mercoledì 29 aprile 2009

MO: anniversario Israele; Obama, lavorero' per pace e sicurezza


29 aprile 2009 - 07.36

MO: anniversario Israele; Obama, lavorero' per pace e sicurezza

WASHINGTON - Il presidente americano Barack Obama ha proclamato il suo impegno per la pace in Medio Oriente e per la sicurezza di Israele in un messaggio indirizzato agli israeliani in occasione della loro festa dell'Indipendenza.

Obama si è felicitato con il popolo e il governo israeliano, ha reso noto la Casa Bianca in un comunicato pubblicato nel momento in cui gli israeliani, martedì sera, cominciavano a celebrare la festa dell'Indipendenza nel 61/o anniversario della creazione dello Stato d'Israele.

La Casa Bianca ha ricordato che gli Stati Uniti sono stati i primi a riconoscere l'indipendenza dello Stato d'Israele qualche minuto dopo la sua proclamazione, "e i legami di profonda amicizia tra gli Stati Uniti e Israele restano sempre così forti e saldi", ha sottolineato.

"Il presidente intende cooperare con Israele nei mesi e negli anni a venire per servire i nostri interessi comuni, tra i quali una pace globale in Medio Oriente, la sicurezza d'Israele e il rafforzamento delle relazioni bilaterali", ha riferito la Casa Bianca .





http://www.swissinfo.ch/ita/rubriche/notizie_d_agenzia/MO_anniversario_Israele_Obama_lavorero_per_pace_e_sicurezza.html?siteSect=146&sid=10632478&cKey=1240983371000&ty=ti&positionT=3

Yom Hazikaron 27-28 Aprile 2009-Per non dmenticare


Morte di un giovane soldato, ...e la mamma



Morte di un giovane soldato, ...e la mamma
Questa storia e' molto seria e triste.
E' la storia di un caduto, un soldato morto. E' la storia di sua madre.
Non sempre un soldato muore eroicamente in battaglia, a
volte muore per sbaglio,o perfino stupidamente.....
Un soldato muore per colpi sbagliati dei suoi compagni.
La madre del soldato caduto, ha 4 figli, famiglia modesta,
lavora duro per guadagnare,
fa i mestieri nelle case altrui. Pochi soldi.
Da quando il figlio e' caduto, va a visitare la casarma
dove e' morto anche piu' di prima,
porta ai soldati da mangiare, un po di dolci, torte.
Arriva piena di sacchetti pieni di cibo.
e' una donna gia matura sui 60 anni. Il marito le corre
dietro a fatica, piu' vecchio e stanco.
Il Soldato e' caduto a causa due colpi di fucile sparati
per sbaglio da un soldato dello stesso colore.
La donna chiede di vedere il ragazzo.
"un ragazzo finito, disperato" dice il padre.
"era consumato dalla colpa, abbiamo temuto che si
volesse suicidare" aggiunge la madre.
La madre abbraccia il soldato che ha ucciso suo figlio
"capita, non e' colpa tua, sono cose che capitano nella guerra"
Il soldato dice " mi hanno salvato la vita....."
Il soldato va il venerdi' sera a cena dai genitori del soldato
ucciso, il venerdi sera gli ebrei celebrano il Sabato
con preghiere e canzoni. Il soldato che ha ucciso per sbaglio viene
trattato come un figlio dai genitori del soldato morto.
'L'ho abbracciato, ho sentito il calore di mio figlio,
il profumo di mio figlio" dice la madre.

Un giorno intero in Israele si sentono alla radio e si
vedono alla TV storie del genere.
Persone semplici, che non sanno spiegare a molto a parole,
ma che sono capaci di gesti
grandi come questo della MADRE.
Perfino io cinico e critico commentatore mi ritrovo a piangere
come un bambino.
La televisione inquadra tra il pubblico gente che piange
compita o senza ritegno,cosi si costruisce il patriotismo,
un ufficiale si butta su una granata per salvare col suo corpo
i suoi soldati. Giovane padre di tre bambini piccoli che
cresceranno sapendo che il padre e' un eroe....e le vedove
.....storie struggenti e amare di donne che vivono
di ricordi e solitudine...

Caduti eroismo sentimenti patria Israele.
http://israelediversa.ilcannocchiale.it/

SHOAH-LETTERA DI UN RAGAZZO NEL LAGER DI PUSTKOW


Miei cari genitori...addio





Lettera scritta in yiddish da un ragazzo di 14 anni nel campo di concentramento di Pustkow.







Miei cari genitori,


se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me.
Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe… Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra (ci hanno portato via anche i nostri mantelli).
Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno e il mio corpo è pieno di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna: ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia.
L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato… Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo di qui. Dico addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei fratelli, e piango…



http://www.majorana.org/progetti/shoah/sommario.htm

Shoah - Poesie dei bambini del ghetto di Terezin


Shoah - Poesie dei bambini del ghetto di Terezin



Una macchia di sporco dentro sudicie mura
e tutt´attorno il filo spinato
30.000 ci dormono...
Sono stato bambino tre anni fa.
Allora sognavo altri mondi.
Ora non sono più un bambino,
ho visto gli incendi
e troppo presto sono diventato grande.
Ho conosciuto la paura,
le parole di sangue, i giorni assassinati...


Alla luce di una candela m´addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno...
Hanus Hachenburg, da Vedem, settembre 1944

Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria.
...
Quattro anni dentro a una palude
in attesa che irrompa un´acqua pura.
Ma le acque dei fiumi scorrono in altri letti,
sia che tu muoia o che tu viva.




I bambini rubano il pane e chiedono soltanto
di dormire, di tacere e ancora di dormire...
Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria...
Mif, 1944

È piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino:
un bambino grazioso
come il bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà.
Franta Brass, nato a Brno il 14.9.1930
morto ad Auschwitz il 28.10.1944



La farfalla
L´ultima, proprio l´ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
- così gialla, così gialla! -
l´ultima,
volava in alto leggera
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà la mia settima settimana
di ghetto...
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell´altra volta fu l´ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
Pavel Friedmann, da Vedem, 4.6.1942

Vorrei andare sola
dove c´è un´altra gente migliore
in qualche posto sconosciuto
dove nessuno più uccide.
Ma forse ci andremo in tanti
verso questo sogno,
in mille forse
e perché non subito?
Alena Synkovà
...

Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e conoscenza...

Polifonie di sguardi
Presentazione e calendario eventi...

Istituto Comprensivo "Aldo Moro" e Comune di Calcinate
22-31 gennaio 2006





http://www.iccalcinate.it/shoah.php?oper=documento&id=14

SHOAH-VITA NEI LAGER


Vita nei lager





Le persone deportate nei campi di concentramento erano sottoposte a condizioni proibitive: la sottile casacca carceraria non proteggeva gli internati dal freddo; i cambi di biancheria si succedevano ad intervalli pluri-settimanali e persino mensili, e gli internati non avevano la possibilità di lavarla. Ciò era causa di diffusione di epidemie e di diverse malattie, in particolare del tifo, della febbre tifoidea e della scabbia.

Molti malati non venivano accettati in ospedale per il troppo affollamento; in tale situazione i medici delle SS conducevano periodicamente delle selezioni, sia tra i malati ed i convalescenti in ospedale, sia tra gli internati alloggiati in altri blocchi. I più deboli e coloro che non davano speranze di pronta guarigione erano portati nelle camere a gas, oppure soppressi in ospedale con iniezioni di fenolo al cuore. Per questo motivo i detenuti avevano soprannominato l'ospedale ‘anticamera del crematorio’.

Oltre alle esecuzioni ed alle camere a gas, un efficace mezzo di sterminio era il lavoro. I detenuti erano utilizzati in diversi settori lavorativi. Inizialmente lavoravano all'ampliamento del campo di concentramento livellando il terreno, costruendo nuovi blocchi e baracche, strade, canali di prosciugamento. Successivamente cominciò a far sempre più uso di detenuti, quale manodopera a basso costo, l'industria del III Reich. Durante il ritorno al campo delle squadre di lavoro, i morti ed i feriti venivano trascinati, trasportati su carriole e su carri.

Il primato nell'occupazione dei detenuti spetta al gruppo industriale tedesco IG-Farbenindustrie che costruì a Monowice, vicino a Oswiecim, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica e la raffinazione della benzina: la Buna-Werke.

Le condizioni abitative, sebbene differenti nei vari periodi di esistenza del campo, furono sempre disastrose. I detenuti arrivati con i primi convogli dormivano sulla paglia sparsa sul pavimento di cemento, successivamente si usarono pagliericci.

A seconda dei motivi dell'arresto i detenuti erano contrassegnati da triangoli di diverso colore, cuciti sulle casacche degli internati insieme al numero di matricola. Una parte degli internati portava triangoli di colore rosso assegnato ai prigionieri politici. I triangoli neri erano destinati agli zingari ed ai detenuti ritenuti asociali dai nazisti. Agli studiosi delle Sacre Scritture erano destinati dei triangoli viola, agli omosessuali rosa ed ai criminali verdi.

Il valore energetico della razione quotidiana di un detenuto nel campo era di circa 1300 - 1700 calorie. A colazione il detenuto riceveva circa mezzo litro di caffè, ovvero un decotto di erbe; a pranzo circa un litro di minestra senza carne, spesso con verdure avariate. La cena consisteva in circa 300 - 350 grammi di pane nero duro come pietra, in quantità irrisorie di un altro alimento e da una bevanda d'erbe. Il lavoro pesante e la fame causavano l'esaurimento totale dell'organismo. La carenza di alimenti sufficienti portava spesso alla morte per fame. Alcune fotografie scattate dopo la liberazione del campo, mostrano detenute divenute quasi cadaveri e con un peso variabile dai 23 ai 35 Kg.



A tal riguardo è utile riportare la giornata tipo di un detenuto del campo di Mauthausen.

In estate, la sveglia avveniva da Lunedì a Sabato, alle 4.45. Alle 5.15 si effettuava l’appello. Le ore lavorative: dalle 6 alle 12 e dalle 13 alle 19. fra le 12 e le 13 vi era la pausa meridiana che comprendeva la marcia per raggiungere il campo dal posto di lavoro, quella del ritorno e l’appello per certe squadre che lavoravano nella zona del campo. Dopo le 19 vi era un altro appello e il rancio. Alla domenica lavoravano soltanto alcune squadre addette all’industria bellica ed i prigionieri che erano in punizione. In inverno la sveglia avveniva alle 5.15; l’inizio e la cessazione del lavoro nella cava di pietra dipendeva dalla durata della luce del giorno. Nell’industria bellica il puro lavoro era di 11 ore giornaliere.







http://www.majorana.org/progetti/shoah/sommario.htm

lunedì 27 aprile 2009

Moked 2009 (Milano Marittima, 30 aprile - 3 maggio 2009)


Moked 2009 (Milano Marittima, 30 aprile - 3 maggio 2009)
Mokèd primaverile 5769 - “Educazione ebraica: conosciamo la rotta?”

Il Mokèd primaverile 5769 “ Educazione ebraica: conosciamo la rotta?” si svolgerà a Milano Marittima dal 30 aprile al 3 maggio 2009 – 6-9 Iyar 5769. Da diversi anni il Mokèd costituisce un’occasione unica, per singoli e per famiglie, di trascorrere un fine-settimana in un’atmosfera ebraica piacevole e ricca di stimoli.
Leggere qui le informazioni.



http://www.comunitadibologna.it/images/attivita/mima2009.jpg

Yom Hazikaron 27-28 Aprile 2009

Yom Hazikaron 27-28 Aprile 2009
(Giorno della Memoria dei Caduti delle Guerre di Israele)



Yom Hazikaron è il giorno della memoria dei caduti in guerra e delle vittime del terrorismo, e si celebra ogni anno al 4o giorno di Iyar, tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, una settimana dopo Yom Hasho'a, il giorno della Memoria dell'Olocausto, e due settimane dopo Pesach. E' dedicato a tutti i caduti in battaglia, dai soldati, ai membri delle forze di sicurezza, ai caduti dei movimenti clandestini precedenti la fondazione di Israele, alle vittime del terrorismo. Yom Hazikaron venne decretato per legge nel 1963, ma la consuetudine della celebrazione in questa data risale al 1951, fissando il legame tra il giorno dell'Indipendenza e tutti coloro che, per ottenere e mantenere questa indipendenza, sacrificarono la propria vita.


La giornata inizia la sera del 4o giorno di Iyar e termina la sera successiva, con l'apertura delle celebrazioni del Giorno dell'Indipendenza. Per legge, ogni luogo di divertimento rimane chiuso, le cerimonie commemorative si svolgono in tutto il paese e le bandiere vengono abbassate a mezz'asta. Una sirena risuona alla vigilia di Yom Hazikaron, alle 8, poi di nuovo la mattina seguente, alle 11, e durante il suono è consuetudine rimanere in silenzio. Le celebrazioni si svolgono nei centri cittadini, nei pubblici edifici e nei cimiteri, e i programmi radiotelevisivi sono dedicati al tema della giornata.



Consuetudini



In Israele è difficile che qualcuno non abbia perso un familiare, un amico o un conoscente in una delle guerre subite dal paese, per questo motivo Yom Hazikaron è un giorno particolarmente significativo per tutti. Sono in molti a partecipare alle celebrazioni, e i familiari dei caduti si recano a visitare i cimiteri militari.



Informazioni importanti



Yom Hazikaron non è una festività, e tutte le attività che non riguardano intrattenimento e ricreazione si svolgono regolarmente, ma è sempre consigliabile informarsi anticipatamente se un luogo specifico sia aperto. In ogni caso, la particolare atmosfera di lutto è percepibile in ogni strada.



http://www.israele-turismo.it/Tourism_Ita/Tourist+Information/Discover+Israel/Holidays/Yom+Hazikaron.htm

Discorso del rabbino per Yom Haatzmaut 2008


Discorso del rabbino per Yom Haatzmaut 2008
“Nel tornare oh Signore gli scampati di Sion, eravamo come sognatori, dunque si riempì la nostra bocca di gioia e la nostra lingua di giubilo…”

Questo salmo che abbiamo recitato e che viene recitato nei momenti più solenni, da millenni accompagna il popolo ebraico.
Proprio come dice il testo, “ha zore’im be-dim’à be rinnà ikzoru” “coloro che seminano piangendo, raccolgono con il canto e la gioia” così è accaduto a coloro che, miracolosamente scampati alla barbara sorte toccata ai loro famigliari e ai figli dello stesso popolo, dei campi di sterminio nazisti, trovarono rifugio e calore nella terra promessa ai Patriarchi e di lì a poco sarebbe divenuta la tanto anelata Terra di Israele.

La liberazione dal regime nazifascista che aveva riportato fra le nazioni europee un po’di pace e tranquillità vedeva le forze che avevano combattuto per la libertà impegnate a ripristinare fra la gente un modo di vita degno di quel nome. La città di Bologna stessa, assistendo alla liberazione anche da parte della Brigata Ebraica –che univa le sue forze a quelle cittadine- ritrovò la strada per ricostruire tutto ciò che la guerra aveva distrutto fisicamente e moralmente.
Era sì un sogno, ma un sogno che in poco tempo si sarebbe tramutato in una triste realtà; infatti, immediatamente dopo il riconoscimento dalla maggior parte delle Nazioni Unite, Israele si trovava a sostenere troppe guerre contro popolazioni ben più armate di lei.

Oggi lo Stato di Israele compie sessanta anni e nonostante ciò, il pericolo per questo Stato è ancora in agguato:
- un pericolo fisico: a causa dei continui lanci di missili da parte dei territori confinanti e di quei continui attentati a innocenti civili, in ogni momento ed in ogni luogo di abituale frequentazione.
- un pericolo psicologico: a causa delle violenti critiche di una parte del mondo, che non riesce a comprendere quale sforzo abnorme Israele stia facendo per ottenere un po’ di pace e tranquillità, considerati da tutti un inequivocabile diritto alla vita di ogni suo abitante.

In questi ultimi giorni, si sta assistendo a qualcosa che danneggia Israele ancor più di una guerra vera e propria.
In occasione del suo sessantesimo anno, Israele è stata dichiarata “ospite d’onore” alla Fiera del Libro di Torino e per questo motivo vi è da parte di una grossa fetta di estremismo politico, un atteggiamento di ostilità, non solo nei suoi confronti, ma anche nei confronti di tutti coloro che riconoscono in questo evento uno spiraglio di luce verso quella zona martoriata dai conflitti.

A proposito di ciò, un plauso particolare va alla città di Bologna che, attraverso le sue istituzioni culturali, in particolare il suo Ateneo, non ha permesso una manifestazione ufficiale di boicottaggio da parte di coloro che nutrono sentimenti di odio non solo nei confronti di Israele, ma e soprattutto della cultura, la quale non ha e non deve avere nessuna religione, nessuna razza ma deve essere un diritto ed un dovere per ogni cittadino libero!

Il popolo ebraico nel corso della sua storia plurimillenaria è stato definito da tutti “‘am ha sefer” il popolo del libro, proprio per la sua devozione allo studio e per la dedizione alla cultura.
Nel corso dei secoli, lo studio per noi ebrei, ha rappresento il mezzo fondamentale alla vita ed alla sopravvivenza in mezzo alle civiltà che ci hanno ospitati e circondati. Esso è stato il modo per poter esprimere la propria condizione di vita e portarne arricchimento ed esperienza. La Torà considerata la base della nostra cultura e del nostro credo - considerato fondamentale per comprendere il concetto di libertà - anche nel testo manoscritto, particolarmente sacro e riposto nell’Arca di ogni Sinagoga, viene indicato semplicemente con il termine SEFER- LIBRO.

Boicottare ciò equivale a boicottare la libertà di ogni uomo.

Le manifestazioni fatte in questi ultimi anni, a favore delle pace, soprattutto in Medio Oriente, sono state in gran parte un segno tangibile di intolleranza nei confronti di Israele e più volte abbiamo assistito all’atroce cerimonia delle bandiere bruciate, che si è ripetuta anche in occasione della manifestazione del 1° Maggio, data che simboleggia un alto valore di civiltà e rispetto nei confronti di ogni essere umano.
Anche nella nostra Regione e più precisamente nella città di Modena, episodi simili hanno intaccato, il sempre vivo rapporto di integrazione e di rispetto nel corso di centinaia di anni, fra la Comunità ebraica locale e gli abitanti della città.
Episodi simili, non servono ad aprire uno spiraglio di luce per la convivenza pacifica fra esseri umani, ma contribuiscono alla sempre più forte spaccatura in nome di un ideale che non c’è.

Il numero sei nella tradizione ebraica corrisponde all’ultimo sforzo prima del grande riposo: nel testo della Genesi, a proposito della Creazione del mondo è narrato che il Signore creò il mondo in sei giorni e poi al settimo si riposò, istituendo così lo Shabbat che è il giorno del riposo assoluto all’insegna della valorizzazione dell’opera di ogni essere vivente: umano ed animale.
Il sesto anno doveva completarsi il lavoro della terra ed al settimo tutto doveva essere lasciato incolto poiché anche il terreno aveva il diritto al riposo.

Sessanta è un multiplo di sei, è il sesto decennio di vita dello stato di Israele,che nonostante gli sforzi occorsi per la sua difesa, non si è sottratto al dovere morale civile e democratico di contribuire allo sviluppo ed al progresso in ogni campo ed in ogni settore della scienza, della tecnica e al bene dell’umanità tutta.

Per questo motivo ci auguriamo tutti che l’inizio di questo settimo decennio, Israele ed i suoi paesi confinanti possano finalmente trovare un’intesa vera, onesta e limpida per contribuire al bene di una pace salda e duratura fra esseri creati dallo stesso Essere a Sua immagine e somiglianza con lo scopo di portare su questo mondo una pace eterna.
http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=157

Yom HaShoah 5769 (20 aprile 2009)


Yom HaShoah 5769 (20 aprile 2009)
Yom HaShoah (יום השואה yom hash-sho’āh), o "Giornata del ricordo dell'Olocausto", ricorre il 27esimo giorno di Nissan, nel calendario ebraico. Si tiene ogni anno in ricordo dei 6 milioni di ebrei che furono uccisi durante l'Olocausto dai nazisti.

La riccorenza viene celebrata quest’anno il lunedì 20 aprile.
Per saperne di più, consigliamo il sito www.lager.it

Yom HaShoah in Israele
La giornata inizia in modo straziante. Di mattina una sirena percorre tutto il paese e per due minuti tutto si ferma. Autobus,macchine, chi cammina si ferma di colpo. Immobili, quasi sull'attenti, ognuno ricorda il passato con la sua immensa tragedia. Tutto il giorno è dedicato alla memoria di chi è scomparso nella Shoah. Nomi dei defunti vengono pronunciati uno dopo l'altro dai discendenti dei sopravvissuti nelle scuole, nei musei, nei luoghi pubblici. Israele ricorda e piange. (…) Ricordare perchè non accada mai più.
(Fonte: Informazione corretta).


Memoriale della Shoah a Parigi
All’occasione di Yom HaShoah, per il quarto anno consecutivo, viene effettuata la lettura dei nomi dei deportati ebrei di Francia davanti al Muro dei Nomi (76000 nomi).
Nel corso di una lettura pubblica senza interruzione durante 24 ore saranno pronunciati, uno a uno, i nomi di ogni uomo, donna, bambino deportato (dal 20 aprile 20.45 al 21 aprile 19.00).
Circa 200 persone, ex deportati, parenti, volontari, bambini, e altri leggeranno uno dopo l’altro, a partire dalle liste pubblicate nel Livre Memorial de la Déportation di Serge Klarsfeld, i nomi di “quelli di cui rimane soltanto il nome” (Simone Veil).
(per saperne di più, vedere il sito web http://www.memorialdelashoah.org)





http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=110

Yom ha-'atzmauth 5769 (29 aprile 2009)

Yom ha-'atzmauth 5769 (29 aprile 2009)


Yom Hatzmaut – 60 anni di indipendenza dello Stato di Israele
7 maggio 2008
Sinagoga di Bologna, Via Mario Finzi

Saluto di apertura – G. Ottolenghi (Presidente, Comunità Ebraica di Bologna)

Autorità, amici tutti, è con piacere ed emozione che rappresento i sentimenti di gioia e gli auspici di pace della nostra Comunità in questo 60mo anniversario dell’indipendenza dello Stato di Israele.

Dopo il mio breve intervento, sarò onorato di dare la parola al Signor Sindaco, Sergio Cofferrati, che ci porta il saluto della Città, al Presidente del MEB, Prof. Emilio Campos, con cui abbiamo organizzato varie iniziative questa settimana. Tra i principali eventi ricordo il concerto per pianoforte qui in sinagoga domenica prossima 11, alle 17:30, e l’inaugurazione della mostra di foto di Robert Capa, scattate in Israele nel 1948, al MEB mercoledì prossimo 14 alle 18. Chiuderà gli interventi il Rabbino Capo, Alberto Sermoneta.

Cosa rappresenta lo Stato di Israele per noi ebrei, e cosa rappresenta e per noi cittadini italiani ed europei, e per i nostri concittadini di altre convinzioni civili o religiose?

Ecco un’occasione che nuovamente ci incoraggia a porci domande sulla nostra identità. L’identità è una faccenda complicata se ci pensate: ognuno di noi coltiva al suo interno molteplici identità. Abbiamo idee politiche, religiose, passioni sportive e hobbistiche, un’ identità nazionale, e una di campanile, apparteniamo ad un gruppo professionale, e ad una classe sociale. Insomma non abbiamo un’identità unica, e accettare di farci definire da una identità unica favorisce l’integralismo.

Questo lo sa bene la cultura ebraica, dove forse più che altrove si coltiva la differenza di identità: non è davvero molto frequente sentir parlare di ebrei che si considerano identici fra loro. La vivacità delle discussioni e dei punti di vista, il rifiuto del pensiero unico, l’accettazione di una pluralità di identità consentono il confronto e l’arricchimento costante delle culture. Il mondo ebraico si è sempre confrontato e si confronta col mondo esterno, da esso impara e ad esso fornisce contributi di pensiero, di cultura e di etica. Il mondo ebraico ha sempre saputo convivere con altre culture e crede nei valori di libertà religiosa, uguaglianza e rispetto.

Nell’ambito di questo riconoscimento della pluralità dell’identità di ciascuno di noi, trova oggi posto nell’idea di sé di ogni ebreo un legame con Israele. Questo legame ha molte nature, può anche essere critico, può essere politico, può essere religioso, ma è essenziale.

Credo di poter dire con certezza che, anche nell’animo di chi ebreo non è, Israele occupa un posto significativo. La nostra storia europea e la nostra cultura non sono indifferenti a questo piccolo angolo del mondo, e in un modo o nell’altro tutti, almeno ogni tanto, guardiamo verso Gerusalemme. Israele produce musica e libri, danza e cinema, tecnologia e agricoltura, architettura e pensiero politico. Israele è una frontiera tra due mondi, un grande esperimento di integrazione di culture e di identità, e insieme è un luogo simbolico delle origini dell’etica e della religione. I valori che vanno sperimentandosi oggi in Israele affondano le loro radici in principi antichi e in speranze di pace e armonia che permeano la nostra cultura in Europa. Per questo nessuno di noi vi resta indifferente

In questo contesto penso alla Fiera del Libro che inaugura domani a Torino, e che dedica il posto d’onore alla letteratura Israeliana. Davanti ai suoi cancelli vi saranno persone che invocano la libertà per negare la libertà, e la cultura per negare la cultura, e che vorrebbero emarginare gli scrittori di Israele, così come in passato hanno tentato di emarginarne l’accademia o l’arte. Questo astio verso le idee impoverisce chi lo pratica.

Speriamo che Israele possa essere sempre un paese che dialoga con le altre nazioni, contribuendo con le sue idee alla creazione di tempi migliori, in pace e senza temere per la propria esistenza. Speriamo che le celebrazioni di questo anniversario si svolgano con gioia, secondo l’insegnamento di Abrabanel che a Pesach, la Pasqua ebraica, richiede che gettiamo una parte del nostro bicchiere di vino. Perché la nostra gioia non può essere piena se, anche senza nostra colpa, essa ha prodotto sofferenza ad altri.

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=119

sabato 11 aprile 2009

LA PASSIONE MORTE E RISURREZIONE DI GESU' IN SAN LUCA


STUDIO BIBLICO

LA PASSIONE MORTE E RISURREZIONE DI GESU' IN SAN LUCA

Vangelo secondo San Luca: 22,1-24,53

22
1Si avvicinava intanto la festa dei Pani non lievitati, detta anche la festa di Pasqua. 2Intanto i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge stavano cercando il modo di eliminare Gesù. Però avevano paura del popolo.
3Ma Satana entrò in Giuda, quello che era chiamato anche Iscariota, e apparteneva al gruppo dei dodici discepoli. 4Giuda andò dai capi dei sacerdoti e dalle guardie del Tempio, e con loro si mise d'accordo sul modo di aiutarli ad arrestare Gesù. 5Quindi furono molto contenti e furono d'accordo di dargli del denaro. 6Giuda accettò e si mise a cercare un'occasione per fare arrestare Gesù, lontano dalla folla.






Gesù fa preparare la cena pasquale
(vedi Matteo 26, 17-19; Marco 14, 12-16)
7Venne poi il giorno della festa dei Pani non lievitati, nel quale si doveva uccidere l'agnello pasquale. 8Gesù mandò avanti Pietro e Giovanni con questo incarico:
- Andate a preparare per noi la cena di Pasqua.
9Essi risposero:
- Dove vuoi che la prepariamo?
10Gesù disse:
- Quando entrerete in città incontrerete un uomo che porta una brocca d'acqua. Seguitelo fino alla casa dove entrerà. 11Poi direte al padrone di quella casa: Il Maestro desidera fare la cena pasquale con i suoi discepoli e ti chiede la sala. 12Egli vi mostrerà al piano superiore una sala grande con i tappeti. In quella sala preparate la cena.
13Pietro e Giovanni andarono, trovarono come aveva detto Gesù e prepararono la cena pasquale.

La Cena del Signore
(vedi Matteo 26,20.26-29; Marco 14,17.22-25; 1 Corinzi 11,23-25)
14Quando venne l'ora per la cena pasquale, Gesù si mise a tavola con i suoi apostoli. 15Poi disse loro: "Ho tanto desiderato fare questa cena pasquale con voi prima di soffrire. 16Vi assicuro che non celebrerò più la Pasqua, fino a quando non si realizzerà nel regno di Dio". 17Poi Gesù prese un calice, ringraziò Dio e disse: "Prendete questo calice e fatelo passare tra di voi. 18Vi assicuro che da questo momento non berrò più vino fino a quando non verrà il regno di Dio". 19Poi prese il pane, fece la preghiera di ringraziamento, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Questo è il mio corpo, che viene offerto per voi. Fate questo in memoria di me". 20Allo stesso modo, alla fine della cena, offrì loro il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza che Dio stabilisce per mezzo del mio sangue, offerto per voi".
21"Ma ecco: il mio traditore è qui a tavola con me. 22Il Figlio dell'uomo va incontro alla morte, come è stato stabilito per lui; ma guai a quell'uomo per mezzo del quale egli è tradito". 23Allora i discepoli di Gesù cominciarono a domandarsi gli uni con gli altri chi di loro stava per fare una cosa simile.

Chi è il più importante
(vedi Matteo 19,28; 20,20-28; Marco 10,35-45)
24Tra i discepoli sorse una discussione per stabilire chi tra essi doveva essere considerato il più importante. 25Ma Gesù disse loro:
- I re comandano sui loro popoli e quelli che hanno il potere si fanno chiamare benefattori del popolo. 26Voi però non dovete agire così! Anzi, chi tra voi è il più importate diventi come il più piccolo; chi comanda diventi come quello che serve. 27Secondo voi, chi è più importante: chi siede a tavola oppure chi sta a servire? Quello che siede a tavola, non vi pare? Eppure io sto in mezzo a voi come un servo. 28Voi siete quelli rimasti sempre con me, anche nelle mie prove. 29Ora, io vi faccio eredi di quel regno che Dio, mio Padre, ha dato a me. 30Quando comincerò a regnare, voi mangerete e berrete con me, alla mia tavola. E sederete su dodici troni per giudicare le dodici tribù del popolo d'Israele.

Gesù annunzia che Pietro lo rinnegherà
(vedi Matteo 26, 31-35; Marco 14, 27-31; Giovanni 13, 36-38)
31 - Simone, Simone, ascolta! Satana ha preteso di passarvi al vaglio, come si fa con il grano per pulirlo. 32Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, quando sarai tornato a me, da' forza ai tuoi fratelli.
33Allora Pietro gli disse:
- Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e persino alla morte.
34Ma Gesù rispose:
- Pietro, ascolta quel che ti dico: oggi, prima che il gallo canti, avrai dichiarato tre volte che non mi conosci.

La borsa, il sacco e la spada
35Poi Gesù disse ai suoi discepoli:
- Quando vi mandai senza soldi, senza bagagli e senza sandali, vi è mancato qualcosa?
Essi risposero:
- Niente!
36Allora Gesù disse:
- Ora però è diverso: chi ha dei soldi li prenda; così anche chi ha una borsa. E chi non ha una spada venda il suo mantello e se ne procuri una. 37Vi dico infatti che deve avverarsi per me quel che dice la Bibbia:
È stato messo tra i malfattori.
Ecco, quel che mi riguarda sta ormai per compiersi.
38Allora i discepoli dissero a Gesù:
- Signore, ecco qui due spade!
Ma Gesù rispose:
- Basta!




Gesù va verso il monte degli Ulivi a pregare
(vedi Matteo 26,30.36-46; Marco 14,26.32-42)
39Come faceva di solito, Gesù uscì e andò verso il monte degli Ulivi, e i suoi discepoli lo seguirono. 40Quando giunse sul posto disse loro: "Pregate per resistere nel momento della prova".
41Poi si allontanò da loro alcuni passi, si mise in ginocchio 42e pregò così: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice di dolore. Però non sia fatta la mia volontà, ma la tua". 43Allora dal cielo venne un angelo a Gesù per confortarlo; 44e in quel momento di grande tensione pregava più intensamente. Il suo sudore cadeva a terra come gocce di sangue.
45Quindi, dopo aver pregato, Gesù si alzò e andò verso i suoi discepoli. Li trovò addormentati, sfiniti per la tristezza 46e disse loro: "Perché dormite? Alzatevi e pregate per resistere nel momento della prova".

Gesù è arrestato
(vedi Matteo 26,47-56; Marco 14,43-50; Giovanni 18,3-12)
47Mentre Gesù ancora parlava con i discepoli, arrivò molta gente. Giuda, uno dei Dodici, faceva loro da guida. Si avvicinò a Gesù per baciarlo. 48Allora Gesù disse:
- Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell'uomo?
49Quelli che erano con Gesù, appena si accorsero di ciò che stava per accadere, dissero:
- Signore, usiamo la spada?
50E in quel momento uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro.
51Ma Gesù intervenne e disse:
- Lasciate, basta così!
Toccò l'orecchio di quel servo e lo guarì.
52Poi Gesù si rivolse ai capi dei sacerdoti, ai capi delle guardie del Tempio e alle altre autorità del popolo che erano venuti contro di lui e disse: "Siete venuti con spade e bastoni, come per arrestare un delinquente. 53Eppure io stavo ogni giorno con voi, nel Tempio, e non mi avete mai arrestato. Ma questa è l'ora vostra: ora si scatena il potere delle tenebre".

Pietro nega di conoscere Gesù
(vedi Matteo 26,57-58; Marco 14,53-54.66-72; Giovanni 18,13-18.25-27)
54Le guardie del Tempio arrestarono Gesù e lo portarono nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Alcuni accesero un fuoco in mezzo al cortile e si sedettero. Pietro si mise insieme a loro.
56Una serva lo vide là, seduto presso il fuoco, lo guardò bene e poi disse:
- Anche quest'uomo era con Gesù!
57Ma Pietro negò e disse:
- Donna, non so chi è!
58Poco dopo, un altro vedendo Pietro disse:
- Anche tu sei uno di quelli.
Ma Pietro dichiarò:
- Uomo, non sono io!
59Dopo circa un'ora, un altro affermò con insistenza:
- Sono sicuro: anche quest'uomo era con Gesù: infatti viene dalla Galilea.
60Ma Pietro protestò:
- Io non so quel che tu dici.
In quel momento, mentre Pietro ancora parlava, un gallo cantò.
61Il Signore si voltò verso Pietro e lo guardò. Pietro allora si ricordò di quel che il Signore gli aveva detto: "Oggi, prima che il gallo canti, avrai dichiarato tre volte che non mi conosci".
62Poi uscì fuori e pianse amaramente.

Gesù viene insultato e picchiato
(vedi Matteo 26, 67-68; Marco 14, 65)
63Intanto gli uomini che facevano la guardia a Gesù lo deridevano e lo maltrattavano. 64Gli bendarono gli occhi e gli domandavano: "Indovina! Chi ti ha picchiato?". 65E lanciavano contro di lui molti altri insulti.

Gesù davanti al tribunale ebraico
(vedi Matteo 26, 59-66; Marco 14, 55-64; Giovanni 18, 19-24)
66Appena fu giorno, si riunirono le autorità del popolo, i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge. Fecero condurre Gesù davanti al loro tribunale 67e gli dissero:
- Se tu sei il Messia, dillo apertamente a noi.
Ma Gesù rispose:
- Anche se lo dico voi non mi credete. 68Se invece vi faccio domande voi non mi rispondete. 69Ma d'ora in avanti il Figlio dell'uomo starà accanto a Dio Onnipotente.
70Tutti allora domandarono:
- Dunque, tu sei proprio il Figlio di Dio?
Gesù rispose loro:
- Voi stessi lo dite! Io lo sono!
71I capi allora conclusero: "Ormai non abbiamo più bisogno di prove! Noi stessi lo abbiamo udito direttamente dalla sua bocca".

23
1Tutta quell'assemblea si alzò e condussero Gesù da Pilato. 2Là, cominciarono ad accusarlo: "Quest'uomo noi lo abbiamo trovato mentre metteva in agitazione la nostra gente: non vuole che si paghino le tasse all'imperatore romano e pretende di essere il Messia-re promesso da Dio".
3Allora Pilato lo interrogò:
- Sei tu il re dei Giudei?
Gesù gli rispose:
- Tu lo dici!
4Pilato quindi si rivolse ai capi dei sacerdoti e alla folla e disse:
- Io non trovo alcun motivo per condannare quest'uomo.
5Ma quelli insistevano dicendo: "Egli crea disordine tra il popolo. Ha cominciato a diffondere le sue idee in Galilea; ora è arrivato fin qui e va predicando per tutta la Giudea".

Gesù davanti a Erode
(vedi Matteo 27,27-31; Marco 15,16-20; Giovanni 19,2-3)
6Quando Pilato udì questa accusa domandò se quell'uomo era galileo. 7Venne così a sapere che Gesù apparteneva al territorio governato da Erode. In quei giorni anche Erode si trovava a Gerusalemme: perciò Pilato ordinò che Gesù fosse portato da lui.
8Da molto tempo Erode desiderava vedere Gesù. Di lui aveva sentito dire molte cose e sperava di vederlo fare qualche miracolo. Perciò, quando vide Gesù davanti a sé, Erode fu molto contento. 9Lo interrogò con insistenza, ma Gesù non gli rispose nulla. 10Intanto i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge che erano presenti lo accusavano con rabbia. 11Anche Erode, insieme con i suoi soldati, insultò Gesù. Per scherzo gli mise addosso una veste splendida e lo rimandò da Pilato. 12Erode e Pilato erano sempre stati nemici tra di loro: quel giorno invece diventarono amici.

Gesù condannato a morte
(vedi Matteo 27, 15-26; Marco 15, 6-15; Giovanni 18, 38-19, 16)
13Pilato riunì i capi dei sacerdoti, altre autorità e il popolo, 14e disse loro:
- Voi mi avete portato qui quest'uomo come uno che mette disordine fra il popolo. Ebbene, ho esaminato il suo caso pubblicamente davanti a voi. Voi lo accusate di molte colpe, ma io non lo trovo colpevole di nulla. 15Anche Erode è dello stesso parere: tant'è vero che lo ha rimandato da noi senza condannarlo. Dunque, quest'uomo non ha fatto nulla che meriti la morte. 16Perciò lo farò flagellare e poi lo lascerò libero. ( 17)
18Ma tutti insieme si misero a gridare:
- A morte quest'uomo! Vogliamo libero Barabba!
19Barabba era stato messo in prigione perché aveva preso parte a una sommossa del popolo in città e aveva ucciso un uomo.
20Pilato parlò di nuovo ai presenti perché voleva liberare Gesù. 21Ma essi gridavano ancora più forte:
- In croce! In croce!
22Per la terza volta Pilato dichiarò:
- Ma che male ha fatto quest'uomo? Io non ho trovato in lui nessuna colpa che meriti la morte. Perciò lo farò frustare e poi lo lascerò libero.
23Essi però insistevano a gran voce nel chiedere che Gesù venisse crocifisso. Le loro grida diventarono sempre più forti.
24Alla fine Pilato decise di lasciar fare come volevano. 25Avevano chiesto la liberazione di Barabba, quello che era stato messo in prigione per sommossa e omicidio, e Pilato lo liberò. Invece consegnò loro Gesù perché ne facessero quello che volevano.

Gesù sulla via del Calvario
(vedi Matteo 27, 31-32; Marco 15, 20-21; Giovanni 19, 16-17)
26Presero Gesù e lo portarono via. Lungo la strada, fermarono un certo Simone, originario di Cirène, che tornava dai campi. Gli caricarono sulle spalle la croce e lo costrinsero a portarla dietro a Gesù.
27Erano in molti a seguire Gesù: una gran folla di popolo e un gruppo di donne che si battevano il petto e manifestavano il loro dolore per lui.
28Gesù si voltò verso di loro e disse: "Donne di Gerusalemme, non piangete per me. Piangete piuttosto per voi e per i vostri figli. 29Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le donne che non possono avere bambini, quelle che non hanno mai avuto figli e quelle che non ne hanno mai allattato.
30"Allora la gente comincerà a dire ai monti:
"Franate su di noi"
e alle colline: "Nascondeteci".
31Perché se si tratta così il legno verde, che ne sarà di quello secco?".

Gesù è inchiodato a una croce
(vedi Matteo 27, 33-44; Marco 15, 22-32; Giovanni 19, 18-27)
32Insieme con Gesù venivano condotti a morte anche due malfattori.
33Quando furono arrivati sul posto detto "luogo del Cranio", prima crocifissero Gesù e poi i due malfattori: uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra.
34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno". I soldati intanto si divisero le vesti di Gesù, tirandole a sorte.
35La gente stava a guardare. I capi del popolo invece si facevano beffe di Gesù e gli dicevano: "Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio". 36Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto 37e gli dicevano: "Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!".
38Sopra il capo di Gesù avevano messo un cartello con queste parole: "Quest'uomo è il re dei Giudei".

La preghiera di un malfattore
39I due malfattori intanto erano stati crocifissi con Gesù. Uno di loro, insultandolo, diceva:
- Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi.
40L'altro invece si mise a rimproverare il suo compagno e disse:
- Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? 41Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male.
42Poi aggiunse:
- Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno.
43Gesù gli rispose:
- Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso.

Gesù muore
(vedi Matteo 27, 45-56; Marco 15, 33-41; Giovanni 19, 28-30)
44Verso mezzogiorno si fece buio per tutta la regione fino alle tre del pomeriggio. 45Il sole si oscurò e il grande velo appeso nel Tempio si squarciò a metà. 46Allora Gesù gridò a gran voce: "Padre, nelle tue mani affido la mia vita". Dopo queste parole morì.
47L'ufficiale romano, vedendo quel che accadeva, rese gloria a Dio dicendo: "Egli era veramente un uomo giusto!". 48Anche quelli che erano venuti per vedere lo spettacolo, davanti a questi fatti se ne tornavano a casa battendosi il petto. 49Invece gli amici di Gesù e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea se ne stavano ad una certa distanza e osservavano tutto quel che accadeva.

Il corpo di Gesù è messo nella tomba
(vedi Matteo 27,57-61; Marco 15,42-16,1; Giovanni 19,38-42)
50- 51Vi era un certo Giuseppe originario di Arimatèa. Faceva parte anche del tribunale ebraico, ma non aveva approvato quel che gli altri consiglieri avevano deciso e fatto contro Gesù. Era uomo buono e giusto, e aspettava con fiducia il regno di Dio. 52Giuseppe dunque andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce e lo avvolse in un lenzuolo. 53Infine lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, dove nessuno era stato ancora deposto.
54Era la vigilia del giorno di festa, già stava per cominciare il sabato. 55Le donne, che erano venute con Gesù fin dalla Galilea, avevano seguito Giuseppe. Videro la tomba e osservarono come veniva deposto il corpo di Gesù. 56Poi se ne tornarono a casa per preparare aromi e unguenti. Il giorno festivo lo trascorsero nel riposo, come prescrive la legge ebraica.


24
1Il primo giorno della settimana, di buon mattino le donne andarono al sepolcro di Gesù, portando gli aromi che avevano preparato per la sepoltura. 2Videro che la pietra che chiudeva il sepolcro era stata spostata. 3Entrarono nel sepolcro, ma non trovarono il corpo del Signore Gesù.
4Le donne stavano ancora lì senza sapere che cosa fare, quando apparvero loro due uomini con vesti splendenti. 5Impaurite, tennero la faccia abbassata verso terra. Ma quegli uomini dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6EgIi non si trova qui ma è risuscitato! Ricordatevi che ve lo disse quando era ancora in Galilea. 7Allora vi diceva: "È necessario che il Figlio dell'uomo sia consegnato nelle mani di persone malvagie e queste lo crocifiggeranno. Ma il terzo giorno risusciterà"".
8Allora le donne si ricordarono che Gesù aveva detto quelle parole. 9Lasciarono il sepolcro e andarono a raccontare agli undici discepoli e a tutti gli altri quello che avevano visto e udito. 10Erano Maria, nativa di Màgdala, Giovanna e Maria, madre di Giacomo. Anche le altre donne che erano con loro riferirono agli apostoli le stesse cose.
11Ma gli apostoli non vollero credere a queste parole. Pensavano che le donne avevano perso la testa.
12Pietro però si alzò e corse al sepolcro. Guardò dentro, e vide solo le bende usate per la sepoltura. Poi tornò a casa pieno di stupore per quello che era accaduto.

Gesù risorto appare ai discepoli di Emmaus
(vedi Marco 16, 12-13)
13Quello stesso giorno due discepoli stavano andando verso Emmaus, un villaggio lontano circa undici chilometri da Gerusalemme. 14Lungo la via parlavano tra loro di quel che era accaduto in Gerusalemme in quei giorni.
15Mentre parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro. 16Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come accecati.
17Gesù domandò loro:
- Di che cosa state discutendo tra voi mentre camminate?
Essi allora si fermarono, tristi. 18Uno di loro, un certo Clèopa, disse a Gesù:
- Sei tu l'unico a Gerusalemme a non sapere quel che è successo in questi ultimi giorni?
19Gesù domandò:
- Che cosa?
Quelli risposero:
- Il caso di Gesù, il Nazareno! Era un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che faceva sia per quel che diceva. 20Ma i capi dei sacerdoti e il popolo l'hanno condannato a morte e l'hanno fatto crocifiggere. 21Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d'Israele! Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti. 22Una cosa però ci ha sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al sepolcro di Gesù 23ma non hanno trovato il suo corpo. Allora sono tornate indietro e ci hanno detto di aver avuto una visione: alcuni angeli le hanno assicurate che Gesù è vivo. 24Poi sono andati al sepolcro altri del nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù, non l'hanno visto.
25Allora Gesù disse:
- Voi capite poco davvero; come siete lenti a credere quel che i profeti hanno scritto! 26Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?
27Quindi Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti.
28Intanto arrivarono al villaggio dove erano diretti, e Gesù fece finta di continuare il viaggio. 29Ma quei due discepoli lo trattennero dicendo: "Resta con noi perché il sole ormai tramonta". Perciò Gesù entrò nel villaggio per rimanere con loro. 30Poi si mise a tavola con loro, prese il pane e pronunziò la preghiera di benedizione; lo spezzò e cominciò a distribuirlo.
31In quel momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù, ma lui spari dalla loro vista. 32Si dissero l'un l'altro: "Non ci sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia?".
33Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni.
34Questi dicevano: "Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone". 35A loro volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino, e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.

Gesù appare ai discepoli
(vedi Matteo 28, 16-20; Marco 16, 14-18; Giovanni 20, 19-23; Atti 1, 6-8)
36Gli undici apostoli e i loro compagni stavano parlando di queste cose. Gesù apparve in mezzo a loro e disse: "La pace sia con voi!".
37Sconvolti e pieni di paura, essi pensavano di vedere un fantasma. 38Ma Gesù disse loro: "Perché avete tanti dubbi dentro di voi? 39Guardate le mie mani e i miei piedi! Sono proprio io! Toccatemi e verificate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho".
40Gesù diceva queste cose ai suoi discepoli, e intanto mostrava loro le mani e i piedi. 41Essi però, pieni di stupore e di gioia, non riuscivano a crederci: era troppo grande la loro gioia!
Allora Gesù disse: "Avete qualcosa da mangiare?". 42Essi gli diedero un po' di pesce arrostito. 43Gesù lo prese e lo mangiò davanti a tutti.
44Poi disse loro: "Era questo il senso dei discorsi che vi facevo quando ero ancora con voi! Vi dissi chiaramente che doveva accadere tutto quel che di me era stato scritto nella legge di Mosè, negli scritti dei profeti e nei salmi!".
45Allora Gesù li aiutò a capire le profezie della Bibbia. 46Poi aggiunse: "Così sta scritto: il Messia doveva morire, ma il terzo giorno doveva risuscitare dai morti. 47- 48Per suo incarico ora deve essere portato a tutti i popoli l'invito a cambiare vita e a ricevere il perdono dei peccati. Voi sarete testimoni di tutto ciò cominciando da Gerusalemme. 49Perciò io manderò su di voi lo Spirito Santo, che Dio, mio Padre, ha promesso. Voi però restate nella città di Gerusalemme fino a quando Dio non vi riempirà con la sua forza".

Gesù sale verso il cielo
(vedi Marco 16, 19-20; Atti 1, 9-11)
50Poi Gesù condusse i suoi discepoli verso il villaggio di Betània. Alzò le mani sopra di loro e li benedisse. 51Mentre li benediceva si separò da loro e fu portato verso il cielo. 52I suoi discepoli lo adorarono.
Poi tornarono verso Gerusalemme, pieni di gioia. 53E stavano sempre nel Tempio lodando e ringraziando Dio.



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Note Capitolo 24.

venerdì 10 aprile 2009

Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore


Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore.


Es 14,15-31.15,1.
Il Signore disse a Mosè: "Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti
di riprendere il cammino.
Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli
Israeliti entrino nel mare all'asciutto.
Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di
loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui
suoi carri e sui suoi cavalieri.
Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia
gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri".
L'angelo di Dio, che precedeva l'accampamento d'Israele, cambiò posto e
passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò
indietro.
Venne così a trovarsi tra l'accampamento degli Egiziani e quello d'Israele.
Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la
notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la
notte.
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte,
risospinse il mare con un forte vento d'oriente, rendendolo asciutto; le
acque si divisero.
Gli Israeliti entrarono nel mare asciutto, mentre le acque erano per loro
una muraglia a destra e a sinistra.
Gli Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e
i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube
gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta.
Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle.
Allora gli Egiziani dissero: "Fuggiamo di fronte a Israele, perché il
Signore combatte per loro contro gli Egiziani!".
Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano sul mare: le acque si riversino
sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri".
Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo
livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro.
Il Signore li travolse così in mezzo al mare.
Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l'esercito
del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò
neppure uno.
Invece gli Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare,
mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e Israele
vide gli Egiziani morti sulla riva del mare;
Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro
l'Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo
Mosè.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero:
"Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha
gettato in mare cavallo e cavaliere.


Es 15,1-6.17-18.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero:
"Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha
gettato in mare cavallo e cavaliere.
Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. È il mio Dio e lo
voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare!
Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore.
I carri del faraone e il suo esercito ha gettato nel mare e i suoi
combattenti scelti furono sommersi nel Mare Rosso.
Gli abissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra.
La tua destra, Signore, terribile per la potenza, la tua destra, Signore,
annienta il nemico;
Lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua
sede, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno
fondato.
Il Signore regna in eterno e per sempre!".


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giovedì 9 aprile 2009

L'ANTICRISTO-DALLA I LETTERA DI GIOVANNI

L'ANTICRISTO
Riflessione di Simone Oren esperto nelle Sacre Scritture

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Lettera I Giovanni

2-18Figli miei, è giunta l'ultima ora. Voi sapete che deve venire un anticristo. Ebbene, ora ci sono molti anticristi: questo vuol dire che siamo proprio all'ultima ora. 19Prima essi erano con noi, ma non erano veramente dei nostri: se lo fossero stati, sarebbero rimasti con noi. Si sono allontanati, perciò è chiaro che non tutti quelli che sono con noi sono veramente dei nostri.
20A voi però Dio ha dato lo Spirito Santo, quindi conoscete tutti la verità. 21Io non vi scrivo: "Voi non conoscete la verità". Anzi, vi dichiaro che la conoscete e sapete che nessuna menzogna può nascere dalla verità. 22Sapete chi è il bugiardo, l'anticristo: chiunque afferma che Gesù non è il Cristo. Chi dice così rifiuta non solo il Figlio, ma anche il Padre. 23Infatti chi rifiuta il Figlio è separato da Dio Padre. Chi riconosce il Figlio è unito al Padre.
24Voi dunque conservate nei vostri cuori la parola del Signore, che avete udito dal principio! Se essa rimane in voi, sarete uniti con il Figlio e con il Padre. 25E questa è la promessa che Cristo ci ha fatto: la vita eterna.
26Vi ho parlato di quelli che cercano di ingannarvi; 27ma lo Spirito Santo che avete ricevuto da Gesù Cristo rimane ben saldo in voi, perciò non avete bisogno di nessun maestro. Infatti è lo Spirito il vostro maestro in tutto: egli insegna la verità e non la menzogna. Voi dunque rimanete uniti a Gesù come vi è stato insegnato.





4-1Miei cari, se uno dice di avere lo Spirito, non credetegli subito: prima, esaminatelo bene, per vedere se davvero ha lo Spirito che viene da Dio; perché molti predicatori bugiardi sono andati a predicare nel mondo.
2La prova che uno ha lo Spirito di Dio è questa: se riconosce pubblicamente che Gesù è il Cristo fatto uomo, ha lo Spirito di Dio. 3Se non lo riconosce non ha lo Spirito che viene da Dio, ma quello dell'anticristo. Voi sapete che l'anticristo deve venire: ebbene, è già nel mondo.
4Ma voi, figli miei, appartenete a Dio e avete sconfitto i predicatori bugiardi: infatti lo spirito in voi è più grande dello spirito che è nel mondo.
5Essi appartengono al mondo;
perciò parlano secondo i criteri del mondo,
e il mondo li sta ad ascoltare.
6Noi invece apparteniamo a Dio;
chi conosce Dio ascolta la nostra testimonianza,
chi non appartiene a Dio non ci ascolta.
In questo modo possiamo riconoscere se uno ha lo spirito della verità o lo spirito della menzogna.


5-1Chiunque crede che Gesù è il Cristo è diventato figlio di Dio. Chi ama un padre, ama anche i suoi figli. 2Di conseguenza, se amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti, siamo certi di amare anche i figli di Dio.
3Amare Dio vuol dire osservare i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono pesanti, 4perché chi è diventato figlio di Dio vince il mondo. È la nostra fede che ci dà la vittoria sul mondo. 5Solo chi crede che Gesù è il Figlio di Dio può vincere il mondo.
6Il Figlio di Dio è quel Gesù che è stato battezzato in acqua, e ha versato il suo sangue sulla croce. Non è passato soltanto attraverso l'acqua, ma anche attraverso il sangue. E lo Spirito che dà testimonianza di questo, quello Spirito che è verità. 7Anzi, sono tre a rendere la testimonianza: 8lo Spirito, l'acqua e il sangue, e tutti e tre sono concordi. 9Se siamo disposti ad accettare come testimoni gli uomini, Dio è un testimone migliore: egli ha reso testimonianza al Figlio suo.
10Chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in se stesso. Chi non crede a Dio lo fa passare per bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha dato al Figlio suo. 11La testimonianza è questa: che Dio ci ha dato la vita eterna, ce l'ha data mediante il Figlio suo, Gesù. 12Chi è unito al Figlio ha la vita; chi non è unito al Figlio di Dio non ha neppure la vita.
13Voi credete nel Figlio di Dio: perciò vi ho scritto queste cose, perché sappiate che avete la vita eterna.


Citazioni Bibbia Tilc
http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=1Giovanni&Capitolo=1


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Messianici a Milano con Avner Boskey

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Messianici a Milano con Avner Boskey
Inserita il 31/3/2009 alle 09:12 nella categoria: Israele

MILANO - Sabato 16 e domenica 17 maggio presso l'auditorium di via Natta a Milano si terrà la conferenza sul tema "Israele, la Chiesa e il ritorno del Signore", sviluppato da messianico Avner Boskey.

«Boskey - spiegano gli organizzatori - è impegnato nella predicazione fra il popolo d'Israele e insegna la Parola di Dio con lo scopo di far conoscere alla chiesa le sue responsabilità ed il suo ruolo per il proposito di Dio per Israele. Mentre l'opinione dei credenti, a volte, è influenzata fortemente dai media circa le questioni che riguardano Israele, è cruciale ricevere un insegnamento, fondato sulle Scritture, per districarsi in questi tempi di lotta e confusione».

Tra i temi trattati: la tematica degli ultimi tempi, la relazione che vi deve essere tra i credenti evangelici e i figli d'Israele, attualità alla luce delle scritture, per cercare di dare risposta a diverse domande, tra cui: qual è la posizione dei credenti verso lo stato d'Israele e la persecuzione degli ebrei? Che significa pace e giustizia alla luce delle scritture ? A quali responsabilità e benedizioni dobbiamo prepararci per questi tempi? L'Israele attuale è lo stesso Israele biblico?

Durante la conferenza - prosegue il comunicato - Boskey ci informerà con notizie fresche circa la testimonianza di Gesù in Israele e come la nazione sta affrontando il suo cammino profetico».

L'incontro, curato dalla chiesa "dei fratelli" di Milano - San Siro, si svolgerà in tre sessioni: sabato alle 15, domenica alle 9.30 e alle ore 15. [sr]


Per informazioni: Domenico Totaro, tel. 328/9617711; e-mail: totaro.domenico1@gmail.com


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Pesach o diventare "liberi"

Pesach o diventare "liberi"



Di Rav Alberto Sermoneta

“Quest’anno siamo qui schiavi, l’anno prossimo nella terra d’Israele liberi”

La differenza di terminologia che si trova nelle espressioni contrarie “schiavi” e “ liberi” è, secondo gli esegeti del testo della Haggadà di Pesach, sostanziale.

Infatti se il termine schiavi viene tradotto “Avadim”, quello di liberi viene tradotto “Bené Chorin”; la parola “chorin” “liberi” viene preceduta da “benè” che vuol dire figli; potremmo quindi meglio tradurre: “figli della libertà”.

Perché questa eccezione? Una spiegazione esauriente è che la condizione di schiavo, non prevede figliolanza: lo schiavo si trova in una posizione gerarchica inferiore alla condizione di uomo libero, e nel caso in cui avesse avuto un figlio, questi non gli veniva riconosciuto “figlio”, finchè non fosse stato liberato e quindi avesse avuto la facoltà di poterlo riscattare.

Così avviene per gli Ebrei, schiavi in Egitto, i quali non godendo della stessa considerazione dei liberi cittadini, non potevano essere considerati un popolo.
Nel momento in cui si accingono ad uscire dall’Egitto vengono definiti con una terminologia ben più importante, oltre a quella di popolo, cioè benè Israel- figli di Israele.
Se D-O benedetto stesso ci ha definiti figli d’Israele e quindi Suoi figli, evidentemente il legame che ci accomuna e ben più forte di quello che vi è fra i membri dello stesso popolo!

Cari Amici, la festa di Pesach è ormai alle porte e noi ebrei ci accingiamo a prepararci all’inizio di un nuovo periodo che sicuramente sarà migliore di quello che lo ha preceduto. La libertà è un bene assai caro agli uomini che ci è stato dato direttamente da D.O, che per farcelo apprezzare ci ha messi alla prova, facendoci soffrire le pene della schiavitù.
Essere liberi non significa fare tutto ciò che si vuole; significa invece rispettare il prossimo con umiltà ed essere disposti ad ascoltare anche le altrui opinioni.
Facciamo dunque il possibile per conservare questo bene così prezioso che D-O stesso ci esorta a mantenere, rispettandoci ed amandoci come fratelli.
(…)

Possa il Signore benedirVi insieme alle Vostre famiglie e ricompensarVi con ogni bene.

(lettera di auguri del Rav del 2006)
http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=109

"Ma nishtannà ha laila ha zè miccol ha lelot?”

Il capretto (Pesach 5769 - 2009)
"Ma nishtannà ha laila ha zè miccol ha lelot?”
“In che cosa è diversa questa sera dalle altre sere?”

Questa è la parte della haggadà che affascina i bambini, più di tutte le altre parti del seder; infatti, i nostri Maestri sostengono che è estremamente difficile che i bimbi riescano a seguire tutta la haggadà stando svegli e senza annoiarsi.

Per questo motivo si è stabilito che sia il primo che l'ultimo brano della haggadà, siano cantate o recitate in una lingua diversa dall'Ebraico, una lingua comprensibile a tutti e quindi anche ai bambini per destare loro curiosità, ma soprattutto, per cercare di mantenerli svegli fino alla fine della cena e della lettura della haggadà stessa.

Infatti il primo brano, quello che inizia con le parole “ Ha lachmà 'anijà” non è in Ebraico ma in Aramaico, simbolo delle lingue della golà- la diaspora, lingue comprensibili a chiunque.
Esso, secondo la regola rabbinica si può leggere in qualsiasi lingua si voglia, proprio perché è considerato la parte più importante di tutta la haggadà; certamente, non è con questo che vogliamo dire che basta la lettura di esso che si esce dall'obbligo della celebrazione del Seder!

L'ultimo brano, quello conosciuto ormai dai più, con il nome di “Chad gadijà”, anch'esso è scritto in Aramaico, come il primo, ma a differenza di questo, soprattutto nelle Comunità italiane, viene cantilenato nel dialetto in uso nelle proprie famiglie, a differenza di Comunità in Comunità.

E' caratteristico vedere, come da una comunità all'altra, cambi addirittura il senso delle parole di esso; dal capretto romano, comprato dal padre per due “scudè” che fu mangiato poi dalla “gatta”, alla “crava che pasturava”, piemontese che però non viene mangiata da nessuno, ma che commette un sacco di guai, dal boccione di vino rotto, in poi.

Tutto ciò fino ad arrivare al meno famoso fra gli Ebrei italiani, ma sicuramente più moderno “chad gadijà de zabin habbà bitrè zuzè” israeliano.

La curiosità che ci nasce ogni anno nel cantare, ciascuno a seconda del proprio uso locale, questa filastrocca e che tanto piace ai nostri bambini è tanta da farci chiedere il perché i nostri Maestri la hanno voluta, come inno finale della lettura della haggadà.

Il capretto: fin qui non ci sono molte domande, è il capretto con cui si ricorda il korban pesach- il sacrificio pasquale che avveniva al tempo in cui esisteva il Bet ha Mikdash, e che secondo una spiegazione talmudica, simboleggia il popolo di Israele, ma tutte le fasi successive, che cosa vogliono dirci? Perché ogni volta si ripetono fino allo stremo delle forze?

Il profeta Isaia, soprattutto nei primi capitoli del suo libro, ammonisce il popolo di Israele per il suo comportamento lontano dall'osservanza delle regole della Torà e questo porterà loro, rovina e disgrazia.

La verga dell'ira divina,” shevet af A'” così viene definita dal Profeta stesso, sono gli altri popoli che, usati direttamente da D-o per punire Israele, calcheranno la loro mano, nell'eseguire questo mandato divino.

Verranno per questo a loro volta, puniti dal Signore stesso, il Quale, scegliendo un altro popolo, distruggerà il primo e così via, fino ad arrivare al pentimento del popolo ebraico il quale, verrà perdonato da D-o, che facendo poi giustizia del Suo popolo, distruggerà tutti i suoi nemici.

Ecco così che, prima il gatto, poi il cane, poi ancora l'acqua, il fuoco ecc., saranno gli strumenti della punizione divina contro il popolo ebraico, ma che poi periranno perché il Signore Iddio in “persona”, come è detto nella haggadà stessa “ anì ve lò Malakh, anì ve lò shaliach ecc.”, metterà al loro posto le cose, facendo giustizia per la estrema sofferenza del popolo di Israele.

Ogni volta si ripete tutto il resto, per far in modo di tenerci bene a mente che, guai a dimenticare uno solo dei nostri nemici e del male che essi ci hanno fatto, questa sarebbe la nostra fine.

Per questo motivo noi Ebrei ci auguriamo di anno in anno, che finalmente possa arrivare quel giorno in cui l'Eterno nostro D-o faccia giustizia di tutte le sofferenze del nostro popolo, portando finalmente una pace in Israele giusta e duratura ed a noi farci godere di una pace e fratellanza all'interno del nostro popolo.

“Ha shatà hakhà 'avdè leshanà ha bahà be ar'aha de Israel benè chorin”
“Quest'anno qui schiavi l'anno prossimo nella terra di Israele figli della libertà”


Filastrocca di “ un capretto” secondo l'uso degli Ebrei di Roma







Un capretto un capretto che comprò mio padre per due scudè,
alu caprè alu caprè.

Venne il gatto che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne il cane che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.


Venne il bastone che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne il fuoco che bruciò il bastone che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne l'acqua che smorzò il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò il cane , che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne il bove che si bevve l'acqua, che smorzò il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè
alu caprè alu caprè.

Venne lo shochet che shachtò il bove, che si bevve l'acqua, che smorzò il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne il Malakh ha mavet che shachtò lo shochet, che shachtò il bove che si bevve l'acqua, che smorzò il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè alu caprè alu caprè.

Venne Kadosh Barukh Hu che shachtò il Malakh ha mavet, che shachtò lo shochet, che shachtò il bove, che si bevve l'acqua, che smorzò il fuoco, che bruciò il bastone, che bastonò il cane, che morsicò la gatta, che si mangiò il capretto che comprò mio padre per due scudè

alu caprè alu caprè.
http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=471

Cos'è Pesach?

Cos'è Pesach?
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Alle origini della festa
La durata della festa
Riflessioni sul significato di “essere liberi”
Perché il termine “Pesach” viene tradotto con “Pasqua”
Come ci si prepara ad accogliere la festa

L'insieme dei testi riportati qui sotto sono integralmente tratti dal libro "Le pietre del tempo, il popolo ebraico e le sue feste" di Clara ed Elia Kopciowski (edizione Ancora 2001).

Alle origini della festa

Circa 3200 anni orsono Giacobbe, insieme ai suoi figli e alle loro famiglie, si trasferì in Egitto per raggiungere il figlio Giuseppe che ne era divenuto viceré.
I discendenti di Giacobbe divennero assai numerosi, ma non dimenticarono il monoteismo insegnato loro da Abramo. Ciò creò quella che forse potemmo definire la prima manifestazione di Xenofobia, diffidenza ed odio verso i diversi, della storia. Xenofobia che sfociò una vera e propria persecuzione. Un Faraone, probabilmente di altra dinastia rispetto a quella del Faraone che aveva elevato Giuseppe alla carica di viceré, dapprima ordinò che i figli di Israele fossero ridotti in schiavitù usufruendo gratuitamente della loro opera. In un secondo tempo dato che essi, nonostante il duro lavoro, continuavano ad aumentare di numero, diede ordine che tutti i loro figli maschi furono uccisi al momento della nascita.
Jocheveth, una donna ebrea della tribù di Levi, non volle sottostare passivamente all’ordine: prese il bambino e lo mise in un cesto che affidò alla corrente del Nilo nella speranza che un qualche evento miracoloso lo salvasse dalla morte.
La figlia di Faraone vide il fanciullo e, nonostante si fosse probabilmente resa conto che doveva trattarsi di un bambino ebreo, fu presa da grande pietà, lo accolse e lo fece crescere a corte come un figlio. Quel bambino era Mosè: il nome Mosè significa, infatti, “salvato dalle acque”.
Divenuto adulto Mosè andava spesso a fare visita e a recar conforto ai suoi fratelli schiavi. Una volta s’imbatté in un egiziano che, sicuro della propria impunità, maltrattava un povero vecchio: ne risultò una colluttazione durante la quale l’egiziano rimase ucciso.
E’ assai probabile che, se lo avesse richiesto, Mosè avrebbe ottenuto il perdono del Faraone che, pare, gli fosse molto affezionato. Ma forse in lui stava maturando quello spirito profetico che avrebbe informato tutta la sua vita: le ingiustizie, la corruzione, l’immoralità che regnavano in Egitto, soprattutto a corte, lo avevano certo profondamente colpito e ora aveva bisogno di un periodo di riflessione, lontano dal palazzo reale, perché la coscienza gli imponeva di rendersi conto di quale fosse effettivamente il proprio compito e il proprio ruolo nella vita.
Attraverso il deserto e si fermò a Midian dove prese le difese di sette pastorelle, figlie di Jetro sacerdote di Midian, dalla prepotenza di alcuni pastori. Dallo stesso Jetro fu invitato a fermarsi a lavorare presso di lui. Mosè divenne così pastore, e sposò una delle figlie del sacerdote midianita, Zippora.
Le due esperienze, quella di personalità di spicco alla corte di Faraone e quella di pastore a contatto con gente umile dedita al lavoro, furono fondamentali nella formazione del suo carattere preparandolo al suo futuro ruolo di capo, ma anche di padre e protettore del suo popolo.
Fu proprio durante il periodo in cui Mosè era pastore presso il suocero che “Dio udì i loro gemiti e vide i figlioli di Israele ed ebbe compassione della loro condizione” (es. 2, 24-25). Apparve perciò a Mosè in un roveto ardente che pur bruciando non si consumava, e gli ordinò di tornare in Egitto per “fare uscire” i figli di Israele dal giogo degli egiziani promettendogli che gli sarebbe sempre stato vicino, e che avrebbe inviato al suo fianco il fratello Aharon perché lo aiutasse.
Il Faraone non prese in nessuna considerazione la richiesta di Mosè di lasciare andare il popolo di Israele, nonostante questi avesse messo in guardia della potenza del “Dio di Israele”.
Si riversarono allora sull’Egitto dieci piaghe con effetti devastanti su tutto il paese: le acque del Nilo e di tutte le sorgenti dell’Egitto si trasformarono in sangue; seguì una invasione di rane, poi quella di una quantità di insetti dannosi. Sopravvenne quindi una invasione di ogni genere di bestie feroci che fece strage di uomini e di bestiame.
Invano lo stesso popolo egiziano chiese a Faraone di lasciar libero il popolo ebraico per ottenere cessazione dei flagelli: in un primo momento il Faraone premetteva di obbedire alla volontà divina ma, non appena la piaga cessava, si rifiutava di mantenere la promessa.
La gravità delle piaghe si fece sempre più intensa: gli egiziani furono colpiti dalla pestilenza, ricoperti di bubboni, investiti da terribili tempeste, invasi da una miriade di locuste e infine da una profonda oscurità che coprì per giorni e giorni l’Egitto senza mai lasciar spazio a uno spiraglio di luce.
L’ultima piaga fu terribile: l’angelo della morte, in una livida notte di terrore, si aggirò fra le case degli egiziani colpendone a morte tutti i primogeniti, anche quello di Faraone.
Il Faraone fu così costretto, infine, a dare agli ebrei il permesso di lasciare l’Egitto.
I figli di Israele, dopo aver consumato il sacrificio pasquale – un agnello col sangue del quale avevano segnato gli stipiti delle loro abitazioni per segnalarle all’angelo della morte che infatti “passò oltre” risparmiando i loro primogeniti – si affrettarono ad abbandonare l’Egitto così come era stato loro ordinato: “E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col bastone in mano. Mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno” (Es 12,11).
Prima della loro partenza, gli egiziani offrirono agli ebrei doni in oro e argento, forse come risarcimento per il lavoro gratuito svolto per tanti anni. Gli Ebrei accettarono i doni e, come vedremo in seguito, fecero male.
L’Eterno ordinò che zevach pesach, il “sacrificio pasquale”, fosse consumato la prima sera di Pesach da tutte le generazioni future, perché mai gli avvenimenti di allora, così densi di significato e di insegnamenti, venissero dimenticati.
Ma gli ebrei dovevano aver costituito, durante la lunga permanenza nel paese, una colonna portante sia per il contributo di lavoro, sia per quello delle idee, visto che ancora una volta il Faraone si pentì della sua decisione: “Che cosa abbiamo fatto a lasciar libero il popolo di Israele che ora non ci servirà più?” (Es 14,5).
Alla testa del suo esercito li inseguì per riportarli indietro provocando al proprio popolo quella che potremmo definire l’undicesima piaga, quella che probabilmente è rimasta più famosa: l’apertura del Mar Rosso attraverso la quale gli ebrei raggiunsero salvi la riva opposta, mentre gli egiziani, che avevano tentato di attraversarla dopo di loro, furono inghiottiti dalle acque che si richiudevano e affogarono.


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La durata della festa

Il 14 di Nissan veniva offerto il sacrificio pasquale al Tempio. Solo la sera, che per la tradizione ebraica è già il 15 di Nissan, inizia la festa vera e propria con una cerimonia speciale chiamata seder. In Israele Pesach dura sette giorni, fuori di Israele otto. Ciò è dovuto al fatto che, anticamente, nella diaspora, non era facile far pervenire tempestivamente l’esatta data delle ricorrenze; quindi, per evitare errori, le si faceva durare un giorno in più. L’uso è stato mantenuto, nonostante oggi non manchi la possibilità di comunicare tempestivamente la data di inizio della festa, per sottolineare la differenza tra coloro che vivono in Israele e coloro che ne vivono fuori.
Il calendario ebraico (…) è basato sui cicli della luna, non ci permette di fissare per le feste una data precisa nel calendario solare.




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Riflessioni sul significato di “essere liberi”

La festa ha inizio al tramonto del 14 di Nissan, che corrisponde circa al mese di aprile.
Pesach, il momento in cui il popolo dei figli di Israele diviene il popolo libero, rappresenta per gli ebrei il simbolo della libertà.
Libertà: una parola difficile che si presta a molteplici interpretazioni e anche a più di un abuso.
La libertà può riguardare il singolo individuo, o interi popoli; può riguardare lo spirito o il corpo.
Esiste anche un concetto assai individualistico di libertà, intesa come possibilità di fare tutto quel che si vuole senza regole né limiti, indipendentemente dai diritti e dalla libertà degli altri.
In che modo ognuno di noi è responsabile della propria, o dell’altrui libertà? Fino a che punto e con quali modalità siamo tenuti a batterci per la nostra, o per l’altrui libertà, senza lasciarci prendere da un assurdo senso di orgoglio che può trasformarci in arroganti arbitri del comportamento altrui, o da un senso di opaca rassegnazione che, rimandando a Dio ogni responsabilità sul comportamento umano, ci consente di lasciare le cose come stanno senza partecipare personalmente alla liberazione di chi è schiavo e oppresso?
Schiavo o oppresso da chi, o da che cosa?
Esiste una libertà morale che coinvolge la nostra coscienza di essere creati “a immagini di Dio” e ci impone un totale rispetto verso noi stessi e verso gli altri. Ma esiste anche una libertà materiale, libertà dalla miseria e dal bisogno, che prevede il diritto a una vita decorosa e dignitosa quale patrimonio indispensabile perché ogni essere creato possa mantenere intatto il rispetto verso se stesso e, di conseguenza, verso il prossimo: ed è questo l’insegnamento base che troviamo nella Torah la cui consegna segue immediatamente l’uscito del popolo ebraico dall’Egitto proprio perché l’improvvisa libertà non degeneri in abuso o sopruso.
Cominciamo a scindere il problema in due parti: la libertà del corpo e la libertà dello spirito. La prima, se si affida unicamente all’istinto non illuminato della ragione e dall’insegnamento, e qui ci riferiamo proprio all’insegnamento della Torah, è paragonabile alla libertà degli animali non illuminati dal “discernimento fra il bene e il male”, e che seguono quindi soltanto il proprio istinto e i loro appetiti.
Ma è purtroppo propria anche di tanti uomini che hanno fatto della forza bruta, dell’imposizione indiscriminata della propria volontà su quella degli altri, che non solo è abuso, ma che si perde facilmente non appare all’orizzonte un uomo più potente e più prepotente.
La vera libertà è la seconda, quella spirituale. L’uomo, o il popolo, che l’abbia fatta propria, che l’abbia resa parte integrante di se stesso, è libero in eterno e nessuno, mai, potrà più renderlo schiavo. (…)


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Perché il termine “Pesach” viene tradotto con “Pasqua”

Pesach deriva del verbo ebraico Pasoah che significa “passare oltre”, e si riferisce all’episodio terrificante in cui l’angelo della morte, durante la notte della decima piaga, si fermò nelle case degli egiziani colpendone tutti i primogeniti, ma pasach, “passò oltre”, le case degli ebrei sugli stipiti delle quali, in segno di riconoscimento, era stato spruzzato del sangue dell’agnello sacrificale.
Verso il VI secolo prima dell’Era Cristiana, in tutto il mondo mediorientale si diffuse una nuova lingua, l’aramaico. Molti fra gli stessi ebrei adottarono l’aramaico come lingua corrente, e in aramaico il termine Pesach è tradotto con Pascha. L’attinenza fra le due parole, Pascha e Pasqua, è evidente.


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Come ci si prepara ad accogliere la festa

Ogni festa ebraica richiede un’accurata preparazione che coinvolge soprattutto la donna: ma quella di Pesach necessita di un impegno particolare.
E’ scritto: “Per sette giorni mangerete pane azzimo, ma prima che giunga il primo giorno toglierete dalle vostre case ogni lievito; osserverete quindi questo giorno in tutte le vostre generazioni” (Es 12, 15-17).
Per rivivere nel tempo il momento fatidico della loro liberazione dalla schiavitù e della loro nascita a popolo libero, gli ebrei mangiano tuttora ogni anno a Pesach, per sette giorni (fuori di Israele otto), il pane azzimo. E’ facile comprendere come l’ordine di eliminare dalla casa ogni tipo di sostanza lievitata imponga alla donna il dovere di compiere un’accuratissima pulizia della casa. Un impegno che peraltro le donne eseguono con entusiasmo e con estrema spolverando, lavando ogni recondito angolo dei mobili, dei ripostigli, e di tutta la casa, per prepararla a introdurvi il pane azzimo, cioè il pane non lievitato che in ebraico si chiama matzah.
La ragione per cui a Pesach gli ebrei mangiano pane azzimo è da rintracciarsi nel fatto che uscirono così frettolosamente dall’Egitto che non ebbero il tempo per fare lievitare il pane. Se poi esaminiamo la storia e gli usi dell’antico popolo di Israele, possiamo scoprire nel pane non lievitato significati assai più profondi e mistici: il pane azzimo era quello che il sommo sacerdote mangiava sull’altare durante i sacrifici. Secoli dopo divenne il pane comunemente usato dalla setta mistica degli esseni.
Evidentemente l’antica civiltà ebraica aveva un certo rifiuto per il lievito forse perché, essendo il risultato della fermentazione di un impasto di farina, gli faceva perdere le caratteristiche di un alimento puro, trasformandolo in cibo impuro: esso assume perciò nella concezione ebraica il simbolo di quel che non deve essere, in pratica simbolo del male. Interessante a questo proposito notare l’attinenza fra i nomi hametz, “cibo lievitato”, e hamas, “violenza”, quindi ingiustizia e immoralità. Il far scomparire dalla casa ogni genere di cibo lievitato va quindi interpretato anche come un invito a sgomberare il nostro animo da ogni tipo di hametz, o di hamas, da ogni residuo di odio, di rancore, di violenza, di corruzione, per presentarsi liberi e puri dinanzi al Signore, degni pertanto di offrire il zevach pesach, il “sacrificio pasquale” (che però dopo la distruzione del secondo Tempio non è stato più possibile compiere in forma concreta).
I Maestri della Mishnah, la legge orale che accompagna e completa la legge scritta, prescrivono inoltre che durante i giorni di Pesach, per evitare qualsiasi dubbio o possibile trasgressione, vengano usati stoviglie da tavola e recipienti da fuoco diversi da quelli del resto dell’anno; recipienti che vengono accuratamente conservati da un anno all’altro in un luogo in cui non abbiamo mai occasione di venire a contatto con i cibi proibiti di Pesach.
Per le donne, particolarmente per quelle strettamente osservanti, la preparazione del Pesach divenne quindi un impegno piuttosto gravoso e stressante anche in considerazione dei brevi tempi che intercorrono fra l’eliminazione del lievito e il cambio di tutte le stoviglie di Pesach. D’altronde proprio l’accuratezza di questo allestimento sottolinea il valore della festa.
Ma è fondamentale, a nostro avviso, ricordare che l’osservanza dei precetti non deve mai essere fine a se stessa correndo il rischio di trasformarsi in superstizione. Il suo vero scopo è quello di richiamare alla memoria l’importanza determinante di quanto la festa ci insegna.


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Il Seder

La prima sera di Pesach (le prime dure sere fuori di Israele) le famiglie ebraiche si riuniscono intorno a un tavolo apparecchiato in modo particolare, per celebrare il Seder, una cerimonia durante la quale di legge la Haggadah, il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto, arricchito di midrashim (parabole) e commenti dei Maestri, e seguito da una cena che si conclude con canti corali di inni e melodie che si tramandano di generazione in generazione, di luogo in luogo.
(…) Il Seder è una cerimonia di alto valore pedagogico sotto molteplici aspetti. A ogni commensale, per sottolineare il senso della libertà appena acquisito, è permesso di sedere a tavola senza osservare le strette regole dell’etichetta: si possono appoggiare i gomiti sul tavolo, o sdraiarsi comodamente sulle seggiole, cose che i commensali adulti in genere, per vecchia abitudine, evitano di fare, ma che rende estremamente felici i bambini che assaporano a loro modo il primo senso di libertà.
Sul tavolo apparecchiato viene posto in cesto contenente tre pane azzimi (matzah), in ricordo del pane non lievitato mangiato nel deserto, una zampa d’agnello (pesach), in ricordo del zevach pesach, il sacrificio pasquale compiuto dal popolo che si accingeva a uscire dalla schiavitù, e dell’erba amara (maror), diversa a seconda delle tradizioni e della provenienza di chi celebra il Seder, in ricordo dell’amarezza patita dagli ebrei in schiavitù.
Il maror simboleggia forse il passo più importante verso la conquista della libertà. Dalle amarezze del passato, che lasciate fermentare, “lievitare” nell’animo e nel cuore, avrebbero potuto trasformare il popolo ebraico in un popolo crudele e vendicativo , è stato invece tratto un insegnamento basilare: è necessario affrontare la vita con una più consapevole e serena visione del rapporto fra gli uomini, è indispensabile volgere il cuore e l’animo con profondo affetto e comprensione verso i poveri, gli oppressi, i sofferenti.
Dalle amarezze della schiavitù è nato un inestinguibile odio per la schiavitù, la nostra, e quella di qualunque creatura, e un altrettanto inestinguibile amore per la libertà a cui ogni essere umano ha diritto e che, unica, permetterà ai figli di Israele anche in futuro di sopravvivere per adempiere alla missione.
Prima della distruzione del Tempio, ogni famiglia che andava in pellegrinaggio a Gerusalemme vi portava il suo agnello del sacrificio che poi veniva arrostito e mangiato. Ma da quanto il Tempio è stato distrutto e i sacrifici interrotti, i Maestri hanno deciso che, per ricordare la gravissima perdita, durante la cena di Seder non venga servito nessun tipo di carne arrostita.
Oltre a questi tre simboli di Pesach (pesach, matzah, maror), nel cesto vi è un uovo sodo, il charoseth, un impasto preparato anch’esso secondo ricette che variano a seconda delle tradizioni dei vari luoghi di provenienza, e che simboleggi la malta che gli ebrei schiavi erano costretti a preparare in Egitto per fabbricare i mattoni con cui avrebbero edificato la città del Faraone. Per il Seder però la malta si trasforma in un dolce impasto di frutti: datteri, noci, mandorle e altro per sottolineare la fine della schiavitù. Vi è poi del sedano (carpas), che deve essere intinto in acqua e sale, o in acqua e aceto: probabilmente una specie di aperitivo in vista della cena.
Sul tavolo viene posto, oltre al bicchiere destinato al Kiddush, alla santificazione della festa attraverso il vino e il pane, un altro bicchiere d’argento pieno di vino destinato al profeta Elia. La tradizione vuole infatti che il profeta, durante la prima sera di Pesach, si aggiri fra le case degli ebrei per portare i suoi voti augurali alle famiglie che celebrano il Seder, e ognuno spera di far parte dei privilegiati che riceveranno la sua visita.
La visita è tanto più attesa in quanto la tradizione afferma che sarà proprio il profeta Elia ad annunciare al mondo il giungere dell’Epoca messianica. E ogni ebreo vive la speranza che l’Epoca messianica, l’epoca della pace, dell’armonia, dell’amore fra tutti i popoli, sia proprio lì, dietro la porta di casa, porta che infatti, durante il Seder, viene lasciata aperta anche perché è detto: “chi vuole entri, mangi e celebri Pesach”.
Forse l’uso si riallaccia anche al Talmud in cui è scritto: “Nel mese di Nissan fummo redenti, e nel mese di Nissan siamo destinati a essere redenti” (Rosh ha-shanah 11).
Val la pena soffermarsi un momento sul significato dell’uovo sodo. Per l’ebraismo esso ha un valore tutto particolare. L’uovo è infatti il primo cibo che si offre a coloro che sono in lutto per la perdita di un parente stretto, in quanto è il simbolo della vita che si appresta a nascere, in opposizione alla morte. Perciò nel momento in cui il nostro animo è in preda alla disperazione e ci pare di non poter trovare né conforto né consolazione a una perdita irrimediabile, esso ci insegna che la vita che vive in noi è un dono che Dio ci ha concesso, e che in questo dono dobbiamo trovare la forza di continuare la nostra opera.
Inoltre l’uovo non ha spigoli, perciò non ha né un punto di inizio né un punto di fine. Così la sua rotondità, proprio nel momento in cui pare che con la morte sia tutto finito, ci ricorda che la vita è un ciclo che, come l’uovo, non ha né inizio né fine: chi dai propri cari ha ricevuto la vita e gli insegnamenti, chi lascia dietro di sé il dolore dei figli ai quali ha trasmesso la vita e gli insegnamenti, continua a vivere attraverso di loro.
Ed è questo il modo umano di conquistare l’eternità.
Il segno del lutto che noi aggiungiamo al festoso cesto del Seder, e che per tradizione viene consumato da tutti i primogeniti maschi (ma se anche altri ospiti vorranno associarsi, potranno farlo) è un triste ricordo degli innocenti figli primogeniti degli egiziani, vittime della cieca ostinazione del Faraone. Proprio per questa ragione è il primogenito ebreo che, per dimostrare il proprio dolore per la morte dei fratelli egiziani, usa mangiare l’uovo sodo.
Per la medesima ragione i maschi primogeniti, il giorno precedente il Pesach, fanno digiuno.
Dicevamo che il Seder è molto importante anche dal punto di vista pedagogico: dopo il Kiddush il primo intervento è riservato al commensale più giovane o, in coro, ai più giovani; si tratta del Mah nishtannah: “come è diversa questa serata da tutte le altre sere!”. Il canto è composto da quattro domande che il bambino rivolge agli adulti: “Perché tutte le altre sere mangiamo pane, e questa sera azzima? Perché tutte le altre sere mangiamo qualsiasi tipo di verdure, e questa sera erba amara? Perché tutte le altre sere non intingiamo (riferito al sedano intinto in acqua e sale o aceto) neppure una volta, e questa sera due volte? Perché tutte le altre sere mangiamo seduti, e questa sera sdraiati?”.
Le domande danno il via alle risposte, impartito attraverso la lettura della Haggadah che narra gli eventi miracolosi legati all’uscita dall’Egitto.
Durante il Seder si devono quattro bicchieri di vino in memoria delle quattro espressioni usate da Dio quanto preannuncia a Mosè la prossima liberazione del popolo: “li sottrarrò” dalle sofferenze dell’Egitto “; “li farò uscire” dal luogo di schiavitù; “li redimerò e li prenderò come mio popolo”. Esse rappresentano i vari stadi della libertà appena riconquistata che vanno elevandosi a sempre maggior livello fino a raggiungere la santità di “li prenderò come mio popolo” (Es 6,7).
La Torah aggiunge una quinta espressione: e “li farò entrare nella terra promisi ai loro padri” (Es 6,8). Non può esistere in effetti una completa libertà morale se non è legata a una libertà di comportamento, possibile solo in uno stadio proprio e indipendente.
Durante la lettura della Haggadah vengono nominate le dieci piaghe che hanno colpito l’Egitto e per ognuna di essa si versa un po’ di vino contenuto nel bicchiere in un recipiente: ciò sia per augurarci che queste disgrazie siano sempre lontane da noi e dalle nostre famiglie; sia per ricordare che nessuna gioia può essere completa se è costata lutti e dolori ad altri; sia, infine, per auspicare che mai più si ripeta una situazione in cui un popolo meriti di essere colpiti da tanti flagelli.
Un momento particolarmente interessante, e psicologicamente e pedagogicamente assai valido, è quello dedicato alla lettura del brano riguardante i “quattro figli”: il sapiente, il semplice, colui che non è capace neppure di domandare, e il figliolo cattivo.
I quattro figli rappresentano i vari tipi di cui l’umanità è composta e il testo della Haggadah ci fornisce importanti suggerimenti sul tipo di risposta da dare ad ognuno di essi.
Al saggio, cioè colui che pone una domanda acuta e complessa, si deve dare una risposta adeguata, dotta e approfondita, che non deluda né sottovaluti l’intelligenza e la capacità di apprendimento di chi domanda.
Al semplice occorre dare una risposta chiara e comprensibile per permettergli di capire pienamente il senso di quanto gli si sta spiegando, stimolandolo possibilmente a far nuove domande.
Particolarmente importante è l’insegnamento che viene impartito al figlio che non è in grado di porre domande; ci dice infatti la Haggadah: “A colui che sa domandare, aprigli tu la bocca!”. Importante notare che nella frase “apri tu”, il “tu” è espresso al femminile, “apri” al maschile. È la madre la prima insegnante del bambino, tocca quindi soprattutto a lei, fin dall’inizio, seguire con la massima attenzione il suo sviluppo mentale: ma è il padre che deve coadiuvare e sostenere sua moglie in questa opera. Se ne conclude che solo la collaborazione fra padre e mandre permette un normale, sereno sviluppo del carattere infantile.
Inoltre, se un bimbo si mostra totalmente disinteressato al mondo che lo circonda, non fa domande e non si pone interrogativi, se dà segno di isolarsi e di non partecipare in alcun modo alla vita attorno a lui, lungi dal rallegrarsi per il “buon carattere” del bambino che non disturba, “aprigli la bocca”, sollecita cioè la sua curiosità, coinvolgilo nei fatti che accadono per renderlo vivo, interessato e partecipe, aiutandolo quindi a crescere e a entrare in modo intelligente e attivo nella società.
Intrigante e piuttosto ironica è la risposta destinata a quel figlio che nella Haggadah viene nominato per secondo: il figlio “malvagio”, che forse rientra più nella categoria dei figli contestatari che in quella di veri e propri “cattivi”.
Egli chiede: “Che cosa significa questa cerimonia (il Seder) per voi?”; domanda in cui sottolinea: “Per voi, e non per me!”.
Si pone in questa maniera, con una certa arrogante superiorità, totalmente al di fuori del gruppo.
Suggerisce la Haggadah: “Tu rispondigli risentito (letteralmente “fagli digrignare i denti”); “Se tu fossi stato presente al momento della salvezza, non saresti stato salvato!”.
Una riposta apparentemente impietosa.
Ma riflettiamo sui motivi che spingono tante volte i giovani, e non sempre a torto, a contestare certi atteggiamenti, certi usi ereditati e forse non sufficientemente o logicamente spiegati. Nostro compito è quello di chiarire per dar loro modo di comprendere. Ebbene, con la frase incisiva “tu non saresti stato salvato” la Haggadah chiama il giovane a una responsabilità personale facendogli rivivere in prima persona, oggi, il momento drammatico della schiavitù. Ecco, gli dice la Haggadah, se tu, che adesso siedi con noi libero, e puoi parlare liberamente dell’epoca della schiavitù, tu che oggi contesti e rifiuti le responsabilità insite del passato, ti fossi trovato insieme ai nostri primogeniti a scegliere fra schiavitù e libertà, con tutte le responsabilità che tale scelta comportava, forse avresti vigliaccamente scelto di continuare a servire Faraone. In tal modo non avresti meritato la salvezza e oggi saresti ancora schiavo.
La Haggadah non accenna però all’esistenza di un quinto figlio; quello che non c’è perché si è staccato da ogni forma di tradizione e si è perso.
A qualsiasi tipo di domanda, anche a quella del contestatore, può essere data una risposta, risposta che può essere discussa, che può arricchire chi lo fa e chi la riceve con nuove interpretazioni non necessariamente in antitesi o in contrasto con quelle precedenti, ma persino innovative e progressiste.
Ma il figlio che non è presente è perso.
Il Seder finisce con una lunga serie di canti corali tradizionali composti da molte strofe, la cui caratteristica precipua è quella della ripetizione, alla fine di ogni strofa, di una frase: quella che tutti i commensali per tradizione conoscono meglio e quindi cantano a gran voce con grande entusiasmo.
In ultimo viene intonato il canto l’anno prossimo tutti a Gerusalemme, ricostruita, e viene distribuito l’afikomen, preparato nella parte iniziale del Seder, che simboleggia il sacrificio pasquale e che deve essere consumato quando si è già sazi.

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