martedì 9 settembre 2008

Bassi: "Il futuro della comunità ebraica veneziana è nella famiglia"

Bassi: "Il futuro della comunità ebraica veneziana è nella famiglia"
"La globalizzazione non è una finzione, vale per tutti" sostiene il prof. Roberto Bassi, medico dermatologo e membro della Comunità Israelitica di Venezia «e così la Comunità ebraica segue un pochino l’evoluzione di Venezia, in peggio: la popolazione è sempre più ridotta e di conseguenza anche quella ebraica di Venezia. Vent’anni fa, quand’ero Presidente della Comunità ebraica, eravamo attorno ai mille, ora intorno ai quattrocento. I giovani se ne vanno, a partire dai miei figli. Se fossi più giovane io stesso sarei a Mestre perché qui non c’è lavoro. Ormai la città è piena di bed & breakfast e alberghi, e credo che in parte sia colpa dei nostri amministratori che negli ultimi 10-20 anni non hanno saputo dirigere la città come si doveva».

Così il dottor Bassi delinea la situazione attuale della comunità ebraica di Venezia, che può osservare dall’alto dei suoi 77 anni con la saggezza e l’ampia prospettiva di chi ha sempre vissuto nel centro storico.
Ai fenomeni già elencati che influiscono negativamente sulla componente ebrea della popolazione veneziana bisogna aggiungere quello dell’assimilazione: sono sempre più frequenti infatti matrimoni o forme di convivenza tra ebrei e persone di altra origine e religione. Dall’altro canto i nuovi iscritti sono pochi, e c’è poi un certo numero di ebrei veneziani che abita nella città ma che non partecipa attivamente.
Un altro fenomeno riscontrabile in questi ultimi tempi è la presenza di ebrei “Lubavitch”: molto ben visibili per via della barba e dell'abbigliamento tradizionale: «Sono ebrei americani molto ortodossi che tendono a fare un’opera di proselitismo molto ampia, ma che non hanno legato con gli ebrei di Venezia; possiedono l’unico ristorante “kasher” ebreo, che si trova nel Ghetto, ma a parte questo non si è creata un’osmosi con gli ebrei della comunità» spiega Bassi.

Un elemento prezioso di attrattiva e interesse è il Museo ebraico all’interno del Ghetto, che accoglie sempre più visitatori grazie anche a diversi interventi di miglioramento e ampliamento di questi ultimi anni: «La fase di ingrandimento, che avviene con la tipica lentezza veneziana, è quasi conclusa» chiosa il professore: «Ora stanno concludendo l’impianto anti-incendio per il quale ci vogliono anni a causa dei permessi necessari. Tra qualche mese avremo finalmente anche un ascensore, oltre ad aver allungato il percorso di visita. La particolarità di fondo del Ghetto sta nel fatto che, a livello di costruzione, ha ancora le case alte con sette/otto piani, l’unità di luogo, e inoltre il fatto che la parola derivi proprio da Venezia, con tutta la sua storia simbolica alle spalle».
In questo senso, anche la giornata europea della cultura ebraica - che si celebrerà il 7 settembre in alcune città italiane che al loro interno presentano grandi o piccole comunità ebraiche, e quest’anno avrà come nodo portante la musica – può essere uno strumento per far conoscere la realtà ebraica.
Un progetto ancora in cantiere ma a cui il dott. Bassi mostra di fare affidamento riguarda la possibilità di avviare un programma di studi ebraici che permettano di intensificare e soprattutto di prolungare le presenze di ebrei americani che in questi ultimi due anni sono venuti a studiare a Venezia, in modo tale che la città non sia solo un “mordi e fuggi”.

In mezzo al caos della globalizzazione le tradizioni e le abitudini ebraiche tuttavia permangono: «Quelle sono rimaste invariate - continua Bassi - anche perché si vivono soprattutto in famiglia. Si va alla Sinagoga in una serie di occasioni, ma è soprattutto in famiglia che si osservano le nostre tradizioni. In qualche modo ci adattiamo…Nel mese di agosto per esempio per fare la preghiera servono almeno dieci maschi ebrei maggiorenni: in questo periodo di vacanza ovviamente non si trovano, in compenso ci sono un centinaio di turisti che vengono».
Ancora, le due sere di Pasqua, in cui si legge tutto il lungo racconto della fuga dall’Egitto con una serie di canti, anche in veneziano, «sono cose che si continuano a fare in famiglia, esclusi i due anni di occupazione tedesca». Rispettare le usanze ebraiche è soprattutto un «problema famigliare: io le ho trasmesse ai miei figli, ma poi saranno loro, se vorranno, a trasmetterle ai miei nipoti».

Laura Campaci

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