giovedì 18 dicembre 2008

Shabbat Vajeshev (20 dicembre 2008) Parashà

Shabbat Vajeshev (20 dicembre 2008)
Di Rav Alberto Sermoneta

Questo sabato leggeremo la parashà di vajeshev, in cui si narra della storia di Giuseppe che venduto agli egiziani, s'imbatte in una serie di peripezie che lo mettono nella condizione di essere sempre in pericolo di vita, ma con l'aiuto di D-o le situazioni si capovolgono.Nella prima parte della parashà, viene narrato il rapporto fra Giuseppe ed i suoi fratelli, rapporto che non era affatto idilliaco a causa della gelosia di costoro nei suoi confronti.

Essi tramano contro di lui le cose più spietate, fino a pensare di ucciderlo, ma grazie all'intervento di Giuda, fratello più saggio, si decide di venderlo ad una carovana di mercanti i quali lo venderanno agli egiziani.

Nella seconda parte invece, viene narrata la storia del primo periodo di vita di Giuseppe in Egitto, vita non facile anche a causa della sua diversità di tradizione.

Fra la prima e la seconda parte vi è una intercalanza nel testo biblico, in quanto viene narrata una storia abbastanza strana cioè la storia di Giuda e Tamar, dapprima moglie del primo figlio di lui, poi del secondo ed in fine sarà colei che darà alla luce due figli, Perez e Zerach proprio dopo un rapporto con Giuda.
Giuda, alla notizia della gravidanza di sua nuora, vedova dei suoi due mariti, figli di Giuda, esclama la seguente espressione: “otziuha ve tissaref” “venga portata fuori e venga bruciata”. Era questa la condanna che veniva inflitta a coloro che si macchiavano di colpa di adulterio, in quanto la considerava adultera, dato il suo stato di vedovanza senza figli e quindi, secondo le leggi dell'epoca in attesa di contrarre matrimonio con l'ultimo figlio superstite di Giuda.

Ma la Torà ci racconta che nel frattempo, Tamar non avendo ancora dopo molto tempo ricevuto in marito il terzo figlio di Giuda, si era travestita da prostituta ed era riuscita ad avere un rapporto con suo suocero, e a ricevere come pegno per questa “prestazione” il bastone e l'anello-sigillo di lui.
Al momento della condanna a morte, Tamar mostra a suo suocero i due oggetti ricevuti in pegno, dicendo di essere incinta dell'uomo al quale appartenevano quegli oggetti.
Giuda li riconosce, si ricorda dell'avvenuto e salvando sua nuora, dice che ella era stata più saggia di lui, in quanto era stata promessa sposa di suo figlio e lui, non avendo dato più importanza alla cosa, l'aveva dimenticata completamente.
Tutto finisce bene e nascono questi due gemelli, che saranno i capostipiti di molte nazioni.

Il sabato in cui viene letta questa parashà è sempre quello che precede Chanuccà e secondo il minhag italiano vi è l'uso di esporre la lampada di Chanuccà in sinagoga, già a partire da quel giorno.
Da dove si impara tutto questo?
I nostri Maestri sostengono che nella Torà non vi sono espressioni che esaltino la morte o la rivendichino, nei confronti degli Zaddikim (i giusti) e Tamar è stata considerata giusta proprio da suo suocero.
Per cui l'espressione di Giuda “otziuha ve tissaref” “venga portata fuori e venga bruciata” non è riferita a Tamar, bensì alla lampada di Chanuccà, che di lì a qualche giorno verrà accesa, se D-o vuole e porterà gioia in mezzo a tutto il popolo di Israele.

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=394&Itemid=1

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