mercoledì 7 gennaio 2009

Gaza, per Hamas c'è solo la sconfitta o la distruzione di Israele

L’esito della guerra
Gaza, per Hamas c'è solo la sconfitta
o la distruzione di Israele
di
Charles Krauthammer
7 Gennaio 2009

Su Gaza va fatta chiarezza morale. L’esercito israeliano ha avvertito con largo anticipo la popolazione palestinese dell’attacco. Hamas sfrutta i civili come bersaglio e ha come unico obiettivo la prosecuzione del conflitto. Nessuna tregua o diplomazia.


Migliaia di civili a Gaza hanno ricevuto un sms in lingua araba dall’esercito israeliano che consigliava di lasciare le case dove i miliziani di Hamas potrebbero aver nascosto delle armi.

Alcuni conflitti geopolitici sono moralmente complicati. Ma non quello arabo-israeliano. Esso possiede una chiarezza morale non solo rara, ma anche straziante. Israele è così scrupoloso verso la vita dei civili palestinesi che, rinunciando all’elemento sorpresa, si è messo in contatto in anticipo con la popolazione nemica per allertarla sul pericolo in arrivo. Hamas, che ha cominciato questa guerra con incessanti attacchi di razzi e mortai contro Israele – negli ultimi tre anni da Gaza ne sono stati lanciati 6,464 – posiziona deliberatamente le sue armi nelle abitazioni private dei palestinesi o nelle loro vicinanze.

Questo modo di fare ha due scopi. Il primo è che, contando sugli scrupoli morali di Israele, Hamas immagina che la vicinanza dei civili possa contribuire a proteggere almeno una parte del suo arsenale. Il secondo è che, sapendo che gli israeliani sono in possesso di armi avanzate e precise che gli permettono comunque di attaccare, Hamas spera che i loro inevitabili effetti collaterali – o, se i terroristi sono davvero fortunati, una bomba israeliana vagante – uccida un gran numero di civili, di cui, certamente, il mondo incolperà Israele.

Per Hamas l’unica cosa più cara della morte degli ebrei è la morte dei palestinesi. La religione del “massacro degli ebrei” e dell’auto-martirio è onnipresente. Pensiamo a quanto sia profondamente perverso quel programma televisivo per bambini della tv di Hamas in cui un adorabile Mickey Mouse dalle fattezze di un attivista palestinese viene picchiato a morte da un israeliano (il Topolino in seguito è stato sostituito da un cuginetto più militante, l’ape Nahoul, che ha promesso di seguire la via del martirio di Mickey).

Allo stato attuale della guerra a Gaza, a un combattente viene commissionato di provocare quanta più sofferenza e dolore ai civili di entrambi gli schieramenti. Mentre all’altro viene ordinato di salvare quante più vite possibile – sempre di entrambe le parti. E’ un tema ricorrente. Israele diede avvertimenti simili agli abitanti dei villaggi del sud Libano prima di attaccare l’Hezbollah nella guerra del 2006. Gli israeliani lo fecero sapendo bene che avrebbero rinunciato all’elemento sorpresa e che questo avrebbe avuto un costo in termini di vite dei propri soldati.

Ecco qual è l’asimmetria di mezzi tra Hamas e Israele. Ma c’è anche un’uguale chiarezza sull’asimmetria degli scopi. Israele ha un solo obbiettivo a Gaza – la pace: quelle relazioni serene, aperte e normali che aveva offerto al governo palestinese quando si ritirò dalla Striscia nel 2005. Facendo qualcosa che non era mai stato tentato dai precedenti governi turchi, britannici, egiziani e giordani di Palestina, gli israeliani hanno dato ai palestinesi il loro primo territorio sovrano a Gaza.

Quali sono state le conseguenza? Questa non è storia antica. Forse che i palestinesi hanno iniziato a costruire lo stato che, presumibilmente, doveva essere il grande obiettivo della loro battaglia nazionale? No. Nessuna strada, nessuna industria, nessun tribunale, nessuna società civile. Le verdi case fiorenti che Israele lasciò in eredità ai palestinesi vennero distrutte e abbandonate. I governi di Gaza sponsorizzati dall’Iran hanno dedicato tutte le loro risorse per tramutare quelle case in basi del terrore – importando armi, addestrando terroristi, costruendo tunnel con i quali avrebbero rapito israeliani dall’altro fronte. E ovviamente, il lancio incessante dei razzi.

Recriminazioni? Non possono essere l’occupazione israeliana, il controllo militare del territorio o gli insediamenti dei coloni. Erano stati tutti rimossi nel Settembre del 2005. C’è solo un motivo che spinge Hamas a combattere e su questo l’organizzazione è davvero sincera. L’obiettivo è l’esistenza stessa dello stato di Israele. Hamas non nasconde neppure la sua strategia. Provocare il conflitto. Attendere gli inevitabili incidenti contro i civili. Attirare il disprezzo del mondo su Israele. Costringerlo a un insostenibile “cessate il fuoco” – esattamente come accadde in Libano. Poi, come in Libano, riarmarsi, ricostruire e organizzare la propria forza per un nuovo ciclo di violenze. Una guerra perpetua. Se la ragion d’essere di Hamas è l’estirpazione di Israele dalla faccia della terra, ci sono solo due esiti possibili: la sconfitta di Hamas o la scomparsa di Israele.

L’unica risposta dello stato ebraico è provare a rifare ciò che fallì dopo la prima ritirata da Gaza. L’imperdonabile errore strategico del suo architetto, Ariel Sharon, non fu la ritirata in quanto tale ma l’incapacità di rendere subito stabile un sistema di deterrenza che non avrebbe tollerato nessuna violenza dopo la totale marcia indietro israeliana – che era stata la giustificazione apparente dei precedenti attacchi palestinesi. Al contrario, Israele ha permesso l’incessante fuoco dei razzi di Hamas, mostrandosi implicitamente accondiscendente verso una situazione di guerra e terrore indiscriminato.

Il rifiuto di Hamas di proseguire per altri sei mesi nel “cessate il fuoco” che l’organizzazione aveva spesso violato (i razzi non si sono mai fermati, erano solo diventati meno frequenti) sta offrendo a Israele un’opportunità rara di instaurare il modello che avrebbe dovuto sostenere da più di tre anni: nessun razzo, nessun attacco mortale, nessun rapimento o atto di guerriglia. Sebbene il governo americano abbia ufficialmente richiesto un sostenibile e duraturo “cessate il fuoco”. Se la guerra in corso finisse con un’altra tregua del genere, Israele avrà perso ancora una volta. La questione è se lo stato ebraico riuscirà a tenere i nervi saldi – e a conservare la propria fiducia morale – per vincere.

Traduzione di Kawkab Tawfik


Tratto da “The Washington Post”



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