venerdì 22 maggio 2009

L’ebreo che spiega Gesù alla Chiesa

12 Maggio 2009
L’ebreo che spiega Gesù alla Chiesa
Il paradosso di Jacob Neusner, il rabbino che prendendo le parti dei farisei ha «aperto gli occhi» a Benedetto XVI sulla grandiosa pretesa di Cristo

di Luigi Amicone
Jacob Neusner è considerato il più grande specialista vivente di letteratura rabbinica antica. Ha scritto un libro su Gesù e ha benedetto il viaggio che il Papa sta compiendo in Terra Santa. Perché? «Perché mi piacciono i cristiani e perché rispetto il cristianesimo». Tutto qui? Sosteneva Kieerkegaard che Gesù di Nazareth e la sua pretesa di aver portato il cielo sulla terra, di essere Dio stesso in terra, «è l’unico caso serio della storia». Perciò «tu devi prendere posizione di fronte a Cristo». Neusner è uno dei pochi contemporanei a farlo davvero. La sua posizione, raggiunta dopo la frequentazione di Gesù nel vangelo di Matteo, è sorprendente? Nient’affatto. Il rabbino non si converte a Cristo, non lo segue e continua a stare “con i farisei”. Perché? Perché Cristo si è detto signore del sabato. Perché ha identificato se stesso con la Torah. Perché Gesù ha chiamato i suoi discepoli in prima persona e si è appellato alla libertà di un “io” invece che al “noi” dell’Eterno Israele. Perché, infine, ha la pretesa “impressionante” e “sbalorditiva”, «egli e i suoi discepoli», di aver «preso il posto dei sacerdoti nel tempio; il luogo santo è cambiato e si identifica con il gruppo formato da Gesù e dai suoi discepoli». E allora dove sta l’originalità dell’ebreo che capisce che «l’alternativa è tra: “Ricordati di santificare il sabato” e “Il Figlio dell’uomo è il signore del sabato”. Non possiamo scegliere entrambi»? Dove sta l’interesse della constatazione che «la Torah sta in un mondo, Cristo in un altro»? Intanto originalità e interesse stanno nella conferma della serietà e gravità del “caso”. Come annota Neusner, non si tratta di parole o di idee. Si tratta di un avvenimento e di una persona. «Comprendo, infatti, che solo Dio può esigere da me quello che sta chiedendo Gesù». «Noi comprendiamo adesso che alla fine c’è proprio la figura di Gesù e non tanto i suoi insegnamenti».
Riepilogando. È giunto alla sua terza edizione italiana Un rabbino parla con Gesù (San Paolo), libro doppiamente straordinario. In primo luogo perché riesce nell’impresa di portare il dialogo ebraico-cristiano oltre le secche della discussione storica e teologica offrendoci una testimonianza limpida e persuasiva di cosa sia un’esperienza viva di ebraismo (mentre, sostiene Neusner, «a parte poche sorgenti di ortodossia l’ebraismo rappresenta oggi in Europa una religione morta»). La seconda ragione di straordinarietà sta nella interpretazione-recensione che dell’approccio a Gesù secondo Neusner ha dato niente meno che il papa Benedetto XVI. Il quale, nel suo Gesù di Nazaret, segnala il volume del rabbino americano così: «Il grande erudito ebreo Jacob Neusner in un importante libro si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù intitolato A Rabbi Talks with Jesus (Un rabbino parla con Gesù). Questa disputa condotta con rispetto e franchezza tra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più di altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo». Non vi sembrano sconcertanti le parole del Santo Padre? «Mi ha aperto gli occhi». Ma la figura del Nazareno non dovrebbe essere la specialità bimillenaria (oltre che la “ragione sociale”) delle Chiese cristiane? Dunque quale sarebbe il segreto che renderebbe così speciale l’approccio di Neusner, come lascia intendere addirittura il Pontefice? Cosa del Gesù visto da un ebreo osservante ha entusiasmato Benedetto XVI tanto da fargli mettere nero su bianco un giudizio così lusinghiero da corrodere implicitamente tanta apologetica cristiana – proprio lui, il Papa-teologo, il professore Ratzinger, l’ex prefetto del Sant’uffizio, il Defensor Fidei, il Vicario di Cristo? Come si spiega tanta accoglienza a una posizione che dichiara «senza scuse, senza inganno, senza infingimento» di voler «riaffermare semplicemente la Torah del Sinai sopra e contro il Gesù di Matteo»? Il segreto sta nel fatto che mentre a tutt’oggi prevale una riduzione del cristianesimo a interpretazione sentimentale o specialistica (almeno così sembra emergere in tanta omiletica chiesastica e nella pubblicistica-biada di massa che ci arride dalle vetrine delle librerie), con l’opera di Neusner torna in auge la “simpatia per l’oggetto” della disputa. Torna una ragione aperta alla considerazione del fenomeno Gesù così come esso si è presentato nella storia e nella testimonianza di chi gli ha voluto bene, non come si immagina che egli avrebbe dovuto essere o essersi presentato per tramite di chi lo ha conosciuto. Perciò il nostro rabbino immagina di mescolarsi tra la folla di discepoli, curiosi, ostili, semplice gente comune riunita alle pendici del monte presso il lago di Tiberiade per ascoltare “il discorso delle Beatitudini”. Egli interloquisce con Gesù seguendo come filo rosso il vangelo di Matteo, «il più “ebraico” dei vangeli», e mettendolo a confronto con la Torah.

Un vero maestro in Israele
Molti sono i punti di contatto ed è impossibile non riconoscere in Gesù un vero ebreo e un maestro in Israele. Il fatto è – pretesa pazzesca e inaccettabile da chi ritiene peraltro che «Mosè ha detto molto di più, stando sulla montagna» – che Egli identifica e riassume l’intera Torah nella sua persona. Insomma, ciò che oggi non è per niente scontato nelle Chiese cristiane, dove il Nazareno rischia di essere tramandato come un mito consolatorio, fermo alla “Parola” di un passato piuttosto esangue e anacronistico, per l’ebreo pio e osservante Jacob Neusner invece è una pretesa viva. Che va presa alla lettera, esattamente per quello che dice di essere. E cioè non una fonte di ispirazione morale, sociale, legislativa. Ma uno che reclama un “tu” e una sequela totalizzante.
Così, la domanda di ieri è la stessa di oggi, di sempre: «E voi, chi dite che io sia?». La domanda posta da Gesù è la stessa che sembra fare da sfondo alle folgoranti riflessioni, ai paragoni e alle conclusioni dell’ininterrotto dialogo che Neusner stabilisce nell’arco della sua narrazione tra il “maestro nazareno”, la Torah, i maestri, i saggi e i profeti dell’“Eterno Israele”. Ristabilendo così – paradossalmente, da parte di un rabbino – il metodo proprio del cristianesimo. Che non è anzitutto quello storico o spiritualistico, ma proprio quello personale di porsi con apertura e immaginazione davanti alla persona di Cristo, alla sua pretesa, alla sua logica, alla sua avventura umana.
http://www.tempi.it/cultura/006682-l-ebreo-che-spiega-ges-alla-chiesa

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