri. Il tempo che resta non è manicheo. Al nemico qui si spara, da parte araba, per aver migliori posizioni dalle quali trattare quando non si sparerà più. Ma poi magari si perde e ci si trova alla mercé dell’altro. Probabilmente questa concezione realistica e non ideologica della guerra valeva anche per certi ebrei del 1948. Ci sarebbe voluta la guerra del 1967 perché Israele negasse la qualifica di nemico al medesimo, per ridurlo a «terrorista». Ma come fare la pace con qualcuno di cui si nega la parità politica? La Francia, che ha tuttora ambizioni sul Libano e dintorni, ospita a Cannes il film di Suleiman anche perché le permette di sostenere una posizione intermedia nel conflitto mediorientale. I giornalisti hanno ampiamente applaudito il film di Suleiman per la gioia sua, ma anche per quella di Nicolas Sarkozy.


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venerdì 22 maggio 2009

Una proposta per ricordare chi agì nel silenzio

Una proposta per ricordare chi agì nel silenzio


La casa editrice Carismatici Francescani informa che il giorno 28 maggio 2009 alle ore 16,30 presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati, Via Poli, 19, Roma, verrà proiettato il documentario dal titolo “Il nemico fraterno”, di Joseph Rochlitz, regista statunitense e figlio di uno degli ebrei superstiti del campo nell'isola di Arbe (Rab), 1943, salvato dalle truppe militari italiane e dai diplomatici italiani che erano in Croazia.



Introduce On.le Fiamma Nirenstein Vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati.



All’incontro parteciperanno:

Riccardo Pacifici, Presidente Comunità Ebraiche di Roma

On.le Rocco Buttiglione, Vice Presidente Camera dei Deputati

Gen. B. Agostino Biancafarina, Affari Generali - Stato Maggiore dell’Esercito

Roberto Petri, Capo della Segreteria Particolare del Ministro della Difesa

Un rappresentante del Ministero degli Affari Esteri



Sarà presente il prof. Gino Bambara, esule dalmata, testimone ancora vivente degli avvenimenti che si sono verificati nella zona di cui tratta il documentario, che racconterà qualcosa della sua esperienza.





Il filmato di Joseph Rochlitz è stato proiettato pubblicamente a Washington e a Gerusalemme con molta risonanza, ma in Italia sinora solamente in forma privata. Si riferisce agli episodi verificatisi in Croazia, in Grecia e nel sud della Francia.



Solo l’Italia, sostiene lo storico ebreo Menachem Shelah nel suo libro Un debito di gratitudine, sulla base di una rigorosa documentazione, protesse tutti gli ebrei che si trovavano nei territori sotto il suo controllo.





Con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri



Hanno aderito:

The International Raoul Wallenberg Foundation (IRWF)

L’ Associazione Nazionale ex Deportati (ANED)



informazioni@carismaticifrancescani.org

FILM SULL'OMOSESSUALITA' 'EYES WIDE OPEN'

20/05/2009 - 18.01
FESTIVAL DI CANNES: ARRIVA LO SCANDALOSO FILM SULL'OMOSESSUALITA' 'EYES WIDE OPEN'





(IRIS) - ROMA, 20 MAG - A coronamento di un'edizione del Festival in cui l'amore omosessuale ha avuto un posto d'onore, arriva nella sezione Un Certain Regard, il film che, pur con una trattazione delicata e sofferta rappresenta l'autentico scandalo di quest'anno. Si intitola 'Eyes Wide Open', lo ha diretto l'israeliano Haim Tabakman ed è stato realizzato grazie ad una coproduzione con la Francia e la Germania poichè in patria appariva impossibile trovare tutti i capitali necessari.

I protagonisti sono due uomini che appartengono alla comunità ultra ortodossa di Tel Aviv, sono profondamente rispettosi delle leggi religiose e della morale ebraica ma non vogliono uccidere per questo la sincera passione che li lega. Aaron è un rispettato commerciante, sposato con Rivka e bravo padre di quattro bambini. Ma quando un giorno incontra il giovane studente Ezri non puo' far tacere il suo cuore. Il senso di colpa, il dolore per il tradimento della moglie e soprattutto la crescente pressione della comunità a cui appartiene, costringono Aaron alla scelta piu' drammatica. Opera prima di un regista che maneggia la materia con grande padronanza, ex allievo della Cinefondation di Cannes, il neoregista Haim Tabakman rende merito alla sceneggiatura originale di Merav Doster che ha ripreso dopo sette anni contro il parere di tutti.

''Il problema con lo scandalo dell'omosessualità tra i religiosi ebrei - dice il regista - è che l'omosessualità per il Talmud non è necessariamente un peccato, semplicemente non esiste, è una malattia che si può contrastare e vincere. Quando si è religiosi nel profondo dell'animo come i miei due personaggi si hanno solo due possibilità, combattere quella che i saggi chiamano una pulsione nefasta o vivere il proprio amore finendo nell'isolamento e nel disprezzo di amici e parenti''. Per capire quanto il film possa sconvolgere il suo pubblico naturale, in Israele, basterà dire che la contrarietà della comunità ortodossa ha costretto i produttori a non girare il film a Gerusalemme per l'eccesso di pressioni negative e che il protagonista Ran Danker (una star musicale) ha rischiato tutta la sua popolaritaà rompendo un autentico tabù apparentemente insuperabile. ''Sono molto grato a Ran - dice il regista - così come a uno degli attori che amo di più nel mio paese, Zohar Strauss, perchè si sono fatti carico dei loro personaggi fino a viverne tutto il dramma interiore. Spero che Cannes li ricompensi del rischio corso poichè ad oggi non sappiamo ancora se e come sarà possibile mostrare questo film in patria''.



MaVi

http://www.irispress.it/Iris/page.asp?VisImg=S&Art=38272&Cat=1&I=immagini/Spettacolo/62%20Festival%20d%20Cannes.jpg&IdTipo=0&TitoloBlocco=MusiCinemArte&Codi_Cate_Arti=7

BETANIA OGGI



Published on Tempi (http://www.tempi.it)
Una luce oltre il muro


di Rodolfo Casadei




Passaggio a Betania, Gerusalemme, dove da venticinque anni una donna cristiana difende con le unghie e coi denti i suoi reietti, decine di orfani trasformati in “figli” felici dalla «potenza della vita»


Da Gerusalemme

Insieme alla casa di Pietro a Cafarnao, era qui, a Betania, nel paese dove abitavano Lazzaro, Marta e Maria, il centro affettivo di Gesù. Oggi il villaggio di case bianche, sul pendio del Monte degli ulivi, sta per essere isolato dal muro. Quel muro che Benedetto XVI si è augurato di vedere presto smantellato: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti noi tutti sappiamo che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti». Non è un facile richiamo alla retorica pacifista. Il Papa sa bene quali sono le circostanze che hanno spinto le autorità israeliane a ricorrere alla drastica decisione di elevare una barriera di separazione tra i due popoli. L’islamismo suicida (dopo la costruzione del muro praticamente azzerato) che si infiltrava nei bar, sugli autobus, nelle scuole, facendo strage di cittadini inermi. Per questo l’accorato appello del Pontefice è realistico. «Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!». Non a caso, proprio al campo profughi di Aida, a Betlemme, Benedetto XVI ha spiegato che «da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia». Occorre «contrastare il bisogno di vendetta». Ci vuole «magnanimità per ricercare la riconciliazione». «La storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni. (…) Se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative». In questa tensione tra parti recalcitranti a concedersi atti di magnanimità e fiducia, le anfore di coccio sono le persone come lei, Samar Sahhar, cristiana di Betania. Che fedele al mandato che il Papa ha rinnovato ai cristiani di Israele e Palestina («Siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane»), da venticinque anni dedica interamente la vita ai figli abbandonati e alle donne reiette. Purtroppo, nella cittadina dove questa grande donna ha piantato il suo orfanotrofio, la Lazarus Home, sono rimaste ormai solo 11 famiglie cristiane immerse in 30 mila anime di palestinesi musulmani.

Ci si mette pure Hamas
Tornasse oggi a Betania (ora El Azareya), Cristo non troverebbe il posto tranquillo dove andava quando aveva bisogno di riposare. La via che arriva da Gerusalemme è il tipico caravanserraglio arabo, con negozietti di ogni tipo che danno sulla strada e il traffico caotico. Più su, verso la collina dove la tomba di Lazzaro e la relativa chiesa sono circondate di moderni palazzi, la pace dei luoghi è turbata dai lavori per l’avanzata del muro che sta segando in due anche questa località, incluse parecchie proprietà. Per esempio il bel giardino della casa delle suore comboniane e il bosco dell’adiacente convento dei padri passionisti. L’atmosfera politica non è più rilassata. Di recente in Consiglio comunale si è discusso dell’opportunità di costruire un ospedale: a Betania come nella vicina Abu Dies non ce ne sono, e i residenti non possono utilizzare quelli di Gerusalemme in quanto “palestinesi di zona C” (una zona dove ordine e sicurezza sono di competenza israeliana mentre l’amministrazione civile dipende dall’Autorità nazionale palestinese). Dunque per cure ospedaliere in strutture pubbliche devono attraversare il muro e andare nei territori amministrati dall’Anp. Ma del progetto che renderebbe la vita più facile agli abitanti non se ne farà nulla. I militanti di Hamas, infatti, hanno avvertito il sindaco, uomo di al Fatah: «La nostra gente deve continuare a sfidare i soldati israeliani alla barriera, non bisogna far scendere la tensione». Insomma, la logica del tanto peggio, tanto meglio. Imposta con minacce molto convincenti.
Sarebbe interessante capire chi ha messo in giro la voce che anche i cristiani alle elezioni del 2006 hanno votato Hamas, per punire la corruzione e l’inconcludenza di al Fatah. «Queste sono idiozie di giornalisti che scrivono stando chiusi dentro gli alberghi», si arrabbia Sobhy Makhoul, diacono dell’esarcato maronita di Gerusalemme e cittadino israeliano. Qualche caso c’è stato sicuramente, come quello della nipote dei fondatori cristiani dell’università palestinese (oggi statale) di Ramallah. Ma si tratta di casi isolati. I cristiani continuano a soffrire la deriva fondamentalista della società palestinese maggioritariamente musulmana. Da Gaza giunge notizia che gli ultraestremisti di Jaish al Islam, Jaish al Umma e dei Comitati popolari di resistenza, fra i quali si trovano gli assassini del pastore protestante Rami Khader ucciso nel 2007, hanno cominciato a chiedere ai 3 mila cristiani della regione di pagare la jizah, la tassa di sottomissione dei dhimmi ai musulmani. Hamas condanna verbalmente tutto questo, ma si guarda bene dal reprimere con efficacia il fenomeno. D’altra parte l’unica docente cristiana di un’università di Gaza egemonizzata da Hamas qualche tempo fa è scomparsa dalla circolazione per alcuni giorni. È riapparsa in un filmato in cui indossava il velo islamico e annunciava di essere diventata musulmana, lasciando increduli tutti i cristiani che la conoscevano come una praticante molto pia. Per non parlare delle bande criminali che sfruttano la prostituzione a Betlemme: le loro prede preferite sono le adolescenti cristiane orfane di padre. Sanno bene i guai che incontrerebbero se osassero traviare ragazze musulmane, e quindi concentrano l’attenzione sui soggetti più deboli e indifesi della società.

Esistenze ricostruite
Samar ci mostra le sue 31 “figlie”, fra i 3 e i 15 anni di età, che ospita e accudisce insieme a quattro “mamme”, tutte musulmane. Ci parla dell’ambulatorio ginecologico e pediatrico che ha aperto insieme alle suore comboniane, della panetteria-pizzeria che ha avviato e dato in gestione per finanziare la Lazarus Home, del programma di protezione per donne costrette a fuggire dal marito o dalla famiglia per i motivi più tremendi. I quattro quinti degli orfani sono il risultato di divorzi seguiti da un nuovo matrimonio: le seconde mogli non accettano i figli che l’uomo (al quale nel diritto islamico spetta inderogabilmente la custodia dei figli in caso di divorzio) ha avuto dall’altra donna, e l’istituto diventa la destinazione obbligata degli sfortunati bambini. Il resto degli orfani è rappresentato da casi penosi o raccapriccianti. Rouba, 15 anni in un corpo esile come una foglia, intona con voce struggente le canzoni di Fitoussi, la famosa cantante libanese. I genitori le hanno ustionato i piedi e il ventre, una sua sorella è stata violentata dal padre e ora vive in una comunità segreta dopo essere stata qui alla Lazarus Home per alcuni anni. Il genitore è venuto più volte a cercarla, ogni volta minacciando di morte Samar, che senza l’aiuto di nessuno l’ha respinto come una leonessa. Rania è la più piccola della casa coi suoi tre anni: ride come un frugolino con la sua bocca sdentata. Ultima di otto figli, è stata gettata sulla strada da un’auto in corsa. Non si riesce a credere che sia diventata la bambina più contenta di tutta la casa. «Le cose più belle della mia vita sono venute da mio padre e da don Luigi Giussani», dice in italiano Samar, che è una laica consacrata dei Memores Domini di Comunione e liberazione. «Mio padre mi raccontava sempre la favola di san Giuseppe che portava ogni giorno a Gesù bambino un piccolo regalo. Il giorno che non l’ha portato, in casa hanno pianto tutti: Gesù, Giuseppe e Maria. Da allora ho deciso di portare regali a Gesù ogni giorno della mia vita». n


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PROGETTAVANO ATTENTATO A SINAGOGA NEW YORK

PROGETTAVANO ATTENTATO A SINAGOGA NEW YORK

(AGI/REUTERS) - New York, 20 mag. - Quattro uomini sono stati arrestati dall'Fbi, con l'accusa di voler far saltare in aria la sinagoga e un centro comunitario ebraico a New York e di voler lanciare missili contro aerei militari. Lo hanno reso noto le forze dell'ordine statunitensi. Secondo un comunicato congiunto diffuso dalla procura del Distretto Meridionale di New York, dell'Fbi e del Dipartimento della Polizia locale, i quattro volevano piazzare esplosivo vicino la sinagoga del quartiere newyorkese di Riverdale. Secondo l'accusa, gli arrestati volevano anche lanciare missili Stinger contro gli aerei militari che stazionano nella base della Guardia Nazionale Aerea di New York, nell'aeroporto Stewart, un centinaio di chilometri a nord della 'Grande Mela'. "Gli accusati volevano portare a termine una serie di attentati terroristici: selezionavano gli obiettivi e cercavano le armi necessarie per realizzare i loro piani", ha detto Lev Dassin, procuratore del distretto Meridionale di New York, nella nota congiunta. I quattro, identificati come James Cromitie, David Williams, Onta Williams e Laguerre Payen, sono stati fermati dopo aver comprato un missile inattivo e esplosivi di materiale inerte, nell'ambito di un'operazione congiunta diretta dall'Fbi e da altre agenzie.



http://www.agi.it/estero/notizie/200905210827-est-rt11009-usa_volevano_piazzare_bomba_alla_sinagoga_new_york_4_arresti

Hamas: le parole di Obama ingannano

Quelle dichiarazioni non sono altro che un insieme di auspici»
Hamas: le parole di Obama ingannano
Il gruppo islamico: le manifestazioni di speranza sono fuorvianti, Israele «entità sionista razzista e radicale»
MILANO - «Le affermazioni e le manifestazioni di speranza del presidente statunitense Barack Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la comunità internazionale in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti e all'esistenza dell'entità sionista razzista e radicale». È questa la posizione di Hamas, dopo l'incontro tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Obama.

«SOLO UN INSIEME DI AUSPICI» - In un comunicato, rilanciato dal sito web del quotidiano israeliano The Jerusalem Post, il gruppo afferma inoltre che le dichiarazioni del presidente statunitense durante l'incontro di ieri con Netanyahu non sono altro che un «insieme di auspici» su cui il movimento ha poche speranze. Durante l'incontro alla Casa Bianca con Netanyahu, Obama ha esortato Israele a negoziare con i palestinesi, ma divergenze sono emerse tra le parti sulla questione dei due stati per due popoli. Il premier israeliano, infatti, ha parlato semplicemente di autogoverno dei palestinesi, senza mai riferirsi a uno stato palestinese. Il presidente degli Stati Uniti ha anche ricordato a Netanyahu che in base alla Road Map, Israele è vincolato a non creare nuovi insediamenti.

http://www.corriere.it/esteri/09_maggio_19/hamas_obama_affermazioni_per_ingannare_il_mondo_01d57552-4460-11de-a9a2-00144f02aabc.shtml

Hamas: le parole di Obama ingannano

Quelle dichiarazioni non sono altro che un insieme di auspici»
Hamas: le parole di Obama ingannano
Il gruppo islamico: le manifestazioni di speranza sono fuorvianti, Israele «entità sionista razzista e radicale»
MILANO - «Le affermazioni e le manifestazioni di speranza del presidente statunitense Barack Obama hanno l'unico obiettivo di ingannare la comunità internazionale in merito a qualsiasi questione legata ai comportamenti e all'esistenza dell'entità sionista razzista e radicale». È questa la posizione di Hamas, dopo l'incontro tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Obama.

«SOLO UN INSIEME DI AUSPICI» - In un comunicato, rilanciato dal sito web del quotidiano israeliano The Jerusalem Post, il gruppo afferma inoltre che le dichiarazioni del presidente statunitense durante l'incontro di ieri con Netanyahu non sono altro che un «insieme di auspici» su cui il movimento ha poche speranze. Durante l'incontro alla Casa Bianca con Netanyahu, Obama ha esortato Israele a negoziare con i palestinesi, ma divergenze sono emerse tra le parti sulla questione dei due stati per due popoli. Il premier israeliano, infatti, ha parlato semplicemente di autogoverno dei palestinesi, senza mai riferirsi a uno stato palestinese. Il presidente degli Stati Uniti ha anche ricordato a Netanyahu che in base alla Road Map, Israele è vincolato a non creare nuovi insediamenti.

http://www.corriere.it/esteri/09_maggio_19/hamas_obama_affermazioni_per_ingannare_il_mondo_01d57552-4460-11de-a9a2-00144f02aabc.shtml

Netanyahu gela Obama



ilGiornale.it
n. 119 del 2009-05-19 pagina 14

Netanyahu gela Obama:
secco no di Israele
a uno Stato palestinese
di Matteo Buffolo

Il premier di Gerusalemme: "Per gli arabi solo autogoverno". Il presidente Usa: "Continuiamo il dialogo con Teheran". La Casa Bianca: "Congelare gli insediamenti in Cisgiordania"

Quando si sono incontrati lo scorso anno, erano tutti sorrisi e l'incontro era scivolato in maniera piacevole. Ma allora, né Benjamin Netanyahu né Barack Obama guidavano i propri Stati e il rilancio dei piani di pace in Medio Oriente non passava quasi esclusivamente per le loro mani. Ieri, alla prima visita ufficiale del premier israeliano alla Casa Bianca, il meeting è stato ugualmente cordiale, ma le posizioni dei due leader non si sono - almeno per ora - incontrate.

I temi più caldi sono due: la cosiddetta «soluzione dei due Stati» e il dossier iraniano. E se la prima cosa che Obama ha detto dopo ore di estenuanti faccia a faccia è stata che «solo con due Stati ci sarà la pace fra i due popoli», Netanyahu ha preferito parlare di «autogoverno», ma dicendo chiaramente «no ad uno Stato palestinese». E se il premier israeliano puntava a fissare un termine temporale per la linea del dialogo con Teheran (tre mesi secondo le indiscrezioni, una scadenza condivisa anche dall'inviato americano per il Medio Oriente Dennis Ross), il Presidente americano ha nicchiato e non ha fissato alcuna data ultima, facendo intendere di puntare forte sul dialogo e su un approccio soft, ma puntando comunque a «risultati entro l'anno». Differenze significative, che non sarà semplice appianare nonostante la relazione che ha sempre legato Washington allo Stato ebraico e di cui nessuno dei due può fare a meno. Sul tavolo, ovviamente, ci sono molte altre questioni, per esempio il futuro degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania; e se proprio ieri è arrivata la notizia di un appalto per la costruzione di una nuova enclave, Obama ha tuonato dicendo che i progetti «devono essere congelati».

Insomma, quella che Netanyahu aveva definito «la missione della sua vita» in un'intervista al quotidiano Maariv non sembra aver portato, almeno nell'immediato, un’intesa con il grande fratello Usa. Lo spazio di manovra del premier israeliano, stretto fra un governo di coalizione eterogeneo e favorevole a una linea dura e la volontà di Obama di imprimere al processo di pace un'accelerazione basata sul dialogo, è limitato e l'incontro sembra aver confermato i timori della stampa di Gerusalemme, scettica sulla possibilità di un accordo.
Nello Studio Ovale Obama ha richiamato alla memoria di Netanyahu gli impegni presi dai precedenti governi, mentre il capo del governo israeliano ha nicchiato. E se per l'ex senatore dell'Illinois la soluzione del problema palestinese è un punto chiave per migliorare i rapporti con il mondo islamico, per il leader del Likud dare pubblicamente il via libera alla formazione di uno Stato palestinese significherebbe sostanzialmente vedere la propria maggioranza sgretolarsi dopo poche settimane. A meno, ovviamente, di non portare a casa qualche sostanziosa contropartita. Ma anche sull'Iran - l'altro grande dossier sul tavolo - le visioni divergono: per Obama arrivare alla sovranità totale per la Palestina smorzerebbe i problemi con Teheran, per «Bibi il falco» invece spingerebbe soltanto Ahmadinejad (o chi gli succederà eventualmente dopo le presidenziali di giugno) a esercitare ancora più pressione attraverso Hezbollah ed Hamas. A meno che, ma gli spiragli sembrano minimi, gli Stati arabi non riconoscano Israele e la sua natura ebraica. «In questo caso - ha detto Netanyahu a margine del meeting - siamo pronti a riprendere i colloqui di pace con i palestinesi». «E questa - gli ha fatto eco Obama - è un'occasione che entrambi dovreste cogliere».


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Allarme antisemitismo: torna il complotto giudaico-massonico

Allarme antisemitismo: torna il complotto giudaico-massonico
DI ALDO CHIARLE
Lunedì 11 Maggio 2009 11:00



Il quotidiano “Il Riformista” lancia un allarme: una piccola casa editrice ha ristampato “I protocolli dei Savi Anziani di Sion”, una opera universalmente riconosciuta come un enorme cumulo di menzogne, scritta e pubblicata poco più di un secolo fa per scatenare una azione di odio contro gli ebrei.Oggi questo libro viene utilizzato dalla teocrazia dell’Iran per incitare l’odio contro Israele e per chiedere ad alta voce la sua distruzione. Ma questi “protocolli” noti in Italia attorno al 1938, non furono una invenzione fascista, anche se Benito Mussolini e Giorgio Bocca, firmatario del manifesto antiebraico, se ne sono appropriati, perché proprio in quell’anno la propaganda fascista sbandiera a piena voce la tesi del complotto sionista e massonico, legittimata autorevolmente dal Gran Consiglio del fascismo nel momento in cui si stava per imboccare la strada della discriminazione razziale e la promulgazione dei “Provvedimenti per la difesa della razza”; proprio in quei giorni vengono pubblicati in Italia i “Protocolli dei savi anziani di Sion” che ben giocavano a favore del fascismo nella sua campagna contro gli ebrei e contro la Massoneria.Ma i “Protocolli dei savi anziani di Sion” non sono stati una invenzione fascista: escono in Russia nel 1905 e fu una grossa mistificazione composta di collage di diversi testi abilmente manipolati dalla polizia segreta zarista, in un momento in cui la Massoneria e l’Ebraismo stavano giocando un ruolo culturale di primaria importanza. Da allora, a intervalli regolari, il complotto giudaico-massonico viene sventolato da forze reazionarie, e con particolare accanimento da Mussolini quando per l’Asse la guerra era irrimediabilmente persa; guerra - adopero le parole di Mussolini - “tenacemente voluta dal mondo demoplutocratico giudaico-massonico, ricco di oro e di denaro, contro i popoli nuovi e ricchi di braccia”. Naturalmente i rappresentanti delle potenze demoplutocratiche, giudaico massoniche erano le nazioni definite vecchie e sorpassate, in una parola la Francia, ma soprattutto l’Inghilterra, definita la perfida Albione.Questa azione propagandistica si intensificò dopo l’8 settembre 1943, con punti di massima violenza nei primi mesi del 1944. Infatti il 13 febbraio 1944, il quotidiano “La Repubblica fascista” e il giorno seguente tutti i giornali dell’Italia ancora occupata dai nazi-fascisti, pubblicano a piena pagina un articolo dal titolo: “Il complotto ebraico massonico per minare il fascismo e piegare l’Italia. E come nel caso dei famosi Protocolli di Sion del 1905, vengono pubblicate intere pagine di documenti falsi, questa volta massonici, inventati proprio da Benito Mussolini, perché un attento studioso rileggendo i testi trova proprio lo stile e la penna del duce del fascismo. Fu l’ultimo suo attacco, a mezzo stampa, contro la massoneria e contro gli ebrei. Purtroppo i delitti continuarono fino alla liberazione. Poche settimane prima di questo ultimo forsennato attacco si era conclusa la tragedia del ghetto ebraico di Roma.Ma il complotto giudaico-massonico non è stato - come dicevo all’inizio - una invenzione di Mussolini; Mussolini l’ha solo rispolverato. Come anche i “Protocolli dei savi anziani di Sion”. Le menzogne del complotto giudaico hanno più di 250 anni e a denunciarlo è stato un cappuccino, padre Schuff che nel Duomo di Acquisgrana urlò nel 1751: “Gli ebrei che crocifissero il Salvatore erano massoni. Pilato ed Erode erano i capi di una Loggia. Giuda prima di tradire Gesù si era fatto iniziare massone in una sinagoga e quando consegnò i trenta denari prima di andarsi ad impiccare non aveva fatto altro che pagare la tassa di iniziazione. Da allora “La Civiltà Cattolica” ritorna spesso su questo complotto e anche con mano pesante.In un articolo apparso in data 20 giugno 1885 si parla della Massoneria e dopo un accenno a Satana che l’ha generata, si accusa i giudei di essere il perno cui fanno parte tutte le ruote della grande macchina settaria che si chiama Framassoneria. Nel 1887 la stessa Rivista insiste nel concetto di complotto e nel numero del 1° gennaio, scrive “I giudei reggono la massoneria con un bieco fine. Saranno il bersaglio dell’ira divina fino agli ultimi giorni. Il coltello piantato nel cuore dell’Italia è la massoneria giudaica”. E nel numero del 3 novembre 1888: “I giudei reggono la massoneria, ma gli ingannati dai giudei che, traendoli ai primi gradi, tengono celato il loro bieco fine; e fingono amore della umanità, ardente desiderio di universale progresso, affetto stragrande per il popolo, cultura delle arti e delle scienze, e soprattutto amor di patria, indipendenza e unità nazionale”. E ancora: “Gli ingannati non mostrano di punto avvedersi delle trame giudaiche e pare che nemmeno si accorgano che il vero fine della giustizia ebraica sia quello che dicevamo: la distruzione della religione e cancellare Gesù Cristo dalla mente e dal cuore fra i fini subalterni della Massoneria voluti dalla giudaica massoneria, vi fu l’indipendenza d’Italia, quindi la cosiddetta Unità d’Italia, togliendo soprattutto la sovrana indipendenza al Vicario di Gesù Cristo”.Un altro violento attacco alla “massoneria giudaica è sulla rivista del 20 aprile 1889: “Il Dio della massoneria giudaica è quello che ammettono i panteisti, è la natura, è il mondo. Ma un orbo vede che questo non ha nessun carattere proprio della divinità, dunque il Dio della giudaica massoneria non è Dio e in fatto questa professa l’ateismo”. E ancora, nel numero del 15 febbraio 1890: “La perfida razza dei giudei, che stancò cento volte la pazienza di Dio e fu finalmente reietta perchè crocefisse il Signore, cotesta razza dispersa in esilio per tutta la terra sarà ben presto ridotta all’impotenza...Dio farà così nell’ordine morale, dacché nessun uomo assennato recherà in dubbio che la frase blasfema del Garibaldi, essere il Papa il cancro dell’Italia, e quella stampa qui in Roma testé dal Gran Maestro Adriano Lemmi, cioè che il Papa è il coltello piantato nel cuore dell’Italia, non abbia presto a pronunciare, nel proprio e vero senso, della massoneria: sì la massoneria è il cancro dell’Italia, sì la massoneria è il coltello ch’è piantato in Roma, cuor d’Italia”.Ma la rivista pubblica il 16 agosto 1890, una vera chicca: “Del resto certo è che la massoneria è informata e diretta dallo spirito giudaico e gli obbedisce. Uno di essi, Sisto di Siena, ci attesta che nella edizione del Talmud, leggevansi i seguenti precetti: 1) Ordiniamo che ogni giudeo maledica che volte al giorno il popolo cristiano e preghi Dio che lo stermini con i suoi principi e re; 2) Dio ha ordinato ai giudei di appropriarsi dei beni dei cristiani, sempre che li potranno, sia con la frode, sia con la violenza, ovvero con il furto e l’usura; 3) si comanda a tutti i Giudei di avere i cristiani in conto di bruti animali e di trattarli come tali; 4) Non facciamo né bene né male ai pagani, ma procuriamo con ogni mezzo di tor dal mondo i cristiani; 5) Se un giudeo vede un Cristiano sull’orlo di un precipizio, è tenuto a sospingerlo dentro”. E ancora, nel numero del 19 ottobre 1895, con una recensione del libro “Massoneria sinagoga di Satana” scritto dall’arcivescovo di Port-Luis, Meurin Leone, e pubblicato dalla Biblioteca del clero di Siena: “Secondo noi è una delle più insigni sopra l’argomento e dimostra che la Cabala ebrea è la base filosofica e la chiave della massoneria. Monsignore intende la Cabala corretta di Paganesimo e di satanismo. Cerchiamo e troviamo la storia della massoneria, l’ordine decaduto dei Templari, la Sinagoga cabalistica e finalmente nel tutto, Satana medesimo”.E si potrebbe continuare all’infinito, con citazioni mensili e della stessa violenza. Proprio in questi giorni “furfugnando” fra bancarelle di libri vecchi, ho trovato alcuni numeri de “La Frusta” giornale politico e morale che si pubblicò in Roma a partire dal 1870. nel numero dell’11 gennaio 1871 trovo un articolo di fondo veramente eccezionale. Il titolo è “La generosità dei Papi e la ricompensa degli ebrei”. L’articolo è tutto interessante, ma riporto solo alcuni gioiellini di stile e di “amore”; eccoli: “Fra le molteplici leggi pertanto che sempre più sconvolgono il caos italiano, si ha: Tutti i cittadini sono eguali avanti alla legge. Questa legge a nessun altro è tanto propizia siccome agli Ebrei, perchè essendo la schiatta più avvilita e più abietta del mondo, perchè contrassegnati dal marchio meritato del deicidio, furono giustamente sino ad oggi sfuggiti o non affatto curati. Ma d’ora innanzi ed in forza appunto dall’esser tutti eguali in faccia alla legge, voi li vedete insegnare al Liceo, quando non sanno e non vogliono credete, perchè oggi in società dei fatalisti e degli atei comandano, imperano ancora eminentemente gli ebrei. Giudaismo e rivoluzione sono oggi le parole talmente identiche fra loro, cosicché i rivoluzionari sono tutti ebrei, come tutti gli ebrei sono rivoluzionari. Rivoluzionari sono gente senza testa, senza patria, senza affezione, gli Ebrei non hanno Patria, e sopra l’onore dei congiunti sentono quello dell’oro. Gli ebrei congiurano contro il papa, lo bestemmiano, calunniano, insultano, ancorché l’augusto pontefice Pio Nono li abbia sempre ricolmi di ogni elargizione e favore”. L’esecutore di questo incredibile articolo finge di ignorare la cacciata degli ebrei dalla cattolicissima Spagna, i ghetti della cattolicissima Polonia, il ghetto di Roma annientato solo dalle baionette dei bersaglieri italiani il XX settembre 1870, senza parlare di alcune diecine di migliaia di ebrei assassinati dalla Inquisizione nella sola Spagna.Come risposta a chi ha avuto l’ardire di parlare dei Papi come i generosi e costanti benefattori degli ebrei, ricordiamo: 1) Divieto di matrimonio e di rapporto sessuale fra cristiani ed ebrei (Sinodo di Elvira – anno 306); 2) Divieto di consumo di cibi per ebrei e cristiani (Sinodo di Elvira – Anno 306); 3) Non è permesso agli ebrei di rivestire funzioni pubbliche (Sinodo di Clermont – anno 535); 4) Non è permesso agli ebrei di tenere a servizio serve o schiavi cristiani (3° Sinodo di Orleans – anno 538); 5) Agli ebrei non è permesso di farsi vedere nelle vie durante la settimana santa (3° Sinodo di Orleans – anno 538); 6) Bruciatura del Talmud e di altri scritti ebraici (Sinodo di Toledo – anno 681); 7) È vietato ai cristiani di consultare medici ebrei (Sinodo di Narbonne – anno 1050); 8) Come i cristiani, gli ebrei debbono pagare la decima alla Chiesa (Sinodo di Gerona – anno 1078); 9) Gli ebrei non hanno il diritto di accusare i cristiani (3° Concilio Lateranense – anno 1179); 10) Gli ebrei debbono portare un distintivo sugli abiti (4° Concilio Lateranense – anno 1215); 11) Divieto di costruire sinagoghe (Concilio di Oxford – anno 1222); 12) Gli ebrei hanno il diritto di abitare solo nei quartieri ebraici (Sinodo di Braslavia – anno 1267); 13) La conversione di un cristiano all’ebraismo o di un ritorno di un ebreo battezzato alla sua religione precedente, vanno trattati come una eresia (Sinodo di Mainz – anno 1310). E poi Granada, quando nel 1492 gli ebrei vengono cacciati dalla cattolicissima Spagna, e nacque anche la “Santa” Inquisizione.Perchè il più grande delitto di fronte alla umanità è quello di dimenticare le leggi razziali del fascismo – molto si è scritto su questa infamia. Ma vi è una altra infamia altrettanto criminale verso gli ebrei ed è quella di Stalin che aveva programmato lo sterminio degli ebrei russi nel 1958 e solo la sua morte impedì il massacro. Tutto era già pronto: dai carri bestiame per trasportarli in massa in Siberia. Ma gli ebrei in Russia avevano già avuto molti colpi terribili. Il primo, ma di proporzioni limitate al tempo della collettivizzazione dell’agricoltura contro i piccoli proprietari terrieri che si opponevano; un altro colpo e questa volta terribile gli ebrei russi lo ebbero nel periodo del terrore (dagli anni 30 agli anni 40) con stragi, uccisioni e deportazioni in massa. Negli anni 1937/38 fu aggredita la cultura ebraica con la chiusura delle scuole e delle Accademie ebraiche; ma gli anni dell’ultimo dopoguerra furono per gli ebrei ancora più tristi di quelli degli anni del terrore. Stalin cominciò a pensare a loro come agenti del sionismo americano e complici di una cospirazione giudaica mondiale del capitalismo e del sionismo situata a Wall Street contro la Russia del Soviet. Vennero chiusi tutti i teatri ebraici, vietato l’insegnamento, le sinagoghe lasciate andare in rovina e i giornali aboliti. Nel 1953 la Pravda riportò in prima pagina la notizia dell’arresto di medici ebrei sabotatori e questo dette spunto alla soluzione finale progettata da Stalin.Con la fine del nazifascismo e del comunismo è terminato il “complotto giudaico-massonico? Pensiamo proprio di no. Nel 1970 un noto politico per una crisi di governo che attraversava l’Italia ne dette la responsabilità ad una congiura ebraica e massonica. Anni fa un cardinale inveendo contro gli assassini del giudice Giovanni Falcone dichiarò che era stato ucciso “non da membri della Comunità di Dio, ma dai figli della Sinagoga di Satana” così ha chiamato la mafia. Gli ebrei e tutte le persone per bene sono insorte. Si disse, a mò di scusa, che la frase “Sinagoga di Satana” veniva da una “traduzione infelice” di una citazione dell’apocalisse. Polemiche, discussioni, scuse.E poi il caso “Kurt Waldheim” sul quale pesano gravissime e fondati sospetti di crimini di guerra in Grecia e in Jugoslavia; questo personaggio nel 1987 fu ricevuto da Papa Karol Woityla e nel luglio del 1994 insignito della onorificenza pontificia dell’ordine di Pio IX e quale ironia l’onorificenza gli è stata data per l’impegno da lui dimostrato “per la salvaguardia dei diritti umani”. Dopo la protesta di Israele che ha definito la concessione dell’onorificenza un “insulto all’Olocausto” come ha risposto il Vaticano? Conferendo una onorificenza anche alla moglie di Kurt Waldheim. Articolisti cattolici non hanno perso l’occasione per scrivere che gli ebrei hanno molto forte lo spirito della vendetta, mentre i cattolici hanno la cultura del perdono.Oggi, si dice, che i tempi sono cambiati e che il passato non potrà più tornare; io nutro seri dubbi. Non a caso tempo fa a Roma sono apparse le scritte “Morte ai giudei” intrecciate con altre scritte “morte ai massoni”. Per non parlare della guerra del Golfo di molti anni fa e di quella più recente dell’Iraq, quando si è ripetutamente detto e scritto che la guerra era voluto dalla massoneria e dall’ebraismo mondiale. In tutta l’Europa da mesi si sono intensificate le violenze contro gli ebrei. Non vorrei che un giorno svegliandomi, possa sentire le note di una lugubre canzone, cantata dalle Camicie Brune di Hitler dalla quale ha preso nome l’infame eccidio del 30 giugno 1934: “Affilate i lunghi coltelli sulle pietre del marciapiede/ Fate scivolare i coltelli nella pancia degli ebrei!/ Il sangue deve scorrere in grande quantità / noi cagheremo sulla libertà della repubblica ebrea. / Appena arriva l’ora della vendetta / Noi siamo pronti a qualsiasi massacro / Su, su, gli Hohenzollen ai lampioni! / che i cani penzolino sino a quando cadranno giù! / Il sangue deve scorrere... / Nella Sinagoga appendete un maiale nero. /Nei Parlamenti gettate una bomba a mano! / Il sangue deve scorrere... / Strappate la concubina dal letto principesco / ingrassate la ghigliottina con il grasso dei giudei! / Il sangue deve scorrere....”. È una canzone del 1934: cinque anni prima che scoppiasse il conflitto mondiale…

http://www.avanti.it/index.php/tempo-reale/93-l-avanti-in-edicola/6008-allarme-antisemitismo-torna-il-complotto-giudaico-massonico-di-aldo-chiarle.html

I CRISTIANI NEL MONDO-DALLA LETTERA A DIOGNETO

I CRISTIANI NEL MONDO



Dalla «Lettera a Diogneto» (Capp. 5-6; Funk, pp. 397-401)

I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano.
Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni partita è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi.
Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia.
Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati ignominiosamente e ricambiano con l'onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. I giudei fanno loro guerra, come a gente straniera, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia.
In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile.
La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri sensuali; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male.
Sebbene ne sia odiata, l'anima ama la carne e le sue membra, così anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo. L'anima immortale abita in una tenda mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l'incorruttibilità celeste.
L'anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare.





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San Paolo, grandioso testimone della divinità di Cristo


CRISTIANESIMO/ San Paolo, grandioso testimone della divinità di Cristo
INT.
Rainer Riesner
martedì 12 maggio 2009


Rainer Riesner, su invito del Centro Culturale di Milano, ha tenuto mercoledì scorso un’affollata conferenza su san Paolo nell’Aula Magna dell’Università Cattolica. Ha tutte le competenze per parlare di questo argomento, essendo uno dei massimi studiosi protestanti del cristianesimo primitivo e docente di Nuovo Testamento a Dortmund.



Professor Riesner, san Paolo è un apostolo o un fondatore?



L’apostolo Paolo è assolutamente decisivo per l’evangelizzazione del mondo antico. Ma egli stesso avrebbe fortemente protestato se lo si fosse chiamato “fondatore” di qualcosa. La sua continuità con Gesù Cristo è un dato acclarato e indiscutibile. Gli si è applicata la categoria di “fondatore” per metterlo in contrasto con Gesù.



Come è avvenuto?



Tutto è iniziato nel diciannovesimo secolo. Si è voluto contrapporre l’etica semplice, amichevole di Gesù da un lato e, dall’altro, Paolo con la sua teologia, cristologia e soteriologia complicate. Gesù diventava così un mero maestro e profeta giudeo e Paolo sarebbe stato il responsabile di una successiva divinizzazione di Gesù, operata attraverso teorie tratte dal paganesimo. Il risultato di questa posizione è fin troppo chiaro: per riferirci autenticamente a Gesù, dobbiamo alleggerirci di tutta la dogmatica, che sarebbe un portato paolino.



Finendo così per negare la divinità di Gesù. Ma, dunque, il Paolo vero chi è?



Anzitutto è importante tener presente la sua origine ebraica. A Paolo sono familiari tutte le tradizioni e le categorie dell’Antico Testamento. A questo proposito è decisiva una questione biografica. Tutti gli studiosi sono concordi sulla provenienza di Paolo da Tarso. Per quanto riguarda la gioventù di Paolo vi sono però due posizioni. La prima – cui convintamente aderisco – afferma che Paolo proviene da una devota famiglia di farisei, che lo ha inviato fin da giovane a Gerusalemme per studiare l’Antico Testamento. L’altra posizione vuole dimostrare il condizionamento di Paolo da parte del pensiero pagano dicendo che egli ha vissuto a lungo in Tarso, centro dove le religioni pagane erano parecchio diffuse. Rimane comunque il fatto che l’indubbia adesione di Paolo all’ebraismo rende necessario spiegare come mai, immediatamente dopo la caduta sulla via di Damasco, un ebreo possa affermare la divinità di una persona umana.



Paolo infatti “incontra” Cristo sulla via di Damasco. Come l’esegesi spiega il fatto accaduto quel giorno? Di che tipo di incontro si tratta?



La domanda è interessantissima. Facciamo un passo indietro. Sappiamo che Paolo ha perseguitato la prima comunità di Gerusalemme. Le fonti sono concordi nel datare la caduta da cavallo a un anno e mezzo di distanza dall’Ascensione. Inoltre Paolo stesso – lo apprendiamo dagli Atti degli Apostoli – dice di avere studiato a Gerusalemme. Il lasso di tempo è strettissimo: Paolo a Gerusalemme, Gesù per l’ultima volta a Gerusalemme, l’incontro sulla via di Damasco. Io ritengo possibile che Paolo abbia conosciuto personalmente Gesù a Gerusalemme: non come discepolo, ma come abitante della città. E certamente era a conoscenza di cosa gli apostoli testimoniassero riguardo la Sua risurrezione; era proprio quello il motivo per cui li perseguitava! Dirò di più: per Paolo la prova schiacciante della falsità messianica di Gesù consisteva proprio nella morte in croce.



Poi dirà: «Non conosco altro che Cristo, e Cristo crocifisso».



Nel terzo capitolo della lettera ai Galati si vede perfettamente la sua precedente opinione su Gesù, laddove dice: «Maledetto colui che pende dal legno della croce». Dopo la conversione – attenzione! – continua a condividere questa frase, ma le dà un significato molto più profondo: Cristo è effettivamente maledetto, ma non per Sua colpa, bensì per la salvezza degli uomini.

La domanda centrale è dunque: come è potuto avvenire un cambiamento simile? Anzitutto ce lo dice Paolo stesso. Dopo quel giorno sulla via di Damasco egli non ha più alcun dubbio: Gesù è Figlio di Dio. Nella Seconda Lettera ai Corinzi Paolo descrive l’avvenimento nel quale ha incontrato Cristo e parla della luce divina, cioè egli attribuisce a quell’apparizione le caratteristiche che gli ebrei riservavano alle manifestazioni di Dio (come, per esempio, quella sul Sinai). Nell’avvenimento sulla via di Damasco Paolo ha visto una persona – Gesù Cristo – manifestarsi nella gloria divina. La mia personale ipotesi è che Paolo abbia avuto una visione di Cristo crocifisso. Così è ancora più evidente il contenuto del suo annuncio: quel Gesù crocifisso è contemporaneamente e inscindibilmente il Signore della gloria. E si ricordi che quando Paolo parla di gloria – la doxa – pensa sempre e solo a quella divina.



Era impensabile che un devoto ebreo si inventasse una cosa del genere?



Sì, dev’essere successo qualcosa. Non è un caso che nella esegesi anglofona più avanzata si riconosca che la divinità di Cristo è un’esperienza dei testimoni di Gesù (e, dunque, non qualcosa aggiunto posteriormente). Essi non possedevano le premesse culturali e intellettuali per inventarsi una cosa simile, dunque devono aver fatto esperienza di qualcosa al di fuori di loro.



Si sta concludendo l’anno di celebrazioni per il bimillenario della nascita di san Paolo, quale ritiene sia il suo insegnamento più urgente per noi?



La missione. La passione di Paolo è stata quella di portare il fatto di Cristo in tutto il mondo. Ciò implica due cose. La prima è la certezza su chi sia Cristo; Paolo risponde: la manifestazione definitiva di Dio per tutti. La seconda è l’apertura a tutto il mondo; Paolo conosceva solo un mondo che finiva in Spagna e voleva portare l’annuncio fin là, ma certo non se ne avrebbe a male se noi andassimo in terre di cui egli ignorava l’esistenza.

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=20159

L’ebreo che spiega Gesù alla Chiesa

12 Maggio 2009
L’ebreo che spiega Gesù alla Chiesa
Il paradosso di Jacob Neusner, il rabbino che prendendo le parti dei farisei ha «aperto gli occhi» a Benedetto XVI sulla grandiosa pretesa di Cristo

di Luigi Amicone
Jacob Neusner è considerato il più grande specialista vivente di letteratura rabbinica antica. Ha scritto un libro su Gesù e ha benedetto il viaggio che il Papa sta compiendo in Terra Santa. Perché? «Perché mi piacciono i cristiani e perché rispetto il cristianesimo». Tutto qui? Sosteneva Kieerkegaard che Gesù di Nazareth e la sua pretesa di aver portato il cielo sulla terra, di essere Dio stesso in terra, «è l’unico caso serio della storia». Perciò «tu devi prendere posizione di fronte a Cristo». Neusner è uno dei pochi contemporanei a farlo davvero. La sua posizione, raggiunta dopo la frequentazione di Gesù nel vangelo di Matteo, è sorprendente? Nient’affatto. Il rabbino non si converte a Cristo, non lo segue e continua a stare “con i farisei”. Perché? Perché Cristo si è detto signore del sabato. Perché ha identificato se stesso con la Torah. Perché Gesù ha chiamato i suoi discepoli in prima persona e si è appellato alla libertà di un “io” invece che al “noi” dell’Eterno Israele. Perché, infine, ha la pretesa “impressionante” e “sbalorditiva”, «egli e i suoi discepoli», di aver «preso il posto dei sacerdoti nel tempio; il luogo santo è cambiato e si identifica con il gruppo formato da Gesù e dai suoi discepoli». E allora dove sta l’originalità dell’ebreo che capisce che «l’alternativa è tra: “Ricordati di santificare il sabato” e “Il Figlio dell’uomo è il signore del sabato”. Non possiamo scegliere entrambi»? Dove sta l’interesse della constatazione che «la Torah sta in un mondo, Cristo in un altro»? Intanto originalità e interesse stanno nella conferma della serietà e gravità del “caso”. Come annota Neusner, non si tratta di parole o di idee. Si tratta di un avvenimento e di una persona. «Comprendo, infatti, che solo Dio può esigere da me quello che sta chiedendo Gesù». «Noi comprendiamo adesso che alla fine c’è proprio la figura di Gesù e non tanto i suoi insegnamenti».
Riepilogando. È giunto alla sua terza edizione italiana Un rabbino parla con Gesù (San Paolo), libro doppiamente straordinario. In primo luogo perché riesce nell’impresa di portare il dialogo ebraico-cristiano oltre le secche della discussione storica e teologica offrendoci una testimonianza limpida e persuasiva di cosa sia un’esperienza viva di ebraismo (mentre, sostiene Neusner, «a parte poche sorgenti di ortodossia l’ebraismo rappresenta oggi in Europa una religione morta»). La seconda ragione di straordinarietà sta nella interpretazione-recensione che dell’approccio a Gesù secondo Neusner ha dato niente meno che il papa Benedetto XVI. Il quale, nel suo Gesù di Nazaret, segnala il volume del rabbino americano così: «Il grande erudito ebreo Jacob Neusner in un importante libro si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù intitolato A Rabbi Talks with Jesus (Un rabbino parla con Gesù). Questa disputa condotta con rispetto e franchezza tra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più di altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo». Non vi sembrano sconcertanti le parole del Santo Padre? «Mi ha aperto gli occhi». Ma la figura del Nazareno non dovrebbe essere la specialità bimillenaria (oltre che la “ragione sociale”) delle Chiese cristiane? Dunque quale sarebbe il segreto che renderebbe così speciale l’approccio di Neusner, come lascia intendere addirittura il Pontefice? Cosa del Gesù visto da un ebreo osservante ha entusiasmato Benedetto XVI tanto da fargli mettere nero su bianco un giudizio così lusinghiero da corrodere implicitamente tanta apologetica cristiana – proprio lui, il Papa-teologo, il professore Ratzinger, l’ex prefetto del Sant’uffizio, il Defensor Fidei, il Vicario di Cristo? Come si spiega tanta accoglienza a una posizione che dichiara «senza scuse, senza inganno, senza infingimento» di voler «riaffermare semplicemente la Torah del Sinai sopra e contro il Gesù di Matteo»? Il segreto sta nel fatto che mentre a tutt’oggi prevale una riduzione del cristianesimo a interpretazione sentimentale o specialistica (almeno così sembra emergere in tanta omiletica chiesastica e nella pubblicistica-biada di massa che ci arride dalle vetrine delle librerie), con l’opera di Neusner torna in auge la “simpatia per l’oggetto” della disputa. Torna una ragione aperta alla considerazione del fenomeno Gesù così come esso si è presentato nella storia e nella testimonianza di chi gli ha voluto bene, non come si immagina che egli avrebbe dovuto essere o essersi presentato per tramite di chi lo ha conosciuto. Perciò il nostro rabbino immagina di mescolarsi tra la folla di discepoli, curiosi, ostili, semplice gente comune riunita alle pendici del monte presso il lago di Tiberiade per ascoltare “il discorso delle Beatitudini”. Egli interloquisce con Gesù seguendo come filo rosso il vangelo di Matteo, «il più “ebraico” dei vangeli», e mettendolo a confronto con la Torah.

Un vero maestro in Israele
Molti sono i punti di contatto ed è impossibile non riconoscere in Gesù un vero ebreo e un maestro in Israele. Il fatto è – pretesa pazzesca e inaccettabile da chi ritiene peraltro che «Mosè ha detto molto di più, stando sulla montagna» – che Egli identifica e riassume l’intera Torah nella sua persona. Insomma, ciò che oggi non è per niente scontato nelle Chiese cristiane, dove il Nazareno rischia di essere tramandato come un mito consolatorio, fermo alla “Parola” di un passato piuttosto esangue e anacronistico, per l’ebreo pio e osservante Jacob Neusner invece è una pretesa viva. Che va presa alla lettera, esattamente per quello che dice di essere. E cioè non una fonte di ispirazione morale, sociale, legislativa. Ma uno che reclama un “tu” e una sequela totalizzante.
Così, la domanda di ieri è la stessa di oggi, di sempre: «E voi, chi dite che io sia?». La domanda posta da Gesù è la stessa che sembra fare da sfondo alle folgoranti riflessioni, ai paragoni e alle conclusioni dell’ininterrotto dialogo che Neusner stabilisce nell’arco della sua narrazione tra il “maestro nazareno”, la Torah, i maestri, i saggi e i profeti dell’“Eterno Israele”. Ristabilendo così – paradossalmente, da parte di un rabbino – il metodo proprio del cristianesimo. Che non è anzitutto quello storico o spiritualistico, ma proprio quello personale di porsi con apertura e immaginazione davanti alla persona di Cristo, alla sua pretesa, alla sua logica, alla sua avventura umana.
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