mercoledì 26 novembre 2008

FESTE EBRAICHE NEL MESE DI TISHRI

ROSH HA-SHANA



ROSH HA-SHANA

Alle origini della ricorrenza


Rosh ha-shanah è la festività che celebra il capodanno ebraico. E’ chiamata anche Yom teru’ah, “giorno del suono”, Yom ha-din, “giorno del giudizio” e Yom ha-zikkaron, “giorno del ricordo”.
La ricorrenza non è legata ad alcun fatto storico relativo al popolo d’Israele, ma vuol ricordare la creazione del mondo; è, in altre parole, il giorno del “compleanno” della Terra. Una data quindi di importanza universale in quanto, riallacciandosi al giorno in cui furono creati il primo uomo e la prima donna, mette in luce che l’intera umanità, discendente tutta dalla prima coppia, gode di pari diritti e dignità in quanto ogni uomo è figlio di Dio.
Nella Torah, non è usato il termine Rosh ha-shanah, bensì quello di Yom teru’ah, “giorno del suono” (dello shofar): nella sinagoga, infatti, il giorno di Rosh ha-shanah lo shofar viene ripetutamente suonato perché, secondo una tradizione, l’ultimo giorno della creazione Dio manifestò la sua gioia e la sua vicinanza all’uomo creato “a immagine divina”, proprio con il suono dello shofar.
In questa prospettiva, il giorno di Capodanno e il periodo immediatamente seguente (periodo, in cui, secondo l’ebraismo, Dio giudica ogni singolo individuo a qualunque popolo appartenga) diviene avvenimento che coinvolge i membri dell’intera umanità.
Ma è anche un giorno che riguarda personalmente ogni individuo perché ognuno di noi ha una personalità a sé stante, con i propri problemi personali, familiari, di lavoro e di salute: problemi che lo spingono a levare gli occhi verso Dio per chiedergli aiuto e conforto, per trovare in lui la forza di continuare, di migliorare, di scegliere la giusta strada.
Il suono dello shofar che echeggia in questo mondo così tecnologicamente avanzato, ma in cui purtroppo l’odio e l’aggressività sono tutt’altro che scomparsi, in cui gli Stati continuano a intraprendere guerre, e ognuno cerca il proprio profitto chiudendosi in piccoli egoismi, ha espressamente lo scopo di richiamare l’attenzione di ognuno di noi su alcune domande fondamentali: “Chi sei? Perché? Che cosa stai facendo della tua vita?”.
Per questa ragione il Capodanno ebraico è avvolto da un’atmosfera di santità, di gioia serena, di rinnovamento e di rafforzamento dei legami che uniscono gli uomini a Dio.
E’ il giorno in cui l’uomo comincia a fare un esame di coscienza per giudicare se stesso, il proprio comportamento durante l’anno trascorso, gli errori commessi, le tentazioni alle quali non ha resistito. E in base a tale giudizio, prende l’impegno di cambiare, di rafforzare le giuste decisioni, di eliminare gli errori per quanto gli sarà possibile. L’errore è infatti una componente umana; le difficoltà che la vita ci prospetta ogni giorno, ci pongono dinanzi a continue scelte, a inevitabili dubbi, a insistenti tentazioni: la santità perfetta è qualità che solo Dio possiede. Ma l’uomo è perfettibile: ed è questo che si propone ogni ebreo nel solenne giorno in cui ha iniziato un nuovo anno, in cui ogni essere umano può compiere una svolta decisiva ed iniziare un nuovo percorso. Senza eccedere né nell’auto-compassione, né nell’autocondanna che raramente raggiungono risultati positivi, ognuno può imporre a se stesso, con la propria forza di volontà, di uscire dal tunnel oscuro del peccato, nella sicurezza che Dio misericordioso è sempre pronto a tendere una mano agli uomini disposti ad affrontare, animati da nuova speranza e da trepida gioia, il prossimo futuro: perché “le porte del perdono sono sempre aperte” e “dal cielo porgono una mano a chi viene a purificarsi”.
Ma, come si diceva, il giorno di Rosh ha-shanah è il giorno in cui anche Dio prende in esame e giudica il comportamento di ogni uomo, le sue opere, i suoi pensieri, i suoi rapporti con il prossimo, il suo pentimento, per decidere del suo destino nell’anno a venire: decisione che assumerà il suo carattere definitivo il giorno di Kippur, sulla base del pentimento dimostrato e dell’impegno assunto durante i giorni penitenziali.
Ma non per paura del castigo, bensì per amore verso Dio, verso la sua opera, verso le sue creature, ci si può avvicinare all’ideale propugnato dall’ebraismo sin dalle sue premesse: riportare sulla terra l’era della pace, meritando così il ritorno alla perfetta pace del Gan Eden!
Rosh ha-shanah è anche la festa della speranza. (1)


Lo shofar


Si tratta di un corno d’animale (normalmente di capro, a memoria dell’animale sacrificato da Abramo al posto di Isacco) adibito a strumento musicale, che ha la sua parte in molti momenti di riti, soprattutto a Rosh ha-shanah e a Kippur. (2)
Il suono dello shofar è un suono ricorrente in tutta la storia ebraica e rappresenta la speranza e la fiducia.
Al suono dello shofar, che echeggiava solennemente sul monte Sinai, furono consegnati a Mosè il Decalogo e la Torah.
Quando Mosè salì la seconda volta sul monte Sinai per ricevere nuovamente le tavole che aveva spezzato alla vista del vitello d’oro, diede ordine che ogni giorno venisse suonato lo shofar perché il suo suono ammonitore impedisse al popolo di lasciarsi nuovamente fuorviare dal culto pagano.
Lo shofar viene oggi suonato nella sinagoga in tre modi diversi: teru’ah (suono
staccato e martellante), shevarim (tre brevi emissioni di suoni), teqi’ah (un lungo suono ininterrotto).
L’anno del Giubileo aveva inizio nel giorno di Kippur, al termine dei dieci giorni penitenziali ed era annunciato con il suono dello shofar. Era l’anno in cui agli “schiavi” veniva restituita la libertà e in cui le terre che, per un qualsiasi motivo, fossero state vendute durante gli anni precedenti, ritornavano agli antichi proprietari: saggia legge sociale che impediva l’eccessivo arricchimento da una parte, la condanna dell’eterna misera dall’altra.
Al suono dello shofar il Signore annuncerà la completa redenzione del suo popolo: “in quel giorno verrà suonato un grande shofar e coloro che erano dispersi nel paese di Assiria, e quelli che erano dispersi nel paese d’Egitto, verranno e si prosterneranno sul monte santo, a Gerusalemme” (Is 27, 13).
E’ in base a questa profezia che nella ‘amidah, preghiera che recita tre volte al giorno, si chiede a Dio: “Suona il tuo grande shofar per annunciare la nostra liberazione, e riuniscici dai quattro angoli della terra nella nostra terra”.
Secondo alcune tradizioni lo shofar rappresenta inoltre la fiducia nella risurrezione dei morti che sarà anch’essa accompagnata dal suono di questo strumento.
E infine anche la redenzione dell’intera umanità, l’Era messianica, secondo la tradizione ebraica sarà annunciata dal suono dello Shofar (cf Is. 18, 3). (1)


Usi e tradizioni


Tashlikh: “Tu getterai”
Nel pomeriggio di Rosh ha-shanah è uso recarsi presso un fiume o al mare, o comunque in un luogo ove ci sia dell’acqua corrente, per gettarvi simbolicamente qualcosa di vecchio, recitando i versi del profeta Michea: “Perché Tu, Dio, getterai nel mare più profondo le nostre colpe” (Mic 7, 19).
Tale cerimonia si chiama Tashlikh.
Ovviamente, come tutti gli usi entrati nella tradizione di ogni popolo, tale cerimonia non deve essere considerata una specie di superstiziosa liberazione da ogni peccato, ma deve essere interpretata nel suo significato simbolico di impegno personale a rigettare ogni cattivo comportamento.


A tavola: il seder di Rosh ha-shanah
La sera di Rosh ha-shanah la tavola ha un aspetto particolarmente festoso e colorato.
Dopo la consacrazione della solenne ricorrenza con il Kiddush, la challah, il pane preparato appositamente per la festa, oltre che nel sale viene intinta nel miele perché “ci conceda il Signore un anno dolce e piacevole”. Inoltre la sua forma non è allungata, ma rotonda, perché l’anno sia privo di spigoli.
Si prepara poi una fruttiera piena di mele e di melograni: le mele vengono intinte nel miele e mangiate dopo il pane, quasi da raddoppiare l’augurio di un anno dolce. In quanto ai melograni, essi non solo rappresentano una primizia di stagione (e ciò è di buon auspicio per l’anno nuovo e permette di aggiungere alla benedizione di ringraziamento a Dio quella delle primizie), ma vengono divisi tra i commensali, i quali si augurano che durante il nuovo anno le buone azioni si moltiplichino come i semi di un melograno.
In molte comunità si usa terminare la cena con un dolce fatto col miele.
I vari piatti che sono mangiati durante la cena di Rosh ha-shanah sono generalmente composti da: fichi, mela, zucca, finochio, fagiolini, porri, bietola, datteri, melograno, testa d’agnello e di pesce.



In sinagoga
A Rosh ha-shanah, come anche a Kippur, in sinagoga domina il colore bianco. Bianca è la tenda che copre il luogo ove sono contenuti i rotoli della Torah, bianche sono le “vesti” che coprono i rotoli stessi.
Anche coloro che partecipano alla funzione usano indossare un indumento bianco o aggiungere qualche accessorio bianco agli abiti di festa, in quanto il bianco è simbolo di purezza.
Numerosi sono gli inni, i salmi e i canti che si recitano in sinagoga in occasione di Rosh ha-shanah. (1)



Fonti: (1) Clara ed Elia Kopciowski “Le pietre del tempo, il popolo ebraico e le sue feste” ; (2) Elena Loewenthal “Gli ebrei questi sconosciuti”
http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=179




Festività di Yom Kippur 5769 (9 ottobre 2008)

Commemorazione defunti 5769
Orario officiature 5769 e letture torah (services time and Torah readings)

Yom Kippur è la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell' espiazione. Nella Torah viene chiamato Yom haKippurim (Ebraico, "Giorno degli espìanti"). È uno dei cosiddetti Yamim Noraim (Ebraico, letteralmente "Giorni terribili", più propriamente "Giorni di timore reverenziale"). Gli Yamim Noraim vanno da Rosh haShana a Yom Kippur, che sono rispettivamente i primi due giorni e l'ultimo giorno dei Dieci Giorni del Pentimento.

Nel calendario ebraico Yom Kippur incomincia al crepuscolo del decimo giorno del mese ebraico di Tishri (che cade tra Settembre e Ottobre del calendario gregoriano), e continua fino alle prime stelle della notte successiva. Può quindi durare 25-26 ore.
Quest'anno 2008, Yom Kippur cadde il 9 ottobre 2008 (la festività comincia la vigilia: l’8 ottobre).

Origine biblica
Il rito dello Yom Kippur viene descritto quattro volte nel sedicesimo capitolo del Levitico (vedi Esodo 30;10, Levitico 23;27-31 e 25;9, Numeri 29:7-11). All'epoca del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme venivano offerti i sacrifici descritti nella Torah e nella Mishnah.

Nel pensiero ebraico
Yom Kippur è il giorno ebraico della penitenza, viene considerato come il giorno ebraico più santo e solenne dell'anno. Il tema centrale è l'espiazione dei peccati e la riconciliazione. È proibito mangiare, bere, lavarsi, truccarsi, indossare scarpe di pelle ed avere rapporti sessuali. Il digiuno - astinenza totale da cibo e bevande - inizia qualche attimo prima del tramonto (chiamata tosefet Yom Kippur - aggiunta a Yom Kippur - l'aggiunta di una piccola parte del giorno precedente al digiuno è prescritta dalla Halakha), e termina dopo il tramonto successivo, all'apparire delle prime stelle. Le persone malate consultano in anticipo un'autorità rabbinica competente per verificare se il loro stato le esenti dal digiuno.

Il servizio ha inizio con la preghiera di Kol Nidre (testo, preghiera cantata) che deve essere recitata prima del tramonto. Kol Nidre (parola aramaica che significa "tutte le promesse") rappresenta l'annullamento di tutti i voti pronunciati nel corso dell'anno. Secondo The Jewish Encyclopedia, il testo della preghiera recita: "Tutti i voti, gli impegni, i giuramenti e gli anatemi che siano chiamati 'konam', 'konas', o con qualsiasi altro nome, che potremmo aver pronunziato o per i quali potremmo esserci impegnati siano cancellati, da questo giorno di pentimento sino al prossimo (la cui venuta è attesa con gioia), noi ci pentiremo".

Yom Kippur completa il periodo di penitenza di dieci giorni iniziato con il capodanno di Rosh haShana. Sebbene le preghiere con le quali si chiede perdono siano consigliate durante l'intero anno, diventano particolarmente sentite in questo giorno.
La preghiera mattutina viene preceduta da alcune litanie e richieste di perdono chiamate selihot; nel giorno di Kippur queste vengono aggiunte in abbondanza nella liturgia.

In accordo con Mosè Maimonide "Tutto dipende da quanto un uomo meriti che vengano cancellati i demeriti che pesano su suo conto", quindi è auspicabile di moltiplicare le nostre buone azioni prima del conteggio finale fatto il Giorno del Pentimento (ib. iii. 4). Coloro che Dio considera meritevoli entreranno nel Libro della Vita, la preghiera recita: "Entriamo nel Libro della Vita". Recita anche l'auspicio "Possa tu essere iscritto (nel Libro della Vita) per un gioioso anno". Nella corrispondenza scritta tra capodanno e il Giorno del Pentimento, colui che scrive conclude, abitualmente, augurando al mittente che Dio approvi il suo desiderio di felicità. Nel tardo ebraismo alcune peculiarità proprie del giorno di capodanno furono trasferite al Giorno del Pentimento.
Il Giorno del Pentimento sopravisse all'abbandono delle pratiche sacrificali dell'anno 70 CE. "Nonostante nessun sacrificio verrà offerto, il giorno manterrà il suo proprio effetto di espiazione" (Midrash Sifra, Emor, xiv.). I testi ebraici insegnano che in questo giorno non è permesso che venga compiuta altra attività che non sia il pentimento. Il pentimento è l'indispensabile condizione per tutti i vari significati dell'espiazione. La confessione del penitente è una condizione richiesta per l'espiazione. "Il Giorno del Pentimento assolve dalle colpe di fronte a Dio, ma non di fronte alla persona offesa fin quando non si ottiene il perdono esplicito dalla stessa" (Talmud Yoma viii. 9). È usanza di terminare ogni disputa o litigio alla veglia del giorno di digiuno. Anche le anime dei morti sono incluse nella comunità dei perdonabili del Giorno del Pentimento. È un costume per i bambini che abbiano perso i genitori di ricevere una menzione pubblica in sinagoga, e di offrire doni caritatevoli alle loro anime.

Contrariamente al credo popolare, Yom Kippur non è un giorno triste. Gli ebrei Sefarditi, ovvero gli ebrei di origine spagnola, portoghese o nordafricana chiamano questa festività il "Digiuno Bianco". Di conseguenza, molti ebrei hanno l'usanza di indossare solo vestiti bianchi, per simbolizzare il candore delle loro anime.

La liturgia
Per le preghiere della sera viene indossato un Talled (uno scialle di preghiera rettangolare), e questo è l'unico servizio serale dell'anno in cui questo succede. Ne'ilah è un servizio speciale che si tiene solo a Yom Kippur, e lo chiude. Yom Kippur termina con il suono dello shofar, che conclude la celebrazione. Viene sempre osservato un giorno di vacanza, sia dentro che fuori i confini della terra di Israele.
Il servizio nella sinagoga comincia alla sera della vigilia con il Kol Nidre. Le devozioni durante il giorno sono continue dalla mattina alla sera. Molta importanza è data al brano liturgico in cui si narra il cerimoniale del tempio.
Secondo il Talmud, Dio apre tre libri il primo giorno dell'anno, Rosh Hashana; uno per i cattivi assoluti, un altro per i buoni assoluti, e il terzo per la grande classe intermedia. Il fato dei buoni e cattivi assoluti viene determinato in quel momento; il destino della classe intermedia resta sospeso fino al giorno di Yom Kippur, quando il fato di ognuno si decide. Il brano liturgico Unetanneh Tokef afferma:


"D-o Re, che siedi su un trono di misericordia per giudicare il mondo, allo stesso momento Giudice, Difensore, Esperto e Testimone, apri il Libro delle Firme. Si legge che dovrebbero esserci le firme di ogni uomo. La grande tromba viene suonata; si sente una voce piccola e decisa; gli angeli fremono, dicendo "Questo è il giorno del Giudizio": perché gli stessi ministri di Dio non sono puri dinnanzi a Lui. Come un pastore dirige il suo gregge, facendolo passare sotto il proprio bastone, così Dio fa passare ogni vivente di fronte a Lui, per stabilire i limiti della vita di ogni creatura e per definirne il destino. Nel giorno di capodanno il decreto è stilato; nel giorno del pentimento è sigillato; chi vivrà e chi morirà... Ma il pentimento, la preghiera e la carità possono evitare il crudele decreto."


La "Corona di Maestà" di Ibn Gvirol è aggiunta alla liturgia Sefardita nel servizio serale, ed è anche letta in alcune sinagoghe Askenazite ed Italiane. Al centro della liturgia antica è la confessione dei peccati. "Perché non siamo tanto presuntuosi da dirTi che siamo giusti e non abbiamo peccato; ma, nella realtà, abbiamo peccato... sia la Tua volontà che io non pecchi ulteriormente; Ti piaccia lavare i miei peccati trascorsi, secondo la Tua bontà, ma non con punizioni severe".
Le melodie tradizionali con i loro toni di lamento (della tradizione Askenazita) danno espressione sia all'angoscia individuale a fronte dell'incertezza del destino e al lamento di un popolo per le glorie perdute. Nel giorno di espiazione l'ebreo osservante dimentica la mondanità e le sue necessità e, escludendo l'odio, l'antipatia e tutti i pensieri ignobili, cerca di occuparsi unicamente di cose spirituali. I libri ebraici di preghiera fanno notare che, se gli atti di pubblica contrizione sono obbligatori, il correttivo più efficace è quello stabilito dai Profeti biblici, che insegnano che il vero digiuno di cui D-o gioisce è lo spirito di devozione, gentilezza e penitenza.
Il carattere austero impresso alla cerimonia dal tempo della sua istituzione è stato conservato fino ad oggi. Anche se altre cose sono divenute desuete, la presa sulla coscienza di ogni ebreo è così forte che pochi, a meno che non abbiano reciso ogni legame con l'ebraismo, evitano di osservare il giorno di espiazione astenedosi dal lavoro quotidiano e partecipando alle funzioni.

Fonte: wikipedia

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=194



Festività di Sukkoth (14 - 20 ottobre 2008)
Tikkun e cena per Sukkoth e Hosha'anah Rabbah
Limmud in onore di Bianca Colbi Finzi z.l.
Orario officiature 5769 e letture Torah (services time and Torah readings)

La festa di Sukkoth (festa delle capanne) cade il 15 di Tishrì, fra settembre e ottobre, proprio all’inizio dell’autunno.

Quest’anno 2008 (5769), la festività di Sukkoth verrà celebrata dal 14 al 20 ottobre 2008 (vigilia il 13).



In ricordo delle abitazioni instabili e precarie in cui il popolo (ebraico) dimorò nel deserto per quarant’anni, gli ebrei a Sukkoth costruiscono delle capanne seguendo disposizioni ben precise e dettagliate, fra cui quella significativa di ricoprire il tetto di fronde e di foglie per lasciarne una parte scoperta affinché vi si possa scorgere il cielo: un monito perché tengano sempre presente, ovunque le vicissitudini della vita li conducano, di lasciare simbolicamente anche nelle loro abitazioni usuali uno spazio da cui entri la luce di Dio.

Alle origini della festa

Sukkoth è la terza delle feste di pellegrinaggio. Alle feste di pellegrinaggio, oltre al significato religioso, si attribuisce anche un significato storico e agricolo. Esse sono legate tra di loro dal filo storico dell’uscita dall’Egitto e della permanenza nel deserto.
La festa di Pesach, cioè il momento dell’uscita dalla schiavitù, riveste indubbiamente una particolare importanza. Ma la gioia era oscurata sia dal peso delle vittime egiziane, sia dall’incognita di un futuro che prevedeva un lungo viaggio e una dura lotta per raggiungere e poter dimorare liberi e sovrani nella terra da Dio promessa. La consegna della Torah a Shavuoth aveva certamente lasciato gli animi del popolo turbati e intimoriti. Essa infatti impegnava all’osservanza non solo di leggi, ma anche di comportamenti totalmente nuovi e assai difficili, soprattutto se raffrontati a quelli di uso presso tutti gli altri popoli dell’epoca. (...)
Sukkoth era la festa di pellegrinaggio che in un certo senso simboleggiava la fine della sofferenza, l’acquisita comprensione e accettazione della Torah, la fine del lungo, faticoso, a volte doloroso pellegrinare nelle impervie vie del deserto, e il raggiungimento della Terra in cui finalmente il pensiero, a lungo maturato, si sarebbe trasformato in azione lieta e consapevole.
(...) Si viveva in terra di Israele l’anno agricolo. Gli ebrei erano infatti una popolazione prevalentemente agricola. A Pesach iniziava la mietitura dell’orzo, ma quella del grano era ancora lontana. A Shavuoth si iniziava la mietitura del grano e si raccoglievano le primizie, ma prima che giungesse il momento della vendemmia doveva trascorrere il lungo e spesso difficile periodo estivo.
(...) Sukkoth, hag ha-asif, festa del raccolto, dell’ultimo raccolto, quello autunnale, era quindi un momento di grande, totale gioia: con i magazzini ricolmi del raccolto appena terminato, si lasciavano alle spalle le preoccupazioni e ci si preparava ad attendere con serenità e letizia il lungo periodo di riposo fino all’arrivo della nuova stagione della semina.

La celebrazione

Come si costruisce una sukkah
La sukkah deve essere abbastanza ampia perché ci si possa vivere comodamente, ma non deve assumere l’aspetto di un’abitazione permanente.
All’interno l’ombra deve essere maggiore della luce. Un’attenzione primaria è riservata alla copertura della capanna da cui si deve intraveder il cielo.
Le pareti possono essere costituite da tende di stoffa. Le capanne devono essere gradevoli alla vista, quindi guarnite di ghirlande e di ornamenti. Molti tuttora appendono alle pareti e al soffitto rami d’olivo carichi dei loro frutti e di cedri, ghirlande di fichi e di melograni, e grappoli d’uva.
Sia alle pareti sia sul pavimento, vengono messi drappi, tappeti e lumi per rendere le capanne accoglienti come una casa.
Durante i giorni di Sukkoth ogni ebreo deve fare della capanna la sua abitazione principale, considerando la propria casa un’abitazione temporanea. Tuttavia se piove e l’acqua ce entra dalle aperture lasciate sul tetto, rischia di rovinare il cibo, si può consumar il pasto in casa.

Il lulav
E’ scritto nella Torah: “prenderete per voi nel primo giorno, un frutto di bell’aspetto, un ramo di palma, rami di mirto e di salice, e vi rallegrate davanti il Signore vostro Dio per sette giorni”. (Lv 23, 49). In base a quest’ordine per Sukkoth si prepara, il lulav, composto da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e, a parte, un frutto di cedro senza difetti. E’ uso dopo la benedizione in sinagoga, agitarlo in quattro direzioni: nord, sud, est e ovest, perché la benedizione di Dio raggiunga tutto il mondo.

Hosha'anah Rabbah
Il settimo giorno di Sukkoth (20 ottobre) è denominato Hosha’anah Rabbah: la grande richiesta di salvezza. E’ una giornata in cui ci si rivolge con particolare fervore alla clemenza del Signore.
(...) Questo giorno viene infatti considerato come quello in cui il Signore pone il suggello definitivo al giudizio iniziato a Rosh ha-shanah e che secondo, lo Zohar, testo fondamentale dell’interpretazione della Qabbalah, non si conclude definitivamente con il Kippur ma, in una specie di ultimo appello, nel giorno di Hosha’anah Rabbah.
Come per Kippur, si recitano le selichoth (suppliche), per implorare il perdono divino. Si compie inoltre una cerimonia connessa alla libazione dell’acqua: con in mano dei rami di salice e il lulav, si gira sette volte intorno all’altare cantando Hosha’anah (“oh salvaci!).


Shemini ‘atzereth
Nel brano del Levitico (23, 36) in cui è data la disposizione di festeggiare Sukkoth, appare una contradizione: prima la durata della festa viene fissata in sette giorni, poi si parla di un “ottavo giorno di radunanza” (Shemini ‘atzereth).
I Maestri ne hanno dedotto un interessante insegnamento. Durante i sette giorni di Sukkoth si pregava per ottenere la pioggia e un raccolto prospero. (...) Ed ecco che l’ottavo giorno il Signore si rivolge al popolo come un padre ai propri figli, e quasi lo prega: “Per sette giorni vi siete preoccupati del bene della vostra terra, e del bene dei vostri fratelli delle altre nazioni. Ebbene: rimanete ancora un giorno e dedicatelo completamente a me!”.


Fonte: "Le pietre del tempo" di Clara ed Elia Kopciowski

http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=248



Festività di Simchat Torah 5769 (22 ottobre 2008)

Orario officiature 5769 e letture Torah (services time and Torah readings)

L’ottavo giorno di Sukkoth (il nonno fuori da Israele) prende anche il nome di Simchat Torah: la gioia della Torah.

In questo giorno si termina la lettura dei cinque libri in cui la Torah è composta; ma immediatamente dopo si ricomincia con la prima frase di Bereshit (Genesi). Lo studio della Torah, infatti, non deve mai essere interrotto, quindi nello stesso giorno in cui si termina la sua lettura la si inizia di nuovo per dare al popolo il senso della continuità e dell’impossibilità di interruzione dello studio del Libro sacro.

Data l’importanza della festa, dedicata appunto alla Torah, è uso che i presenti in sinagoga, a turno, siano chiamati sulla Tevah (luogo in cui l’ufficiante recita le preghiere) per assistere direttamente alla sua lettura, e se sono in grado di farlo, di leggerne personalmente un brano.
Il giorno della festa della Torah è un giorno di grande gioia per tutti gli ebrei: tutti i sefarim, i rotoli di pergamena su cui è scritto a mano il testo della Torah, vengono estratti dall’aron ha-quodesh, l’”Arca Santa” in cui sono conservati, e portati a braccia a turno dai frequentatori della sinagoga per compiere sette volte il giro della Tevah. Essi vengono accompagnati da un lungo corteo; infatti, tutti gli uomini presenti li seguono cantando gioiosamente inni e canti di lode al Signore.
(...) Il Sefer Torah, il rotolo della Torah, è l’unico oggetto concreto a cui gli ebrei rivolgono il loro devoto omaggio perché tutto ciò che è stato elaborato dal pensiero e dal messaggio scritto e che porta al miglioramento dell’uomo e della società, è degno di devozione in quanto conduce l’uomo più vicino a Dio.
Fonte: "Le pietre del tempo" di Clara ed Elia kopciowski


http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=249

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